..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 30 giugno 2021

Le norme e la libertà

Il grado d’invadenza del governo occidentale contemporaneo probabilmente non trova uguali, per quantità di ambiti e meticolosità della prescrizione. Mai nella storia dell’umanità sono stati regolamentati in maniera così vincolante i comportamenti degli uomini. Non si può esercitare qualsiasi commercio senza autorizzazione. Sono stati vietati certi giochi di carte. Sono stati vietati innumerevoli alimenti di produzione casalinga o artigianale, ad esempio, sono stati regolamentati in maniera restrittiva i fermenti lattici utilizzabili per fare il formaggio. In diverse città le norme urbanistiche ti costringono scegliere il colore delle persiane. C’è l’obbligo per ogni cittadino di frequentare la scuola. Vaccinare i figli è indispensabile, anche per malattie oggi praticamente inesistenti. Ogni spazio  pubblico o  privato, è stato sottoposto a una sterminata, capillare. È proibita la coltivazione e il consumo di marijuana. Per molti cittadini del mondo non è più possibile spostarsi liberamente. Non si possono più raccogliere castagne o legna secca per riscaldarsi perché a tutto è stata assegnata una proprietà. Per raccogliere i funghi è richiesta una autorizzazione. Non si possono cantare canzoni in pubblico perché protette dai diritti d’autore. Non si possono fare fotocopie di libri. In diversi luoghi non si può dormire all’aperto e non si possono fare fuochi. Non ci si può riposare orizzontalmente su panchine. Non si può distillare la grappa o piantare una vigna senza prima pagare per una autorizzazione.

Si potrebbe proseguire per pagine. Considerato che viviamo nell’auto-proclamata società della libertà.

Questo insieme di divieti rende, di fatto, criminosi certi stili di vita, che pur non danneggiano nessuno. Si tratta di prevaricazioni che, evocando la tutela dei cittadini, permettono allo Stato di ergersi a censore di prassi difformi da quelle prevalenti. Lo Stato moderno viola tutti gli ambiti della vita, in modo da rendere virtualmente impossibile ignorare o sottrarsi alla sua influenza. Tutto questo per  implementare nuovi e più repressivi codici estetici e estinguere la possibilità di una socialità (giocare, riposarsi, mangiare, bere, dormire, amoreggiare, chiacchierare, commerciare, lavorare) gratuita per incanalarla in spazi appositi, a pagamento. Da una parte voto/delego dall’altra lavoro/guadagno/pago/consumo.

domenica 27 giugno 2021

Acciarito Pietro anarchico

Nato il 27 giugno del 1871, Acciarito è un fabbro immigrato a Roma, costretto a chiudere bottega per mancanza di lavoro. Povero in canna frequenta ambienti socialisti e anarchici, senza per altro essere anarchico o riconosciuto come tale. Sebbene non fosse iscritto a nessun gruppo politico, Acciarito iniziò a divenire noto per le sue idee radicali, derivanti da un manifesto sentimento ostile sviluppato nei confronti delle classi dominanti, idee delle quali non faceva mistero e che anzi proclamava volentieri e a gran voce. Il 22 aprile 1897 tenta di pugnalare Umberto I. Il re, dopo il pranzo di gala in occasione dell’anniversario del proprio matrimonio, decide di presenziare al derby, dove ha messo in palio per il cavallo vincente 24.000 lire, una somma enorme per l’epoca. Giunta la carrozza a S. Giovanni, fra il vicolo della Morana e il cascinale dei Valloni, Pietro Acciarito salta sul predellino e tenta di sferrare un colpo con un pugnale di fabbricazione artigianale forgiato da lui stesso. Il Re, quando vede la mano alzata di Acciarito, si alza deviando il colpo che si conficca sulla spalliera del sedile. Pietro perde l’equilibrio, viene quasi investito dalla carrozza e immediatamente catturato. All’indomani del tentato regicidio il presidente del Senato suggerisce a Di Rudinì la tesi di un immaginario complotto nonostante l’artigiano affermi nei primi interrogatori di non aver avuto mandanti o istigatori, e rivela: “Io l’attentato che ho fatto, prima di tutto non c’è complotto e non sono stato spinto da nessuno, ma lo feci perché ero in miseria. Si buttano lì milioni in Africa e il popolo ha fame perché mancano lì lavori. È questa la questione: è la micragna”. L'attentato fallito fu impiegato come pretesto per arresti arbitrari di esponenti socialisti, anarchici e repubblicani.

