..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 30 dicembre 2021

La vita come vogliamo che sia

Dipende solo da noi diventare gli inventori della nostra vita.

La chiave di svolta è in ciascuno. Non ci sono istruzioni per l’uso. Quando avete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete al riferimento a un nome – il nostro, il vostro – a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.

Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell’essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.

A forza di snaturare ciò che pareva ancora naturale, la storia della merce tocca il punto dove bisogna deperire con essa, o ricreare una natura, una umanità totali. Sotto l’inversione dove il morto mangia il vivo, il soprassalto dell’autenticità abbozza una società dove il piacere va da se.

Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell’intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione se non economica alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l’autonomia, c’è la lotta dei proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L’irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.

lunedì 27 dicembre 2021

Migranti! Aliens!

Nel 1919, a marzo trentanove 'indesiderati' furono portati a Ellis Island per completare le procedure di espulsione, tra loro Andrea Ciofalo del Gruppo Bresci di New York, a suo tempo tra gli espatriati in Messico. II Dipartimento del Lavoro prevedeva circa settemila deportazioni e la stampa riportava le reazioni soddisfatte delle autorità: "Gli Stati Uniti stanno per essere ripuliti dalla  presenza di stranieri anarchici e facinorosi."

Il primo a partire fu Pietro Marucco, un minatore del Gruppo Demolizione di Latobe, Pennsylvania, imbarcato sul transatlantico Duca degli Abruzzi. Durante la traversata, però, Marucco mori in circostanze non chiarite e fu sepolto in mare. Questo fatto fece crescere ulteriormente la tensione fra gli anarchici: esisteva forse un inconfessabile accordo tra i due governi per l’eliminazione dei sovversivi prima del loro arrivo in Italia?

In quei giorni un comunicato dal titolo Go-Headit! (Avanti!) firmato "The American Anarchists", fu diffuso in tutto l'Est del paese. I vecchi Fossili che governano gli Stati Uniti vedono rosso!

Subodorando la loro distruzione hanno tentato di tenere sotto controllo la tempesta promulgando la legge sulla Deportazione per tutti i rivoluzionari stranieri.

Noi, gli Anarchici Americani, non protestiamo, perché è Inutile sprecare energie con le persone deboli di mente guidate da Sua Maestà Fonografo Wilson.

Non pensiate che solo gli stranieri sono anarchici, siamo in gran numero anche qui.

La deportazione non impedirà alla tempesta di raggiungere le nostre coste. La tempesta é qui e molto presto vi farà saltare e annichilire nel sangue e nel fuoco.

Non avete mostrato pietà per noi. Non ne avrete da noi.

Deportateci! Vi faremo saltare in aria!

Deportateci tutti o liberateci tutti!

Fra le righe del documento si leggeva un appello alla classe operaia americana, l'eterna assente nella lotta di resistenza portata avanti dagli aliens e, per una volta, gli americani risposero bloccando per cinque giorni l'intera città di Seattle con uno sciopero generale. 

venerdì 24 dicembre 2021

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto.

Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.

Come liberarci da questa falsificazione e garantirci che non si ripresenti per l'ennesima volta in nuove forme?

Non esistono sistemi che garantiscano la libertà di tutti se si propongono di cominciare col toglierla a qualcuno....

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.

Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.

La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.
La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità, diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.

L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.

Come direbbe qualcuno: l'umanità soggettiva si nutre di un sogno che deve soltanto arrivare alla coscienza per diventare realtà.

La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo o di genere.

martedì 21 dicembre 2021

L’intelligenza collettiva e il copyright

L’intelligenza collettiva non è semplicemente un modo di lavoro collettivo, è anche una modalità operativa di conoscenza del mondo, creata dall’umanità nel suo procedere storico con un'enormità di artefatti cognitivi, disseminati negli oggetti, nei testi, nei comportamenti e nella lingua in generale.  In pratica il processo del nostro pensiero non si avvale esclusivamente degli input che emergono dall'interno, ma si appoggia a una parte della mente disseminata negli artefatti cognitivi di cui il mondo abbonda e nelle molteplici culture che si sono susseguite, mescolate e rielaborate. Questo vuol dire che non possiamo fare a meno dell'intelligenza collettiva per elaborare pensieri sensati, quindi qualsiasi cosa prodotta da ognuno di noi è contemporaneamente anche il frutto dello sforzo del resto della collettività nello spazio e nel tempo.

È difficile quindi pensare di poter assegnare ad alcuni il diritto di possedere una proprietà intellettuale esclusiva su qualcosa.

