..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 30 agosto 2023

Perché continuare a delegare? (parte 2)

Non esistono governi buoni:

...e come sarà mai possibile che il destino di un Popolo stia in buone mani, quando la scelta de' ministri si farà da una corte o mediatamente o immediatamente! Sarà un prodigio o un mero azzardo se verrà scelto un uomo dabbene”. (Si è mai realizzato il prodigio? Quante altre ere storiche sareste disposti ad aspettare prima di veder compiuto questo prodigio, se mai si compirà? O lasciate che sia il caso a decidere per voi?)

Verri ragiona sulle varie possibilità di governo, anche quello eletto dal popolo, non esclude nulla, e dopo aver preso in considerazione persino l'utopia di un governo presieduto da un animo buono, dice:

ma gli uomini anche buoni talvolta cessano di essere tali, e il maggior pericolo di prevaricare è appunto quando sono rivestiti di un pubblico potere”. (Non circola forse quel proverbio che dice “l'occasione fa l'uomo ladro?”)

La cosa su cui insiste il Verri, in più punti del testo e persino nel titolo, è anche il fatto che su questi argomenti egli non abbia studiato alcun libro, come a dire che anche gli ignoranti sono capaci di decodificare questi concetti:

Queste sono le idee che non ho cavate dai libri ma nella solitudine, ragionando con me medesimo, e scavando, come dissi, nel mio cervello per trovarvi la verità”.

Alla fine del Settecento, l'idea di una “repubblica” era paragonabile a quella di un'anarchia. La repubblica, nel suo originario senso (oggi nascosto, cassato del tutto) veniva davvero considerata essenzialmente un'utopia. Ed è rimasta un'utopia, visto che oggi le repubbliche sono tali soltanto nominalmente (come le “democrazie”), sono cioè diventate custodie in ottone lucidato per contenervi subdole dittature. Ma il Verri adopera la parola “repubblica” nel senso vero e originario, nell'idea anarchica di una gestione diretta e popolare della società. E dopo aver stabilito che la forma migliore di governo è quella in cui il popolo detiene il controllo di tutto, termina il discorso in questo modo:

Se qualch’altro mi rimproverasse, perché nel mio scritto non vi sia civismo, io mi limiterò a invitarlo, perché dia in questi tempi alla Patria de’ consigli più opportuni de’ miei”.

Insomma, da allora sono passati 227 anni, ci sembra che di governi ne abbiamo visti e sopportati abbastanza. Aspettiamo ancora? E se non vi bastano 227 anni possiamo andare ancora indietro nella Storia, dove troveremo un grande Etienne de la Boétie (XVI secolo) che parla in merito alla condizione di “servitù volontaria” del popolo, troveremo Diogene (412 a.C.), fino a trovare le antichissime genti oppresse da quegli imperi che i media definiscono impropriamente, ma astutamente, “civiltà” (babilonesi, sumeri, egizi, ittiti, assiri, ecc.). Insomma, per dirla alla Verri, se scorriamo gli ultimi 3000 anni di Storia ci troveremo sempre di fronte a “una popolazione che sin ora non ha saputo far altro se non soffrire con sommessione”. Cosa vi fa illudere ancora che una vostra delegazione di vampiri possa darvi la libertà, la pace e la giustizia che meritate?

domenica 27 agosto 2023

Perché continuare a delegare? (parte 1)

 

Ci dicono: “ma come potete ottenere l'anarchia se viviamo circondati da gente mafiosa e profittatrice, aggressiva e malvagia? Siate realisti!” Così ci dicono. Intanto, tra parentesi, facciamo notare quel “potete” che è come dire: fate da soli che a noi non interessa (qualunquismo opportunista). Ma continuiamo.

La questione va ribaltata: quella stessa domanda che in molti ci pongono, in realtà siamo noi per primi a rivolgergliela, lo facciamo da sempre, e a ragion veduta. Quindi la ribadiamo ancora per tutti: “come potete voi, o elettori, continuare a credere di trovare un vostro rappresentante, quando siamo circondati da vampiri malvagi e profittatori?” Non sarete piuttosto voi gli utopisti, dal momento che non è mai esistito nella storia un solo governo che abbia garantito al popolo pace, giustizia, libertà? E come potrebbe? È un controsenso pretendere giustizia e libertà da un'istituzione preposta al comando e al controllo della massa. Siate voi i realisti, piuttosto.

