..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 30 settembre 2021

Afgane: un alibi che non regge

La vita e la libertà delle donne rappresentano la cartina di tornasole di uno scontro di civiltà messo in scena da decenni. Il ritiro delle truppe NATO dall’Afganistan ha rapidamente riportato al potere i talebani, che hanno immediatamente ricostituito l’emirato islamico dopo vent’anni di occupazione del paese.

Nell’accordo siglato nel 2020 dal misogino fascista Trump con i rappresentanti dell’Emirato e sottoscritto dal suo successore Biden c’era un solo punto cruciale: l’impegno a non sostenere attivamente la Jihad islamica fuori dai confini del paese. Quest’impegno è stato ribadito dai talebani nella prima conferenza stampa dopo l’ingresso a Kabul. Punto.

La resa della NATO era senza altre condizioni.

Lo status delle donne non è mai stato sul tavolo delle trattative, perché si trattava di un affare “interno”.

Eppure nel nostro paese, che ha partecipato attivamente alla “coalizione dei volenterosi”, la narrazione mediatica prevalente ha messo al centro le donne. La concreta possibilità che vengano massacrate, sottomesse, chiuse in case, stuprate è il fulcro del dibattito pubblico.

Intendiamoci. Gli appelli delle donne che in questi anni hanno studiato, lavorato, acquisito un po’ di autonomia sono veri e strazianti. Suscitano una rabbia forte ed impotente. La schiavitù e la violenza che sta investendo queste donne è, ancora una volta, strumento di propaganda sulla superiorità della civiltà occidentale.

Le narrazioni delle donne, le immagini dell’aeroporto di Kabul, i ponti aerei per salvare una manciata di collaborazionisti e di persone di cultura sono solo fumo negli occhi, un tentativo di far credere che, nonostante la disfatta finale, vent’anni di occupazione e guerra fossero giusti.

Nel 2001 le truppe NATO si legarono all’Alleanza del Nord, scalzata dal potere dai talebani nel 1996, ed ormai trincerata nelle inaccessibili valli del Nord. Quelli dell’Alleanza del Nord erano islamisti radicali di altra scuola e di altre etnie rispetto ai talebani pashtun. La condizione femminile durante il loro governo non era stata meno dura che sotto il tallone degli “studenti di dio” seguaci delle scuole deobandi, fiorite nelle aree tribali del Pakistan.

Le donne di RAWA, Associazione delle donne rivoluzionarie afgane, che dal 1977 si battono contro i fondamentalisti, non hanno mai salutato le truppe NATO come liberatori, consapevoli che la vita e la libertà delle donne afgane erano un mero fiore all’occhiello, non un obiettivo reale.

Nascondere la sconfitta politica e militare sotto la fitta cortina di fumo del salvataggio di alcune donne, uomini e bambini è solo l’ultimo atto di un’occupazione militare arrogante e feroce.

I militari governativi che si sono arresi senza combattere, perché così prevedeva l’accordo tra Stati Uniti e talebani, troveranno presto nuova collocazione al servizio dei nuovi padroni. Per le donne e le ragazze che, specie nelle città, erano riuscite ad ottenere qualche margine di autonomia, non ci sarà spazio, se non nel rischio e nella lotta.

Le guerre di “civiltà” si combattono su due fronti. Ovvio che l’emirato afgano segnasse la propria vittoria assoggettando le donne, vero terreno di battaglia sul quale si chiude questa ultima fase della guerra.

La manciata di donne “salvate” con il ponte aereo saranno, probabilmente senza volerlo, al servizio della propaganda occidentale. Finché non si spegneranno nuovamente i riflettori.

In Afganistan e nella diaspora femminista continueranno a lottare clandestinamente tante donne e ragazze, che in quasi cinquant’anni si sono passate il testimone, tessendo una tela a volte invisibile ma dall’ordito potente.

lunedì 27 settembre 2021

I refrattari

L'età dell'oro degli antichi era basata sulla proprietà comune, e mai venne in pensiero alle nature poetizzanti il passato, che la felicità degli uomini fosse compatibile con la proprietà individuale. Essi sapevano per intuizione o per esperienza che tutti i mali e tutti i vizi dell'umanità provengono dell'antagonismo degli interessi, creato dalla appropazione individuale, e mai essi sognare una società senza guerre, senza omicidi, senza prostituzione, senza delitti e senza vizi che non fosse anche senza proprietari.