Il Copyright, la «riserva del diritto d'autore sulla riproduzione di un'opera» (libro, disco, programma che sia), è un chiaro esempio di come sia il denaro a scandire la nostra vita, a regolarla e ad orientarla. Quando andiamo in libreria e acquistiamo un libro, sborsando una somma più o meno elevata, ne usciamo solitamente soddisfatti di poter godere un bene che riteniamo di aver liberamente scelto. Ma non è proprio così. La nostra scelta dipende dalle nostre possibilità economiche, dalla selezione di libri che qualcuno ha messo "a nostra disposizione"; qualcuno che a sua volta ha dovuto scegliere fra i libri che un altro ancora ha scelto per lui. Dunque il lettore è condizionato dalle scelte del libraio, che è condizionato dalle scelte del distributore, che è condizionato dalle scelte dell'editore.

Il risultato di questo iter non ha nulla a che vedere con il nostro "sapere e la nostra "cultura", ma solo col conto in banca dei tanti bottegai. In tutto ciò il copyright svolge un ruolo importante, determinando le scelte di un editore, il prezzo di un libro, la sua stessa presenza in libreria, fino alla nostra possibilità di acquisto.

Come ogni proprietà. esso è un furto.

sabato 18 dicembre 2021

L’uomo libero

L’uomo libero è colui che esprime la propria sovranità di fronte alla legge, agli interessi, ai dettami dei valori dominanti, non ha partiti, né chiese ai quali appartenere, non ha terre né cieli da conquistare, non ha né individui né popoli da sottomettere.

L’uomo libero crede nell’amore di sé e per gli altri, ma soprattutto fa tutto ciò che il suo dissidio gli suggerisce. I percorsi in utopia dell’uomo libero sono un invito alla resistenza e una via aperta alla clandestinità, le sue armi non stanno nelle caserme, nelle redazioni dei giornali, nelle sedi dei partiti, le armi dell’uomo libero sono nella sua testa, nelle sue mani, nell’amore per tutto quanto è estremo e trasognante.

L’uomo ibero è ribelle in ogni luogo, libero di cambiare il mondo e di introdurvi i venti irrequieti della diversità che annunciano il nuovo.

La disobbedienza civile e la ribellione dei poveri, degli umiliati, degli offesi, sono il percorso accidentato verso una società più giusta e più umana.

La radicalità della ribellione invece si fonda sulla richiesta di comunità, sulla fine dei falsi idoli, sulla caduta delle dottrine del consenso sociale.

La ribellione afferma un diritto, il rifiuto dell’obbligazione politica e della genuflessione alla potenza delle istituzioni. I dogmi della società sono specchi dell’obbedienza che rientrano nel campo delle necessità private, mentre la visione e l’azione del ribelle rientra nel campo della libertà pubblica. La vera libertà è quella che ci costruiamo con le proprie mani e con le proprie idee. La disobbedienza del ribelle non risente dell’obbligo morale di rispettare la legge né le giustificazioni economiche, politiche degli indici della Borsa lo interessano, perché non c’è nessun fondamento civile che giustifichi la cattività nella quale è tenuta dai paesi ricchi una grande parte di umanità.

Nell’uomo nuovo cova il ribelle, l’uomo planetario, l’uomo dall’animo nobile che grida fuori dalle masse silenziose il proprio amore per la bellezza, la giustizia, la libertà di tutti gli uomini. Il ribelle non perdona né archivia, strappa ciò che è stato fatto, ed è capace di dar luogo a un nuovo inizio proprio là dove tutto sembrava concluso.

mercoledì 15 dicembre 2021

La chiave di svolta è in ciascuno di noi

La chiave di svolta è in ciascuno di noi. Non ci sono istruzioni per l'uso. Quando avrete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete del riferimento a un nome  — il nostro, il vostro — a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.

Dipende solo da noi diventare gli inventori della nostra vita. Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell'essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.

Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell'intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione — se non economica — alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l'autonomia, c'è la lotta dei  proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L'irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.

La buona terra sa vedere in tutte le cose, in tutti gli eventi e in tutti gli uomini una semenza, una pioggia, un raggio di sole benvenuti. Si arricchisce di quello che prende come di quello che offre.

domenica 12 dicembre 2021

Rosario Sànchez Mora, la Dinamitarda

Rosario Sànchez Mora è nata a Villarejo de Salvanés in Spagna nel 1919. Suo padre, Andrés Sánchez, ha un'officina dove ripara automobili, cucine e attrezzi agricoli mentre sua madre muore qualche anno prima dell’inizio della guerra civile. Rosario rimase a Villarejo de Salvanés fino all'età di 16 anni quando va a vivere a Madrid a casa di amici. Al suo arrivo a Madrid, diventa militante comunista e lavora come apprendista di sartoria in un circolo culturale della Gioventù Unificata Socialista. Sanchez diventa una delle prime donne a unirsi alle milizie repubblicane contro le forze nazionaliste guidate dal generale Francisco Franco. Rosario si unì ai repubblicani all'età di 17 anni il 17 luglio 1936, lo stesso giorno in cui l'esercito spagnolo si ribellò per la prima volta contro la Seconda Repubblica Spagnola. Il 18 luglio 1936, Madrid aveva interrotto la rivolta militare iniziata il giorno prima nel protettorato spagnolo del Marocco, che si era diffuso come petrolio in tutta la penisola. Migliaia di lavoratori avevano aggredito la Caserma della Montagna, il fulcro principale dei ribelli, e si stavano preparando a difendere la città dall'autoproclamata Armata Nazionale, che stava avanzando da nord per impadronirsi dei bacini di Lozoya.