Il 28 e 29 maggio 1897 si svolge il processo e nonostante non avesse ne ammazzato o ferito nessuno, è condannato ai lavori forzati a vita e a 7 anni di isolamento. Udita la sentenza esclama: “Oggi a me, domani al governo borghese. Viva l’anarchia! Viva la rivoluzione sociale!”. Uno dei tragici strascichi della tesi del complotto è l’arresto a Roma del falegname Romeo Frezzi che, portato in carcere a S. Michele, muore per le violenze subite nell’interrogatorio. La polizia cerca invano di far passare il caso come suicidio, ma è smascherata dall’Avanti con gran clamore e risonanza in tutto il paese.

Nonostante che tutti i tentativi da parte della polizia e dello Stato di dimostrare la presenza di un complotto fallirono, Acciarito trascorse il resto della sua vita in carcere. Morì nel carcere di Montelupo Fiorentino il 4 dicembre 1947.

Alla sua morte Acciarito fu sottoposto ad autopsia da parte degli stessi eugenetisti, della scuola lombrosiana che avevano esaminato il corpo di Passannante, i quali conclusero che la forma del cranio dell'ex fabbro rivelava la sua "predisposizione all'assassinio".


giovedì 24 giugno 2021

Due piccole parole sulla coscienza

La coscienza è una parte della nostra vita mentale molto più piccola di quanto abbiamo coscienza, perché non possiamo essere coscienti di ciò di cui non siamo coscienti. Allo stesso modo si può avere l'impressione che la coscienza pervada tutta l'attività mentale, mentre in realtà non è affatto così.

È molto più probabile che l'apparente continuità della coscienza sia in realtà un'illusione, esattamente come la maggior parte delle altre metafore sulla coscienza.

Spesso la coscienza non solo non è necessaria, ma può essere del tutto indesiderabile.

Siamo stati indotti alla conclusione che la coscienza non è ciò che noi generalmente pensiamo che sia. Essa non va confusa con la reattività. Non interviene in una vasta moltitudine di fenomeni percettuali. Non ha alcuna parte nell'esercizio di abilità, di cui al contrario spesso ostacola l'esecuzione. Non interviene necessariamente nel parlare, nello scrivere, nell'ascolto o nella lettura. Non trascrive l'esperienza, come molti credono. La coscienza non ha nulla a che fare con l'apprendimento di segnali, né c'è alcun bisogno del suo intervento per apprendere abilità o ricavare soluzioni, cose che si possono fare senza avere coscienza. Non è necessaria per la formulazione di giudizi o di pensieri semplici. Non è la sede della ragione, e anzi alcuni fra gli esempi più difficili di ragionamento creativo fanno a meno della sua assistenza. Essa inoltre non ha una localizzazione reale, ma solo ubicazioni immaginarie. Se i ragionamenti che abbiamo svolto finora sono stati corretti, è possibilissimo che sia esistita una razza di uomini che parlavano, giudicavano, ragionavano, risolvevano problemi, che facevano in definitiva quasi tutto quello che facciamo noi, ma che non erano affatto coscienti.

lunedì 21 giugno 2021

Il debito, il lato nero del capitalismo

Il debito è il mezzo più efficiente mai creato per mantenere relazioni fondamentalmente basate sulla violenza e su diseguaglianze violente, facendole sembrare giuste ed eticamente corrette. Quando il trucco non funziona più, esplode tutto. E quello che sta accadendo adesso. Il debito ha chiaramente dimostrato di essere il fattore di maggior debolezza del sistema, il punto in cui si perde il controllo e consente agli oppositori infinite opportunità di gestione. Si parla di sciopero del debito, di cartello dei debitori. Si potrebbe iniziare con garanzie  contro gli sfratti: di quartiere in quartiere, aiutandoci gli uni con gli altri. La forza della contrapposizione non sta solo nello sfidare i regimi del debito, ma nello sfidare la vera anima del capitalismo, la sua base morale, ora svelata da una serie di promesse tradite, per fare ciò occorre creare una nuova realtà.

Un debito è solo una promessa e il mondo di oggi è pieno di promesse che non sono state mantenute.

Tutto questo sistema si sta sbriciolando. Quello che rimane è solo ciò che riusciamo a prometterci a vicenda, direttamente, senza la mediazione di burocrazie economiche e/o politiche. La rivoluzione inizia con il chiedersi: che tipo di promesse fanno gli uomini e le donne liberi e come possiamo costruire un mondo nuovo attraverso queste promesse?