È perché noi non vogliamo più né guerre, né omicidi, nè prostituzione né vizi né delitti che lottiamo per la libertà e per la dignità umana.

Malgrado tutti i bavagli la parola della verità risulterà sulla terra e gli uomini trasaliranno ai suoi accenti essi si alzeranno al grido di libertà per essere gli artigiani della propria felicità. Di modo che noi siamo forti della nostra stessa debolezza, perché qualsiasi cosa possa accadere di noi noi vinceremo.

La nostra servitù insegna agli uomini che essi hanno diritto alla ribellione, la nostra prigionia insegna che essi hanno diritto alla libertà e con la nostra morte essi impareranno che hanno diritto alla vita.

Quando fra pochi istanti noi ritorneremo in prigione e voi ritornerete alle vostre famiglie gli spiriti superficiali pensano che noi siamo i vinti. Errore! Noi siamo gli uomini dell'avvenire,  voi siete gli uomini del passato.

Noi siamo domani Voi siete ieri.

Perciò noi saremo felici della nostra sventura trionfanti della nostra miseria vincitori della nostra disfatta. Noi saremo felici qualunque cosa accada, perché noi siamo certi che al soffio dell'idea rinnovatrice altri esseri giungeranno alla verità, altri uomini riprenderanno il nostro compito interrotto e lo condurranno a buon fine; per ultimo siamo convinti che verrà giorno in cui l'astro che indora le messi brillerà sull'umanità senza eserciti, senza cannoni, senza frontiere, senza barriere, senza prigioni, senza magistrature, senza polizia senza legge e senza dei.

Liberi intellettualmente fisicamente e riconciliati con la natura con loro stessi gli uomini potranno finalmente spengere la loro sete di giustizia all'armonia universale. cosa importa che l'armonia di questo grande giorno si è incorporata dai bagliori dell'incendio cosa importa che al mattino di questo giorno La rugiada sia sanguinosa. La tempesta è utile alla purificazione dell'atmosfera.

L'uomo libero nell'umanità libera potrà camminare senza ostacoli di conquista in conquista verso l'infinito delle intellettualità.

 

Dalla dichiarazione di Etievant all'Assise di Versailles

27 Luglio 1892


venerdì 24 settembre 2021

Un'economia municipalizzata è un'economia morale

Qualsiasi movimento rivoluzionario comunista libertario deve, a mio avviso, riconoscere l'importanza della municipalità come il Locus di nuovi problemi che riguardano più classi e che non possono essere ridotti semplicemente alla lotta tra lavoro salariato è capitale. I problemi del degrado ambientale riguardano tutti i membri della comunità; così come i problemi delle ingiustizie sociali ed economiche; i problemi di salute, istruzione, condizioni sanitarie e l'incubo della crescita insensata. Il capitalismo e un sistema espansivo compulsivo la moderna economia di mercato impone che le imprese debbano "crescere o morire" nulla impedisce al capitalismo di industrializzare tutto il pianeta espandendosi sempre di più ogni volta che è pronto a farlo. Solo la completa ricostruzione della società e dell'economia può porre fine ai dilemmi sollevati dalla globalizzazione: lo sfruttamento dei Lavoratori e l'aumento del potere delle aziende fino al punto di minacciare la sopravvivenza di gran parte del nostro pianeta. Solo una politica economica di base - fondata su un progetto e un movimento municipalista libertario - può offrire un'alternativa importante ed è proprio una alternativa in grado di arrestare l'impatto della globalizzazione, ciò che molte persone cercano oggi.

il capitale globale a causa della sua enormità può essere sradicato solo con un movimento municipalista libertario al centro della società. Deve essere eroso dalle moltitudini che mobilitate da un movimento di base, sfidino la sovranità del capitale globale sulle loro vite e cerchino di sviluppare alternative economiche locali e regionali alle sue operazioni industriali.

Un'economia municipalizzata - lenta come può essere nel suo divenire - è un'economia morale che privilegia la qualità dei suoi prodotti e la loro produzione a basso costo;  può In definitiva sperare di sovvertire un economia d'azienda in cui il successo è  misurato interamente dai profitti piuttosto che dalla qualità dei prodotti.

La società capitalista ha conseguenze non solo sulle relazioni economiche e sociali, ma anche sulle idee e le tradizioni intellettuali come sulla storia, Le frammenta fino a quando le conoscenze e perfino la realtà si confondono, spogliate di qualsiasi distinzione, specificità e articolazione.