Dozzine di camion partirono la mattina del 19 per le montagne piene di giovani che si erano offerti volontari per combattere, convinti che nel giro di pochi giorni sarebbero tornati a casa. Tra quelli che viaggiavano su uno di quei camion, sulla strada per Buitrago, c'era una ragazza di diciassette anni, Rosario Sánchez Mora. Si era arruolata il pomeriggio precedente, senza dire nulla alla sua famiglia, nel centro culturale Aída Lafuente, che la Gioventù Unificata Socialista (JSU) aveva in 10 San Bernardino Street, a pochi isolati da casa sua.

Dopo due settimane di combattimenti, in cui riuscirono a contenere i ribelli, la guerra in montagna smise di essere una battaglia aperta e divenne una battaglia di posizioni. Rosario fu poi assegnato alla sezione dei dinamitri, che era sotto il comando del capitano Emilio González. González, un minatore trivellatore di Sama de Langreo (Asturie) specializzato nella gestione di esplosivi e dinamite. Il gruppo aveva sede in una casa abbandonata tra Buitrago e Gascones, a circa cinque chilometri dalla linea di fuoco, dove avevano una piccola polveriera in cui immagazzinavano gli esplosivi e costruivano bombe rudimentali. I manufatti in questione erano lattine di latte condensato che venivano riciclate in bombe a mano. Il processo era semplice: la lattina con chiodi, viti e vetro, veniva riempita con la dinamite. Il barattolo veniva poi chiuso con il suo coperchio e legato con spago e stracci in modo che il contenuto non si rovesciasse. Per la face d’innesco si occupava personalmente il capitano González. 

La mattina del 15 settembre, Rosario e i suoi compagni si esercitavano con bastoncini di dinamite, molto più facili da maneggiare rispetto alle bombe in scatola. Durante l’esercitazione la cartuccia esplose nella mano destra di Rosario, riducendola in poltiglia.Gravemente ferita, è stata operata all'ospedale della Croce Rossa a La Cabrera, dove sono riusciti a salvarle la vita. 

Rosario ritornò al fronte fu ricevuta come eroina e assegnata al Comitato di Agitazione e Propaganda. 

"La mia è stata una vita dura e coraggiosa, perché se non la avessi affrontata non saprei cosa sarebbe successo a me", dice Rosario settant'anni dopo quella mattina di luglio del 1936. Fino alla sua morte il 17 aprile 2008, a Madrid all’età di 88 anni, Rosario ha continuato ad essere una donna ribelle con un ricordo prodigioso, che si sforza di conservare i suoi ricordi scrivendoli in enormi quaderni ad anelli. "Lottare per la libertà", dice, "ne è valsa la pena".


giovedì 9 dicembre 2021

La libertà delle parole

La libertà delle parole esiste se resta una libertà soltanto a patto che si restituisca alle parole quella vita inscindibile dal vissuto quotidiano, senza la quale una lingua si fossilizza e diventa stereotipo.

La libertà di dire tutto esiste soltanto se la si rivendica di continuo. Rinnega se stessa se si riduce a un consumo passivo di idee preconcette, la cui proliferazione caotica la soffoca.

La libertà delle parole ridà vita al linguaggio, al contrario dell’economia che ne fa una lingua morta, rinsecchita, composta di vocaboli intercambiabili, oggetto di scambio e non elemento soggettivo e intersoggettivo, nato dalla magia, dall'incanto, dalla poesia. Infatti è nella natura del linguaggio il radicarsi nella vita, in quanto esperienza fondamentale dell’esistenza quotidiana, che diversifica gli esseri e le cose, che li allontana e li avvicina ma, costituendo la loro sostanza comune, non li separa mai.

La libertà d’espressione non deve essere messa al servizio della difesa dell’umano: essa appartiene, in quanto libertà, alla libertà dell’umano. Non è soltanto ciò che desta la coscienza è il portavoce del suo risveglio: è il linguaggio restituito al vivente, quello che esprime il modo in cui viviamo il mondo e lo stile con cui intendiamo viverlo.

La libertà d’espressione smetterà di essere il surrogato della libertà d’azione quando la vitalità e l’efficienza che essa racchiude in sé scongiureranno e scoraggeranno le contraffazioni creando una consonanza tra la fraternità delle parole e la fraternità degli uomini.