venerdì 18 giugno 2021

La libertà autentica

La libertà autentica non è definita da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un rapporto fra il pensiero e l'azione; sarebbe completamente libero l'uomo le cui azioni procedessero tutte da un giudizio preliminare concernente il fine che egli si propone e il concatenamento dei mezzi atti a realizzare questo fine. Poco importa che le azioni in se stesse siano agevoli o dolorose, e poco importa anche che esse siano coronate da successo; il dolore e la sconfitta possono rendere l'uomo sventurato, ma non possono umiliarlo finché è lui stesso a disporre della propria facoltà di agire. E disporre delle proprie azioni non significa affatto agire arbitrariamente; le azioni arbitrarie non derivano da alcun giudizio e, se vogliamo essere precisi, non possono essere chiamate libere. Ogni giudizio si applica a una situazione oggettiva, e di conseguenza ad un tessuto di necessità. L'uomo vivente non può in alcun caso evitare di essere incalzato da tutte le parti da una necessità assolutamente inflessibile; ma, poiché pensa, ha la facoltà di scegliere tra cedere ciecamente al pungolo con il quale essa lo incalza dal di fuori, oppure conformarsi alla raffigurazione interiore che egli se ne forgia; e in questo consiste l'opposizione tra servitù e libertà.

martedì 15 giugno 2021

La società tecnologicamente avanzata

L'uomo moderno è legato da un sistema di regole e regolamenti, e il suo destino da azioni di persone a lui lontane, le cui decisioni egli non può influenzare. Tutto questo non è accidentale, né è il risultato dell'arbitrarietà di burocrati arroganti. È una condizione necessaria e inevitabile in qualsiasi società tecnologicamente avanzata. Il sistema, per funzionare, deve regolare attentamente il comportamento umano. Al lavoro si deve fare ciò che gli altri ti dicono di fare, altrimenti la produzione finirebbe nel caos. Le burocrazie devono essere rette secondo rigide regole. Permettere una qualsiasi discrezionalità personale a burocrati di medio livello danneggerebbe il sistema e porterebbe ad accuse di ingiustizia provocate dal modo in cui i singoli burocrati esercitano la loro discrezionalità. È vero che alcune restrizioni della nostra libertà ma, parlando in generale, la regolazione delle nostre vite da parte delle grandi strutture è necessaria per il funzionamento della società industriale-tecnologica. Il risultato nelle persone comuni è un senso di impotenza. Può anche darsi che i regolamenti formali vengano sostituiti sempre più da strumenti psicologici che ci inducano a fare ciò che il sistema ci richiede (propaganda, tecniche educative, programmi di “salute mentale”, ecc.). Il sistema deve costringere le persone a comportarsi in modi sempre più lontani dal modello naturale del comportamento umano. Per esempio il sistema ha bisogno di scienziati, matematici e ingegneri. Non può funzionare senza di loro. Così viene esercitata una pesante pressione sui bambini perché si distinguano in questi campi. Per un adolescente è innaturale passare la maggior parte del proprio tempo seduto a una scrivania, assorto nello studio. Un adolescente normale vuole trascorrere la sua giornata in contatto con la realtà circostante. Tra i popoli primitivi, le cose che venivano insegnate ai bambini erano in naturale armonia con gli impulsi naturali umani. Ma nella nostra società i bambini sono indotti a studiare materie tecniche che la maggioranza affronta malvolentieri. A causa della pressione incessante che il sistema esercita per modificare i comportamenti umani, il numero degli individui che non può o non vuole adattarsi alle esigenze sociali è in aumento: disoccupati di professione, bande di adolescenti, sette religiose, ribelli contro lo stato, sabotatori ecologisti, emarginati e oppositori di ogni tipo.

lunedì 14 giugno 2021

Red Snake - Le combattenti curde, l’Isis e una guerra mai finita

Caroline Fourest celebra il coraggio delle donne mentre racconta il genocidio yazida e la lotta a Daesh.

Per anni le guerre sono state combattute sul corpo delle donne, ma cosa succede se quest’ultime decidono di imbracciare le armi per proteggere la propria vita e quella degli altri? Ce lo racconta Red Snake. Il film – scritto e diretto da Caroline Fourest – ci conduce direttamente sul campo di battaglia insieme alla Brigata Serpente: un’unità speciale composta da sole donne pronte a lottare contro l’Isis.

Potremmo poeticamente definirle amazzoni o immaginarle come delle vere soldato Jane, eppure questo non renderebbe loro giustizia. Non restituirebbe a pieno il senso del loro coraggio e della loro rivoluzionaria abnegazione. Quella che le porta a smettere di subire ogni oltraggio e violenza, per resistere al nemico che le vede con terrore perché, essere ucciso da una donna, impedirebbe a un jihadista di andare in Paradiso e circondarsi delle vergini promesse. «La loro paura è la nostra forza» spiega infatti la combattente italiana Laura, interpretata da Maya Sansa, all’impaurita Zara.