Il municipalismo libertario deve essere concepito come un processo, una pratica paziente che inizialmente avrà un successo limitato e anche allora solo in aree selezionate che forniranno esempi delle possibilità che si potrebbero  ottenere se adottate su larga scala non cresceremo una solita municipalista libertaria dall'oggi al domani. Pazienza, costanza e impegno sono qualità che i nostri vecchi Compagni rivoluzionari hanno  coltivato assiduamente. 

martedì 21 settembre 2021

Il fallimento del capitalismo liberale

Il Capitalismo è fallito anche nel suo rapporto con la Natura, che ha preteso di dominare come una sposa e trasformare in pura e semplice merce. La sua logica interna produttivista, implacabile, che lo spinge a produrre e consumare ininterrottamente, la sua pretesa di una crescita senza limiti e quasi senza una meta, si scontra con il limite di una Natura che non obbedisce a tali parametri di sussistenza e che oramai sopra del problema di ristabilire la propria salute. Per molti la distruzione dell'ambiente, l'inquinamento dell'aria dell'acqua, la deforestazione eccetera, ferite irreversibili che la Natura sta subendo sotto l'egemonia del Capitalismo, sono il segno più evidente del fatto che questo sistema è stato sconfitto a causa della sua stessa attività, della sfida che ha lanciato, visto che ha finito per rendersi la vita letteralmente impossibile. Non è possibile prorogare ancora a lungo il modo di produzione capitalista senza che ciò significhi la fine di tutto - e, dunque, la sua stessa fine.  Un capitalismo globalizzato, assolutamente mondializzato, suggerisce l'idea di un capitalismo che conosce per la prima volta la coercizione dei limiti insormontabili, un capitalismo irrigidito, stagnante, spossato, che ormai può incanalare la propria dinamica di crescita (e di distruzione) solo verso l'interno, divorando le proprie basi, il proprio nutrimento: la Natura. La logica dell'espansione sarà sostituita da una necrologica della putrefazione, conseguenza di questa specie di suicidio dovuto all'impossibilità di fermarsi. E' chiaro che questo momento non è ancora arrivato e che al capitalismo rimane ancora a corda.

Ma va in questa direzione e se l'uomo con le proprie mani non si sbarazza della natura (e al tempo stesso di se stesso), sarà la natura a sbarazzarsi dell'uomo

sabato 18 settembre 2021

La nostra è una cultura di morte

 

Noi sappiamo cosa significano questi luoghi introvabili: se la fabbrica non esiste più, è che lavoro è ovunque - se la prigione non esiste più è che il sequestro e la reclusione sono ovunque nello spazio/tempo - se il manicomio non esiste più, è perché il controllo psicologico e terapeutico si è generalizzato e banalizzato - se la scuola non esiste più, è che tutte le fibre del processo sociale sono impregnate disciplina e di formazione pedagogica - se il capitale non esiste più (nè la sua critica marxista) è che la legge del valore è passata nell'autogestione della sopravvivenza in tutte le sue forme ecc., ecc.. Se il cimitero non esiste più, è che le città moderne tutte intere ne assumono la funzione: sono città morte e città di morte. E se la grande metropoli operativa è la forma perfetta di un'intera cultura, Allora la nostra è semplicemente una cultura di morte.

mercoledì 15 settembre 2021

È venuta l’ora di rompere

La vita non è che una ricerca continua di qualcosa a cui aggrapparsi. Ci si alza al mattino per ritrovarsi, uno stock d’ore più tardi, di nuovo a letto, tristi pendolari tra il vuoto di desideri e la stanchezza. Il tempo passa e ci comanda con un pungolo sempre meno fastidioso. Le prestazioni sociali sono un fardello che non sembra ormai piegare le spalle, perché lo portiamo con noi ovunque. Obbediamo senza la fatica di dir di sì. La morte si sconta vivendo, scriveva il poeta da un’altra trincea.