Rompere con il vecchio sistema di sfruttamento che ci ha dominati finora significa restituire al linguaggio quella vocazione poetica dotata in origine, del potere di influire sulle circostanza e sul destino degli esseri.

lunedì 6 dicembre 2021

L’egoismo – Max Stirner

L’egoismo cui fa riferimento Stirner, tuttavia, non va inteso nel senso più comune e basso del termine, ma proprio nel senso di una nuova consapevolezza individuale: la consapevolezza di essere padroni di se stessi e di poter disporre liberamente delle proprie facoltà e potenzialità, senza dover rendere conto a qualche presunto valore universale che abbia la pretesa di porsi come ideale verso cui gli individui dovrebbero aspirare. Inoltre, la consapevolezza dell’egoismo, che consiste poi nella consapevolezza della propria unicità, del proprio essere in-fondati, del non avere un’essenza umana da realizzare, una volta generalizzata, porterebbe secondo Stirner a una condizione che definisce di uguale disuguaglianza, dove ogni singolo individuo, oltre a essere consapevole della propria unicità, è consapevole anche dell’unicità di ogni altro singolo individuo, di modo che si arriverebbe a riconoscere a tutti gli individui un uguale valore assoluto. In questo senso, l’egoismo di Stirner si configura quale nuovo paradigma esistenziale alternativo a quello idealistico; un paradigma per il quale i rapporti tra individui non saranno più di tipo gerarchico, cioè rapporti obbligati di sfruttamento, ma saranno rapporti caratterizzati dal reciproco interesse, dalla libera scelta, rapporti diretti, cioè non mediati da alcuna presunta idea superiore, prima fra tutte l’idea di Dio e dello Stato. Solo in questo modo, secondo Stirner, potranno darsi le condizioni affinché ogni singolo individuo possa sviluppare le proprie potenzialità e si raggiungeranno i presupposti per una vita che non sia più di tipo rinunciatario, alle dipendenze di un qualsiasi ideale, ma che sia invece libera e gioiosa. Rispetto a quest’ultimo punto, anche se non mancano alcune indicazioni, Stirner non fornisce istruzioni concrete su come dovrà configurarsi tale nuovo modello di vita, e non lo fa proprio perché non si ha a che fare con un modello: il suo infatti non è un progetto politico né una nuova utopia, ma tematizza solamente un diverso modo di intendere le relazioni tra individui, vale a dire in modo appunto non più gerarchico ma orizzontale, di reciprocità. In questo senso il valore ancora del tutto attuale di quest’opera risiede nel fatto che la sua critica al sistema idealistico, cioè a un sistema di valori ritenuti fondamento dell’esistenza, può benissimo essere applicata a qualsivoglia ordinamento politico e sociale, con tutte le implicazioni che tale critica comporta. e inoltre, allo stesso tempo, quest’opera suggerisce la possibilità di un’alternativa, un’alternativa tutta da costruire, ma che a ogni modo può sempre fungere da orizzonte, in modo da orientare le nostre scelte.

venerdì 3 dicembre 2021

L'attesa è in sé meravigliosa – André Breton

Al culmine della scoperta, dall'istante in cui, per i primi navigatori, fu in vista una nuova terra, a quello in cui approdarono; dall'istante in cui uno scienziato poté convincersi di avere assistito a un dato fenomeno fino a lui ignoto a quello in cui cominciò a valutare la portata della sua osservazione  — abolito ogni senso della durata, nell'ebbrezza della chance — un sottilissimo pennello di fuoco lascia sprigionare o completa come nient'altro il senso della vita. È alla riproduzione di questo particolare stato dello spirito che il surrealismo ha sempre aspirato, disdegnando in ultima analisi la preda e l'ombra in favore di ciò che non è già più l'ombra e non è ancora la preda: l'ombra e la preda fuse in un unico lampo. 

Si tratta di non lasciare, dietro di sé, che i sentieri del desiderio si aggroviglino. Per scongiurare ciò, nell'arte, nelle scienze, non c'è risorsa migliore che questa volontà di applicazioni, di bottino, di raccolta. Al diavolo ogni prigionia, fosse anche in nome dell'utilità universale, fosse anche nei giardini di pietre preziose di Montezuma! Ancora oggi, se mi aspetto qualcosa è soltanto dalla mia disponibilità, da questa sete di vagare incontro a tutto; e sono certo che essa mi  mantiene in comunicazione misteriosa con gli altri esseri disponibili, come se fossimo chiamati da un momento all'altro a riunirci. Mi piacerebbe che la mia vita non lasciasse dietro di sé altro mormorio che quello di una canzone di veglia, di una canzone per ingannare l'attesa. Indipendentemente da ciò che sopraggiunge, o non sopraggiunge, l'attesa è in sé meravigliosa.