È inutile cercare nella memoria, per davvero non è mai esistito un solo governo che abbia restituito ai cittadini ciò che spetta loro, ciò che apparteneva a loro per diritto naturale. Semmai i governi tolgono, rubano alla gente, è il loro compito, sono servili strumenti dello Stato. Se invece di cercare nella memoria cercassimo negli archivi, nelle biblioteche, ci accorgeremmo che il lamento del popolo è antico quanto lo Stato e i governi, ci si lamenta praticamente da 3000 anni circa (prima vivevamo in florida anarchia). Ma guardateli bene i libri di storia scolastici, cercatene il sottotesto, non sono altro che la summa delle lotte per la sopravvivenza dei popoli che protestano contro tutti i governi e che, con l'inganno, vengono mandati a morire per conto dei sovrani (ma astutamente alla gente viene detto che si muore “in nome del popolo sovrano” e di una “libertà”che però rimane sempre un'utopia).

In Italia la storia dei lamenti del popolo va ben oltre il 1861. Se andiamo indietro nel tempo ci accorgiamo che i governi regionali, di qualsiasi natura e nome, hanno avuto le stesse caratteristiche dei governi attuali sedicenti “democratici”. Eletti o non eletti, i sovrani e i ministri non fanno altro che opprimere il popolo, derubandolo. E saremmo noi anarchici i sognatori e gli utopisti? In poco più di centocnquanta anni (dalla Comune di Parigi), nonostante tutti gli ostacoli, tutte le censure, tutti i soprusi che ci tocca subire, abbiamo dimostrato più volte cosa voglia dire governo del popolo, pace, giustizia e libertà. La stessa cosa non si può dimostrare in 3000 anni di sistema statale. Fate voi. (valga questo esempio per tutti).

Ma prendiamo soltanto il governo di Milano subito dopo gli anni della Rivoluzione francese, nel 1796, cioè 65 anni prima dell'unità d'Italia. È stato ritrovato un testo di quell'anno, scritto da Pietro Verri (filosofo, economista, storico, politico) per la rivista “Termometro politico della Lombardia”, dal titolo “Pensieri d'un buon vecchio, che non è letterato”, che è una raccomandazione al popolo milanese e in cui Verri evidenzia le stesse nefandezze che tutti noi denunciamo oggi circa i ministri e i loro governi.

Copiamo pari pari, anche la punteggiatura, partendo dall'inganno della rappresentatività. Dice Pietro Verri:

“...quando un sovrano pretende d'esser padrone d'uno stato, tutti gli abitanti di quello stato sono nelle mani dei ministri che nomina quel sovrano”. (Non è sempre stato così?)

Verri si sofferma ad analizzare questi ministri (“cortigiani”), ed emerge non solo la loro immoralità, ma anche il loro unico scopo che è quello di arricchirsi:

I cortigiani in massa son gente, o divorati dalla smania di figurare senz'alcun merito, ovvero sono pieni di debiti e non di raro di delitti; e questo miserabile stato dell'animo loro è quello che li costringe a starsene con faccia ridente e sommessa, nell'abituale adorazione del sovrano; a trangugiare con serenità i bocconi più amari, a non avere altra opinione fuori di quella che conduce alla fortuna”. (Non è sempre stato così?)

Segue il modo in cui, nel governo, ministri e privilegiati vari si autopercepiscono l'un con l'altro:

Ivi un animo fermo e robusto dee essere odiato: un animo candido e leale deve essere deriso: un animo sensibile vi passerà per imbecille. Vidi e conobbi anch'io le inique corti”. (Avete conosciuto nella Storia corti diverse da queste?).

giovedì 24 agosto 2023

Gli anarchici e l’emigrazione italiana in Brasile

L’esodo delle masse lavoratrici europee che nella seconda metà dell’800 emigrarono nelle Americhe portò con sé tutti quegli elementi culturali che contraddistinguevano le popolazioni che ne furono protagoniste, compresa quella serie di apparati filosofici e ideologici sorti dopo la Rivoluzione francese, fra cui spiccavano per importanza e diffusione il socialismo e l’anarchismo. Chi professava in patria queste dottrine era spesso soggetto alla persecuzione delle oligarchie dominanti e “l’esilio” nelle Americhe poteva rappresentare una valida alternativa al carcere. Questo esilio, più o meno volontario, degli attivisti anarchici europei era spesso visto di buon occhio dagli stessi governanti, che potevano considerare l’emigrazione come un’ottima valvola di sfogo per alleggerire la pressione sociale in Europa. Per quanto riguarda gli italiani, l’emigrazione di massa nei primi anni si diresse maggiormente verso l’America Latina, e in modo particolare verso il Brasile. Accadde così che numerosi piccoli intellettuali della penisola, militanti di ideologie ritenute sovversive o in qualche modo foriere di rinnovamento sociale, si ritrovassero nel Paese sudamericano a svolgere la propria propaganda in un contesto completamente nuovo, in cui le oligarchie dominanti erano costituite essenzialmente dalla nobiltà di origine coloniale (ma non solo), mentre gli strati socialmente più bassi della popolazione erano formati dai nativi, spesso ex schiavi neri, a cui si aggiungevano gli emigrati di origine europea. Nella città di São Paulo la propaganda anarchica veniva svolta tramite conferenze, dibattiti, rappresentazioni teatrali di carattere didattico (i testi più frequentemente rappresentati erano i drammi di Pietro Gori, benché anche i militanti locali producessero una discreta quantità di letteratura didascalica), ma soprattutto tramite la redazione di giornali e foglietti di propaganda. Nel periodo che va dal 1892 al 1920 si contano più di venti differenti testate italiane dichiaratamente anarchiche, alcune delle quali ebbero durata pluriennale, come a “La Birichina”, “La Battaglia” o “La Lotta Proletaria”. Il tentativo di coinvolgere il proletariato in forme di lotta collettiva si scontrava fondamentalmente con due difficoltà, una endogena e l’altra esogena rispetto alla società brasiliana. La prima era costituita dalle caratteristiche pre-moderne dei rapporti di lavoro nelle fazendas brasiliane (le piantagioni di caffè): la proprietà della terra era fortemente concentrata e i latifondisti, ancora in possesso di una mentalità schiavista (l’economia caffeicola brasiliana si era fondata sul lavoro servile fino alla sua definitiva abolizione, avvenuta solo nel 1888), esercitavano un potere assoluto di stampo feudale nei propri possedimenti.