Possiamo vivere senza passione e senza sogni – ecco la grande libertà che questa società ci offre. Possiamo parlare senza freni, in particolare di ciò che non conosciamo. Possiamo esprimere tutte le opinioni del mondo, anche le più ardite, e scomparire dietro il loro brusio. Possiamo votare il candidato che preferiamo, chiedendo in cambio il diritto di lamentarci. Possiamo cambiare canale ad ogni istante, caso mai ci sembrasse di diventare dogmatici. Possiamo divertirci ad ore fisse e attraversare a velocità sempre maggiore ambienti tristemente identici. Possiamo apparire giovani testardi, prima di ricevere secchiate gelide di buon senso. Possiamo sposarci fin che vogliamo, talmente sacro è il matrimonio. Possiamo impegnarci utilmente e, se proprio non sappiamo scrivere, diventare giornalisti. Possiamo fare politica in mille modi, anche parlando di guerriglie esotiche. Nella carriera come negli affetti, possiamo eccellere nell’obbedire, se proprio non riusciamo a comandare. Anche a forza di obbedienza si può diventare martiri, e questa società ha ancora tanto bisogno, a dispetto delle apparenze, di eroi.

La nostra stupidità non apparirà certo più grande di quella altrui. Se non sappiamo deciderci, non importa, lasciamo scegliere gli altri. Poi, prenderemo posizione, come si dice nel gergo della politica e dello spettacolo. Le giustificazioni non mancano mai, soprattutto in un mondo di bocca buona. In questa grande festa dei ruoli ognuno di noi ha un fedele alleato: il denaro. Democratico per eccellenza, esso non guarda in faccia nessuno. In sua compagnia non c’è merce o prestazione che non ci sia dovuta. Chiunque ne sia il portatore, esso pretende con la forza di un’intera società. Certo, questo alleato non si dà mai abbastanza e, soprattutto, non si dà a tutti. Ma la sua è una gerarchia speciale, che unisce nei valori ciò che è opposto nelle condizioni di vita. Quando lo si possiede, si hanno tutte le ragioni. Quando manca, si hanno non poche attenuanti. Con un po’ di esercizio, potremmo trascorrere intere giornate senza una sola idea. I ritmi quotidiani pensano al posto nostro. Dal lavoro al “tempo libero”, tutto si svolge nella continuità della sopravvivenza.

È venuta l’ora di rompere con l’unica globale comunità attuale: quella dell’autorità e della merce.

Il segreto è cominciare davvero.

domenica 12 settembre 2021

Lo Stato astrazione distruttrice della comunità vivente

Lo Stato non è la società, ma una sua forma storica tanto brutale quanto astratta. È nato storicamente in tutti i paesi dal matrimonio tra la violenza, la rapina, il saccheggio, in breve la guerra, la conquista, e gli dei creati dalla fantasia teologica delle nazioni. Esso è la sanzione divina della forza bruta e dell’iniquità trionfante, la storica consacrazione di ogni dispotismo e privilegio, la ragione politica di ogni servitù economica e sociale, il centro e l’essenza stessa di ogni reazione. Come suprema impersonificazione del principio di autorità sulla terra, lo Stato è per natura ente assoluto, espressione intrinseca della sovranità tout-court. In quanto astrazione politica è la negazione generale della società e degli interessi positivi delle regioni, dei comuni, delle associazioni e del più gran numero degli individui. Esso è un’universalità divorante, un’astrazione distruttrice della comunità vivente e dunque un grande macello e un immenso cimitero, ove generosamente, serenamente, vengono a lasciarsi immolare e seppellire tutte le aspirazioni reali, tutte le forze vive di un paese.

Il rapporto tra Stato e società è dunque un rapporto alienato, che scaturisce precisamente dalla natura astratta dell’entità statale rispetto alla concretezza reale della vita sociale. In virtù di questo Logos intrinseco, lo Stato esprime la sua profonda vocazione nell’espansione interna ed esterna: interna verso la società, esterna verso gli altri Stati sovrani. Verso la società perché la domina e tende ad assorbirla completamente, verso gli altri Stati sovrani perché vorrebbe espandersi a spese loro, con la conseguenza di una permanente tensione di guerra. L’esistenza di uno Stato sovrano ed esclusivo presuppone infatti l’esistenza e, se necessario, provoca la formazione di altri Stati similari, poiché è ovviamente naturale che gli individui al di fuori di esso e da esso minacciati nella loro esistenza e nella loro libertà, si associno, a loro volta, contro di lui. Abbiamo così l’umanità divisa in un numero indefinito di Stati stranieri, tutti ostili e minacciosi tra loro, per cui si deve concludere che Lo Stato è la più flagrante, la più cinica, la più completa negazione dell’umanità. Esso frantuma la solidarietà universale di tutte le persone sulla terra e li spinge all’associazione al solo scopo di distruggere, conquistare e rendere schiavi tutti gli altri.  