Una ha scelto di unirsi alla brigata per senso del dovere, l’altra è invece una giovane yazida che, dopo essere sopravvissuta al massacro del suo villaggio ed essere stata venduta come schiava, ha voluto arruolarsi nella Brigata sotto il nome di Red Snake, per vendicare il padre e ritrovare il fratellino che gli uomini di Daesh vorrebbero fare diventare un kamikaze. Ma quello che rappresentano Zara e Laura – insieme alle loro «sorelle d’armi» dagli epici nomi di battaglia come Lady Kurda – sono due volti della stessa Resistenza fatta da donne di origini, estrazioni e culture diverse che si uniscono in un solo fronte, avendo come icona Rosa Luxemburg e in gola un canto, Bella Ciao, per liberare tutti dall’oppressione jihadista. Perché la rivoluzione della Brigata è globale, sociale, politica e, soprattutto, vera. È stata documentata dalle cronache provenienti dalla Siria.

Ed è stata onorata con il Nobel per la Pace assegnato a Nadia Murad: irachena yazida vittima dell’Isis, sopravvissuta alla tratta degli esseri umani, oggi attivista e Ambasciatrice Onu. È la sua storia che, dopo aver ispirato quella di Zara, si interseca con altre vicende reali raccontate dalla regista, fedele al suo spirito da documentarista. Così, nonostante qualche difetto, Red Snake colpisce lo spettatore perché è una storia di guerra ma anche un racconto di formazione che mischia lacrime, sangue e polvere, per svelare le ferite di chi non si arrende alle atrocità del fanatismo religioso. E alla fine ci mette in guardia: per alcune donne la guerra non è mai finita.

sabato 12 giugno 2021

Sono - Jean Paul Sartre

 Sono sicuramente un mostruoso prodotto del capitalismo, del parlamentarismo, della centralizzazione e del funzionarismo. Volendo, in altri termini sono proprio queste le situazioni primitive attraverso le quali mi sono costruito. La separazione dalla classe del lavoratori senza per altro la partecipazione alla direzione della politica e dell'economia, la devo al capitalismo. Al parlamentarismo devo l'idea delle libertà civiche, che è all'origine della mia maniacale passione per la libertà. Alla centralizzazione devo l'assoluta ignoranza del lavoro agricolo, l'odio per la provincia, la mancanza di attaccamento regionale, la sensibilità al mito di Paris grandville come dice Caillois. Al funzionarismo devo la totale incompetenza in materia di denaro, certamente ultima incarnazione dell'“integrità" e del “disinteresse" di una famiglia di funzionari, gli devo anche l'idea dell'universalità della Ragione, dato che la vestale del razionalismo in Francia è il funzionario. A tutte queste astrazioni insieme devo il mio essere astratto e sradicato. Mi sarei forse potuto salvare se la natura mi avesse dotato di sensualità, ma, in questo, sono un freddo. Eccomi allora "per aria" senza alcun aggancio, non avendo conosciuto né l'unione con la tetra attraverso il lavoro dei campi, né l'unione con una classe per comunanza d’interessi, né l'unione dei corpi per il piacere. La morte di mio padre, il nuovo matrimonio di mia madre e i dissapori col padrigno mi hanno sottratto molto presto all'influenza familiare, l'ostilità dei compagni di scuola mi ha insegnato a ripiegarmi su me stesso. Il mio corpo sano, vigoroso, docile e discreto non fa mai parlare di sé, salvo qualche volta rivoltarsi bruscamente in una crisi di coliche renali. Non sono solidale in niente, nemmeno con me stesso, non ho bisogno di nessuno ne di alcunché. Così è il personaggio che mi sono costruito nel corso di trentaquattro anni di vita.

“La libertà, come la ragione, non esiste e non si manifesta che attraverso la derisione incessante del proprio operato, perisce non appena viene idolatrata" (Proudhon, Confessioni di un rivoluzionario).

(Tratto da Quaderni Intimi)

giovedì 10 giugno 2021

Il piccolo chimico di Frank Zappa

Di Frank Zappa musicista si sa tutto o quasi. Ma non tutti sanno che Frank Zappa, da giovincello, era appassionato di chimica. Affascinato dalla professione del padre, perito industriale che aveva trovato lavoro come specialista di guerra chimica in una struttura militare, Frank non vedeva l'ora di possedere le sue apparecchiature scientifiche. Gli piaceva in particolar modo il Piccolo chimico della Gilbert, che includeva il necessario per produrre gas lacrimogeni, ma i suoi genitori sollevarono qualche obiezione nel comprarglielo.