giovedì 9 settembre 2021

Le forme di sfruttamento

 I primi pensieri del proletario sono la coscienza dello sfruttamento di cui è vittima e la rivolta contro questo sfruttamento. Ma la rivolta pure e semplice non ha senso; essa è priva di efficacia. Dal momento in cui ci sono degli sfruttati, ci sono dei ribelli. Questi ribelli hanno ucciso e si sono fatti uccidere; essi non hanno distrutto e neppure il più delle volte ottenuto un'attenuazione dello sfruttamento. Non è sufficiente sollevarsi contro un ordine sociale fondato sulla oppressione, bisogna cambiarlo, e non lo si può cambiare senza conoscerlo. Ciò che il proletariato dove sopprimere non è lo sfruttamento in generale, bensì la forma specifica di sfruttamento che subisce: lo sfruttamento capitalistico. Bisogna che il proletariato conosca le caratteristiche di questo modo di sfruttamento, al fine di sapere che tipo di supporto offrire all'azione degli oppressi che vogliono liberarsi. A questo scopo si rende indispensabile una visione storica dei differenti modi di sfruttamento in rapporto le forme successive di produzione.

lunedì 6 settembre 2021

Il nostro servaggio

Non è un dio che lo manda dal cielo, non è il caso che ce lo invia, non è questa o quella categoria di uomini ignoranti o malvagi che l'impongono: è la società tutta che lo fomenta e lo conserva a dannazione di tutte le generazioni. 

 Le classi dominanti che opprimono e spogliano, le classi diseredate che si lasciano asservire e sfruttare, i legislatori che impongono leggi antinaturali ed inique, i sudditi che le rispettano, il gendarme che imprigiona, il cittadino che ne rispetta l'autorità, tutti infine - chi in un modo, chi in un altro - siamo i fautori diretti del nostro male, mantenendo in piedi i sistemi barbarici e le istituzioni di miseria e di morte che fanno di noi un'anonima accozzaglia di abbrutiti e di schiavi.

Ed il male sta appunto qui: nel conservare le cause che lo determinano: l'autorità costituita e la proprietà privata. La prima che soffoca ogni principio di libertà, facendo del cittadino un automa, uno strumento di oppressione nelle mani dello Stato; la seconda che lo immiserisce, lo spoglia e lo affama a beneficio di pochi privilegiati. Il disagio economico che regna in seno alle popolazioni, le sommosse e i tumulti cagionati dalla fame, la disoccupazione che aumenta straordinariamente in tutti i paesi, il crescendo spaventoso della criminalità, il dilagare della prostituzione e del vizio, l'alcoolismo ed un'infinità di malattie dovute alla mancanza di alimentazione sana e sufficiente, nonché le pessime condizioni igieniche nelle quali trascorre la vita dell'operaio, sono i frutti venefici della proprietà privata, gli effetti immediati del monopolio delle ricchezze che toglie ai nove decimi dell'umanità ogni mezzo di sviluppo e di vita.

All'autorità costituita - altra istituzione nefanda che impera colla brutalità e la forza, in difesa del privilegio e della nequizia - si debbono attribuire tutte le violentazioni fatte alle libertà cittadine, tutte le persecuzioni al pensiero, tutte le barbarie commesse nelle prigioni, tutti i massacri compiuti sulle moltitudini affamate ed inermi, tutte le guerre e le carneficine che hanno lasciato pagine di orrore e di sangue nella storia dell'umanità. La proprietà privata (privilegio economico) e l'autorità costituita (privilegio politico) sono dunque le cause generatrici di tutti mali.

Se le rivoluzioni popolari che si sono succedute nel corso dei tempi, non hanno dato, dal punto di vista sociale, che dei pessimi risultati, si è perché lasciarono intatte queste due cause di spogliazione e di schiavitù.

Si credeva che cambiando forma al governo, si sarebbero migliorate le condizioni del popolo; si credeva che abolendo una casta per dare il mestolo in mano ad un'altra si sarebbe ottenuto quel benessere e quella libertà che erano nell'aspirazione di tutti. Errore! I nuovi padroni sostituiti ai vecchi, non fecero che ribadire i ceppi della nostra schiavitù. Sotto la monarchia come sotto l'impero, sotto la repubblica come sotto la monarchia, il popolo fu sempre affamato ed oppresso. La prossima rivoluzione sociale darà i medesimi risultati negativi di tutte le altre che la precedettero, se non distruggerà perfino i vestigi di queste due formidabili colonne su cui riposa l'edificio sociale: la proprietà privata e l'autorità.

 

Tratto da Cronaca Sovversiva, 8 luglio 1905

venerdì 3 settembre 2021

La nostra vita è unica, singolare, irripetibile

Quando scienza e tecnologia, da strumenti di oppressione e dominio quali sono, possono essere trasformati in strumenti disponibili alla forza liberatrice dell'immaginazione, allora è possibile pensare e realizzare un mondo modellato dalla sensibilità estetica.

La realizzazione della dimensione estetica dell'esistenza accomuna i movimenti di avanguardia artistici e politici contemporanei.

Su questo terreno pratica artistica e pratica politica risultano convergenti.

Oggi, infatti, agire politico vuol dire creare forme autonome di esistenza, liberare la vita quotidiana, costruire come opere d'arte il tempo e lo spazio del nostro vivere.

Oggi praticare forme di antagonismo e di sovversione adeguate all'attuale modo di produzione post-industriale (che regola, condiziona, determina, domina e mette in produzione tutti i singoli momenti della nostra esistenza) vuoI dire creare nuove forme di vita, vuoI dire assegnare ad ogni attimo, ad ogni azione della nostra giornata, un valore estetico.

Oggi ogni prassi antagonista deve necessariamente tendere alla riconquista della pienezza dell'esistenza attraverso l'azzeramento della distanza che separa la pratica artistica dalla pratica di liberazione della vita quotidiana.

Sottrarre la nostra vita al dominio ed allo sfruttamento, al lavoro forzato ed al bisogno, alla mercificazione ed alla sopravvivenza significa non solo combattere contro questa forma della realtà, ma anche mettere in atto una realtà altra, mettere in atto forme e modi di vita differenti.

Significa immaginare una vita degna di essere vissuta e praticare questa immaginazione trasformando, subito, la forma, i modi, i tempi della nostra esistenza.

La nostra vita è unica, singolare, irripetibile. Essa può diventare l'unica e sola opera d'arte che valga davvero la pena di realizzare.

Dobbiamo imparare a stimarla come cosa rara. Dobbiamo imparare ad assegnare, ad ogni suo momento, il valore che merita. Non possiamo svenderla ad un padrone, buttarla via nella noia della sopravvivenza, mortificarla con il lavoro forzato e con la vuotezza in cui cercano di imprigionarla.

mercoledì 1 settembre 2021

Viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo

Viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo; c’è una sproporzione mostruosa tra il corpo dell’uomo, lo spirito dell’uomo e le cose che costituiscono attualmente gli elementi della vita umana; tutto è squilibrio. Non esiste categoria, gruppo o classe di uomini che sfugga a questo squilibrio divorante, ad eccezione forse di qualche isolotto di vita più primitiva.

Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. Partecipazione naturale, cioè imposta automaticamente dal luogo, dalla nascita, dalla professione, dall’ambiente. Ad ogni essere umano occorrono radici multiple. Ha bisogno di ricevere quasi tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente.

Si può intendere per libertà qualcosa di diverso dalla possibilità di ottenere senza sforzo ciò che piace. Esiste una concezione ben diversa della libertà, una concezione eroica che è quella della saggezza comune. La libertà autentica non è definita da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un rapporto tra il pensiero e l’azione”.

Disporre delle proprie azioni non significa affatto agire arbitrariamente; le azioni arbitrarie non derivano da alcun giudizio e, se vogliamo essere precisi, non possono essere chiamate libere. Ogni giudizio si applica a una situazione oggettiva, e di conseguenza a un tessuto di necessità. L’uomo vivente non può in alcun caso evitare di essere incalzato da tutte le parti da una necessità assolutamente inflessibile; ma, poiché pensa, ha la facoltà di scegliere tra cedere ciecamente al pungolo con il quale essa lo incalza dal di fuori, oppure conformarsi alla raffigurazione interiore che egli se ne forgia; e in questo consiste l’opposizione tra servitù e libertà.

Perché tutto il resto può essere imposto dal di fuori con la forza, compresi i movimenti del corpo, ma nulla al mondo può costringere un uomo a esercitare la sua potenza di pensiero, né sottrargli il controllo del proprio pensiero.