In un'intervista del 1972 Zappa ha detto: "Mio padre voleva che studiassi qualcosa di scientifico, e a me piaceva la chimica, ma i miei avevano paura di comprarmi le attrezzature perché il mio unico interesse erano gli esplosivi". Sempre pieno di risorse, faceva esperimenti con oggetti che trovava in casa: ottenne qualche successo con delle palline da ping-pong riempite di polvere pirica, che si rivelarono "sorprendentemente esplosive". Riuscì anche a produrre una cascata di piccole sfere infuocate gialle e arancioni caricando di esplosivo alcuni bossoli di un nastro da mitragliatrice calibro 50, rubato da un garage sotto casa.

Nella sua autobiografia, al capitolo «Come mi feci saltare le palle», Zappa racconta con entusiasmo di un'esplosione che lo ha particolarmente soddisfatto. Ad undici anni, dopo il 4 luglio, aveva raccolto alcuni tubi vuoti per fuochi d'artificio e li aveva caricati con la sua polvere speciale per palline da ping-pong. Nei negozi si trovavano le cartucce a colpo singolo per le pistole giocattolo e Zappa ne migliorava la resa tagliandone via la carta in eccesso. Era seduto sul pavimento sporco del garage dei suoi, con i tubi tra le gambe, e ci spingeva dentro le cartucce con l'aiuto di una bacchetta. Fece troppa pressione, provocando lo scoppio. L'esplosione fece spalancare la porta del garage, lasciò un cratere nel pavimento e scagliò Zappa un paio di metri all'indietro, ma fortunatamente non riportò danni fisici.

A quindici anni la sua passione per gli esplosivi non era diminuita: con un compagno di scuola sperimentava nuove miscele, ed era riuscito a fabbricarne una quantità sufficiente a riempire anche un vasetto di maionese con una mistura di combustibile solido per razzi (metà zinco, metà zolfo) e polvere di fialette puzzolenti. Una sera, durante un incontro a scuola con le famiglie, mentre i genitori parlavano dei figli con gli insegnanti, Frank e il suo amico presero una manciata di sacchetti di carta dal bar, li riempirono del loro composto e li passarono ai compagni della loro cricca, che accesero una serie di fuocherelli dall'odore mefitico per tutta la scuola. Frank chiuse nel suo armadietto la polvere avanzata. Il giorno dopo trovò l'armadietto sigillato, e durante la lezione di inglese della professoressa Ivancic fu invitato a comparire nell'ufficio del preside. Da lì fu scortato alla stazione di polizia. La madre Rosie, che era stata mandata a chiamare, si presentò con i figli Carl e la piccola Candy. Il capo dei pompieri fece una ramanzina a Frank, che fu sospeso per due settimane e per punizione dovette scrivere  un tema, dal titolo a piacere, di duemila parole. Dopo quindici giorni, si presentò con il tema il cui titolo era: «Una lista di tutti i miei dischi R&B e di quelli che spero di poter acquistare nell'immediato futuro»; lo svolgimento era una varietà di dischi catalogati per titolo, artista ed etichetta. A scuola non la presero proprio bene ed evitò l'espulsione solo perché l'assistente sociale era di origine italiana, come lo erano i genitori di Frank: Rosie lo aveva convinto che suo figlio era un bravo ragazzo cattolico. Comunque, suo padre sarebbe stato trasferito di lì a poco a Lancaster, in California, e la famiglia sarebbe partita presto portando con sé il figlio piromane.

 

mercoledì 9 giugno 2021

La dipendenza del sapere

La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze. Riponendo la propria fede nell’esperto, l’uomo si spoglia prima della sua competenza giuridica e poi di quella politica. Gli individui, che hanno disimparato a riconoscere i propri bisogni, come a reclamare i propri diritti, divengono preda del sistema che definisce in vece loro le loro esigenze e rivendicazioni. La persona non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita sociale. L’uomo arriva a diffidare della parola, pende da un sapere presunto. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffè. Il cittadino si siede dinanzi allo schermo e tace.

Le regole del senso comune che permettevano alla gente di unire e scambiarsi le proprie esperienze sono distrutte. Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l’uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone.

L’esperto non rappresenta il cittadino, fa parte di una élite la cui autorità si fonda sul possesso esclusivo di un sapere non comunicabile; ma questo sapere, in realtà, non gli conferisce alcuna particolare attitudine a definire i confini dell’equilibrio della vita. L’esperto non potrà mai dire dove si colloca la soglia della tolleranza umana: è la persona che la determina, nella comunità; e questo suo diritto è inalienabile.

domenica 6 giugno 2021

Il dominio del sapere come potere sugli altri

L’ideologia, la quale si fonda su ragioni superficiali ed esterne all’uomo, si presenta anch’essa come una soluzione-cura alla malattia di cui soffrono gli uomini (i famosi mali sociali). Essa riconosce che il corpo e la vita degli uomini sono malati, che c’è bisogno di cure, ed in questa prospettiva emerge la funzione del sacrificio. La scienza, venuta anch’essa a salvare l’uomo e il mondo dalle loro malattie, concepisce la vita e il vivere come un male da cui curarsi. Ne derivano altri mali, che nascono attraverso la cura, il progresso, la cura della natura. L’uomo e tutto il suo sviluppo non sono stati altro che decorsi di una più grande malattia: la soppressione della vita. La volontà di potenza è quindi intesa come rivolta degli uomini che, immaginandosi sani, vogliono vivere, liberati dalla grande ossessione di immaginarsi malati. La malattia è il non vivere, la cura è la soppressione della vita. La libertà parte dal riconoscersi sani, vivi, carichi di desideri da realizzare come godimento. Anche la democrazia presenta un aspetto molto comune: la malattia generalizzata fra gli uomini i quali si sentono rassicurati dal fatto che il vivere malati è di tutti. Nessuno gode, tutti si curano come meglio credono contro la vita. Tale è l’idea della democrazia: illudere gli uomini sulla impossibilità di godere, come condizione comune a tutti.

Siamo circondati da un mondo di "igienisti" del corpo e della mente. Sulle loro ragioni si sono costruite tutte le allucinanti prospettive degli uomini, volti permanentemente verso un compito di controllo e repressione della vita.

La nostra irresponsabile "follia" consiste nell’attaccare il concetto di "malattia" e, con questo, il concetto conseguente di "cura". E’ facendo perno su questa follia che possiamo veramente attaccare alla radice tutte le ragioni che sostengono il vecchio mondo, in quanto si rovesciano così tutte le prospettive dell’epoca attuale, basate sull’intenzione di mobilitare gli uomini contro se stessi, quindi di mantenere la dominazione come servitù volontaria.

Bruciare tutte le prospettive di un mondo forgiato sulle catene del sapere come potere sugli altri, significa avere messo a nudo le ragioni del dominio fra gli uomini, le quali si presentano sempre come ricerca di una soluzione per curare il mondo dei suoi mali. L’autoliberazione gioiosa di ciascuno e di tutti non può che forgiarsi sulla liberazione-realizzazione dei desideri individuali.


venerdì 4 giugno 2021

La gratuità appartiene alla tradizione contadina e operaia

La felicità non si paga, si strappa alla società che la vende.

I rossi mattini sono meno importanti della scintilla che li accende. 

L’emancipazione dei godimenti porta in sé la gratuità universale di cui perirà la civiltà mercantile.

Siamo così abituati ad aspettare, anche nei piaceri più ludici, il giro di manovella, lo scatto della ruota della fortuna, il conto da che il risultato infelice di ogni sovversione è già incluso nell’avventura. Pertanto, lo spirito di sconfitta e di disperazione è sempre sul punto di mordersi la coda come il cerchio vizioso della merce. La passione della distruzione ha cessato di essere una passione creatrice, ne è semplicemente un surrogato. In fondo alla disperazione dove ci hanno trascinato le società industriali, la gratuità comincia a farsi strada. Quando uno sciopero della cassiera libera i clienti dal loro ruolo e li aiuta a prendere e a dare senza contropartita, quando gli operai si mettono a distribuire le merci dei magazzini, quando la gente rifiuta di pagare l’affitto, la luce, i trasporti, quando l’esproprio abbandona la rabbia della disinibizione per giocare alla distribuzione festosa dell’abbondanza, possiamo domandarci se la proletarizzazione, attraverso lo scambio permanente, non trascini con sé anche la sua radicale liquidazione. Del resto il lasciarsi andare alla gratuità appartiene alla tradizione contadina e operaia.


mercoledì 2 giugno 2021

2 giugno: lo Stato si autocelebra

A pochi passi dalle nostre case si producono e si testano le armi impiegate nelle guerre di ogni dove. Le usano le truppe italiane nelle missioni di “pace” all’estero, le vendono le industrie italiane ai paesi in guerra. Queste armi hanno ucciso milioni di persone, distrutto città e villaggi, avvelenato irrimediabilmente interi territori.

Ogni 2 giugno la Repubblica celebra se stessa con esibizioni militari, parate e commemorazioni.

Lo Stato ha il monopolio legale della violenza. Guerre, stupri, occupazioni di terre, bombardamenti, torture, l’intero campionario degli orrori umani, se compito da uomini e donne in divisa, diventa legittimo, necessario, opportuno, eroico.

Le divise da parata, le bandiere, le medaglie non sono il mero retaggio di un passato più retorico e magniloquente del nostro presente da supermercato, ma la rappresentazione sempre attuale che lo Stato da di se stesso.

La democrazia reale, strumento duttile di ricambio delle élite, non può fare a meno della forza militare e poliziesca, modulandone l’impiego in base ai rapporti di forza che attraversano la società.

La funzione di polizia e quella militare si intrecciano sempre più. Gli interventi bellici oltre confine e sui confini sono considerati operazioni di polizia, mentre è diventato “normale” l’impiego dei militari con funzioni di ordine pubblico: la distanza tra guerra interna e guerra esterna sta scomparendo.

Con la pandemia ai militari sono state attribuite funzioni sin allora appannaggio delle forze dell’ordine: l’osmosi è completa.

Il coprifuoco serale, tipico dispositivo bellico, non serve a nulla contro il virus ma è uno dei tanti dispositivi disciplinari sperimentati grazie allo stato d’emergenza pandemico.

Gli svariati provvedimenti repressivi messi in campo nell’ultimo decennio per dare scacco agli indesiderabili, ai corpi in eccesso, ai sovversivi non sono sufficienti per un governo che ha deciso di mettere sotto controllo militare l’intera popolazione.

I militari sono per le strade dei quartieri dove arrivare a fine mese è sempre più difficile, dove si allungano le file dei senza casa, senza reddito, precari. Servono a prevenire e reprimere ogni insorgenza sociale, a mettere a tacere chiunque si ribelli ad un ordine sociale sempre più feroce.

La chiamano guerra al virus, ma è guerra ai poveri.

Le nostre già esigue libertà politiche sono state ulteriormente compresse. Il governo vieta i cortei, mentre chi lavora o studia è obbligato a prendere autobus sovraffollati, stare compresso in fabbriche e magazzini insalubri, chiudersi in classi pollaio.

Nel 2020 ci sono stati 26,3 miliardi di spese militari, un miliardo e mezzo in più rispetto al 2019. Quest’anno saranno molti di più. Calcolate quanti posti letto, quanti ospedali, quanti tamponi, quanta ricerca si potrebbe finanziare con questi soldi. Avrete la misura della criminalità di questo e di tutti i governi di questi anni.

In un anno di pandemia sono morte di covid oltre 125.000 persone, cui vanno aggiunte le decine di migliaia che hanno perso la vita, perché private di esami, visite, operazioni indispensabili per tenere sotto controllo le gravi patologie di cui erano affette.

Siamo di fronte ad una strage di Stato: la sanità è al collasso, ma aumentano la spesa militare, il sostegno alle grandi imprese, alla lobby del cemento e del tondino, all’industria bellica. 

Il governo costruirà una nuova base militare in Niger, un avamposto per gli interessi dell’ENI in Africa. Ogni sei mesi vengono rifinanziate le missioni militari. Sono oltre 40, tra cui spiccano quelle in Libia, Iraq, Niger, Afganistan, Libano, Balcani e Lettonia, per una cifra complessiva che supera ampiamente il miliardo di euro.

Negli ultimi mesi si sono aperti altri fronti dalla Libia al Sahel sino al Golfo di Guinea ed è cresciuto il numero di militari impiegati, che ha toccato gli 8.613.

Provate ad immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se i miliardi impiegati per ricacciare uomini, donne e bambini nei lager libici, per garantire gli interessi dell’ENI in Africa, per investire in armamenti, militari nelle strade fossero usati per scuola, sanità, trasporti.

Provate ad immaginare di farla finita, sin da ora, con stato, padroni, militari, polizia.

Ci raccontano la favola che una società complessa è ingovernabile dal basso mentre ci annegano nel caos della gestione centralizzata e burocratica delle scuole, degli ospedali, dei trasporti.

Costruiamo assemblee territoriali, spazi, scuole, trasporti, ambulatori autogestiti.

Cacciamo i militari dalle strade, blocchiamo la produzione ed il trasporto di armi, facciamola finita con tutti gli eserciti.

martedì 1 giugno 2021

I Miserabili – Ladj Ly

Si inizia con la felicità. Un’enorme, possente vibrazione collettiva. Parigi, la Francia ha vinto i Mondiali. Bandiere tricolori ovunque, una folla che ribolle di gioia e di grida. Un immenso respiro collettivo. Volti, sorrisi, grida. Forse sono qui, in questa gioia collettiva, in questo enorme sussulto di emozione, le parole chiave della rivoluzione francese: liberté, legalité, fraternité. Vediamo la folla, l’Arc de triomphe. E mentre vibriamo anche noi di questa gioia, imponente, implacabile, il titolo: I miserabili. Intanto la storia: tre poliziotti con la missione professionale di tenere sotto controllo un infuocato quartiere dell’hinterland parigino percorso dalle tensioni e pulsioni di ogni tipo, venato di criminalità grande e piccola, di una cronica patologia sociale. Uno è buono, uno è cattivo, uno 50 e 50. Il buono, Stéphane, è appena arrivato da un’altra città, è al suo debutto in quella squadra, crede nella legge e nella possibile emancipazione degli ultimi.

Il cattivo, ovviamente il capo del trio, è brutale, crede solo nella forza, è corrotto e colluso con i vari poteri occulti del quartiere, poteri al limite e oltre la legalità. Perlustrano, controllano, minacciano: la minaccia come deterrente e strategia di prevenzione del disordine. Ragazzini di strada. Famiglie complicate. Boss della droga e della prostituzione. Commercianti taglieggiati. Una comunità di Fratelli Musulmani con un imam ex galeotto riscattatosi grazie alla fede e leader indiscusso del quartiere, adorato e ammirato per la sua integrità, rettitudine, forza. E ancora: la figura ambigua di colui che viene chiamato il sindaco, un ruolo immagino semi-istituzionale ai bordi tra il caos e l’ordine delle istituzione, un “uomo del popolo” investito di quel pomposo titolo per dialogare, intercettare i germi dello scontento prima che si tramuti in rivolta, fare da cerniera tra il basso e l’alto. Poi abbiamo Buzz, che con un drone sorvola il quartiere e spia le proprie coetanee, e Issa, che si mette sempre nei guai per piccoli furti.

Proprio i due ragazzini sono la miccia dell’esplosione drammaturgica: Issa ruba un cucciolo di leone da un circo provocando tensione tra i proprietari di origine gitana e la comunità di colore, mentre Buzz riprende per puro caso con il suo drone il ferimento di Issa da parte dei poliziotti quando lo fermano per recuperare l’animale. Così inizia una caccia al video che potrebbe rovinare la vita dei colpevoli e macchiare la reputazione della polizia. La parte finale de “I miserabili” mostra la rivolta dei ragazzi che organizzano un’imboscata contro i tre poliziotti e si vendicano di tutti gli adulti coinvolti nei soprusi capitanati da Issa, umiliato e ferito il giorno prima per aver preso il cucciolo di leone. Il film riesce ad esplodere tutta la sua rabbia e la tensione accumulata, conducendo ad un finale di grande impatto. Ma Ly non ce lo racconta, chiude sul nero, e lascia all’oblio quella miseria a cui non è riuscito a dare giustizia.

Adolescente nella cité des Bosquets a Montfermeil (a est di Parigi), Ladj Ly ha acquistato a diciassette anni la sua prima videocamera per registrare le tensioni sociali e raccogliere le prove dei metodi della polizia contro i ragazzi del suo quartiere. Un giorno del 2008, la violenza ordinaria passa il limite e Ly filma il pestaggio di un minore ammanettato. Segue uno scandalo, un’indagine e la sospensione dal servizio di alcuni agenti. Quel video è l’origine dei Miserabili, declinato in un cortometraggio nel 2017 e nella versione in lungo due anni dopo. Un film sulla violenza della polizia, sul disagio di una moltitudine sociale capace di far collassare le istituzioni, e sulle disparità economico-culturali che specialmente in Francia sono giunte a un punto di non-ritorno. Non ci sono cattivi e non-cattivi, ma solo la cattiva volontà delle classi dirigenti. Dei politici, dei magistrati, dei ricchi, di quelli che in altri tempi avremmo genericamente chiamato “i padroni”. Che nel film non vediamo neanche in televisione, ma di cui i tre poliziotti sono tuttavia il “braccio armato”.


Il regista Ly ambienta la rivolta del suo film nel sobborgo parigino di Montfermeil, lo stesso in cui si trovava coinvolto Jean Valjean nei Miserabili di Victor Hugo nell’insurrezione repubblicana del giugno del 1832, quando il popolo cercò di rovesciare la monarchia. Tentativo fallito. Il giovane Hugo era già un repubblicano schierato e sedici anni dopo, in quel “quarantotto”, uomo e autore affermato, entrò a far parte della politica attiva come deputato dell’Assemblea Costituente, pronto a opporsi a Luigi-Napoleone quando da Presidente si elesse Imperatore. Hugo fu animatore del Comitato di resistenza repubblicana, in un tentativo, abortito, di sollevare il popolo parigino. I suoi “Miserabili” sono un manifesto, e una sintesi di tutti gli ideali libertari di cui era testimone.   

Il film di Ly si chiude con una citazione del maestro: “Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.”