La visione classista della società propugnata dagli anarchici veniva da questi additata come priva di fondamento, una “pianta esotica” portata da pochi agitatori europei in una realtà che non rispondeva a questa lettura. La seconda difficoltà era data dalle aspettative di arricchimento ed emancipazione individuale che gli immigrati in generale avevano, e la scarsa ricettività che un messaggio di rinnovamento sociale da attuare attraverso una lotta collettiva poteva avere presso di loro, per lo meno nei primi anni di emigrazione di massa. Per questo l’opera degli attivisti anarchici fu efficace quando riuscì a inserirsi nelle dinamiche più quotidiane del proletariato, sostituendo con la pratica collettiva dell’azione diretta (scioperi, boicottaggi, danneggiamento dei mezzi di produzione) le pratiche convenzionali con le quali il contadino (divenuto operaio nelle fabbriche di São Paulo) era solito affrontare le avversità dell’esistenza, in particolare le pratiche religiose, la ricerca di sicurezza nel clan familiare e le prospettive individuali di ascesa sociale.

lunedì 21 agosto 2023

Elisée Reclus pensatore vivente

 

Rinomata personalità della storia della geografia e del pensiero politico, Elisée Reclus dovrebbe essere studiato come un pensatore vivente, in quanto promotore di idee estremamente attuali. In primo luogo il geografo può essere definito come il primo grande “teorico dell’ecologia sociale”, avendo trasformato la geografia sociale in una complessiva visione del mondo, che individua gli stretti legami esistenti fra società e ambiente naturale. La sua opera precorre i tempi nell’analisi di diverse questioni ecologiche, come la deforestazione, la distruzione del paesaggio, gli abusi dell’agricoltura industrializzata e il bisogno di una ricostituzione ecologica dell’ambiente. Altrettanto pionieristica è la sua politica ecologica, che lega la soluzione di problemi sociali ed ecologici alla necessità di una radicale trasformazione politica ed economica della società. Reclus ci offre inoltre una delle più complete analisi del problema del dominio nella storia del pensiero politico, anticipando i risultati di studi successivi. Le sue convinzioni scaturiscono da una filosofia della storia sottile e dialettica, che cerca di svelare sia gli elementi di progresso sia quelli regressivi di ogni processo storico. Secondo Reclus ci si muove verso una società libera e solidale, basata sull’amore per l’umanità, per gli altri esseri viventi e per l’intero mondo naturale. Questa visione anarchica esprime una prospettiva morale che prefigura sotto molti aspetti l’etica della cura ed enfatizza l’importanza della trasformazione individuale per un più profondo cambiamento della società.

venerdì 18 agosto 2023

L’utilizzo del consenso come abdicazione della libertà

La società dei consumi interiorizza semplicemente la costrizione sociale, trasformando la paura della repressione in vergogna della emarginazione. Il paradosso è che la libertà circolante nella democrazia dei consumi “libera” tutte le forme di licenza corruttrice ed oltretutto miope e contraddittoria in funzione di un unico scopo, quello dell’interesse esclusivamente individuale che, per corrispondenza all’abrasione sociale dell’individualità, elimina semplicemente la relazionalità come condizione e partecipazione all’umanità. Contestare le istituzioni significa, contestare questo monopolio espropriante che mantiene in uno stato di inferiorità e di dipendenza permanente anzi progressiva, gli individui che compongono la società e che invece di maturare attraverso e grazie ad essa sono costretti sempre più e in ogni campo ad obbedire a chi comanda con una giustificazione che riduce di molto la differenza tra metodi violenti e metodi democratici, quando questi si avvalgono di mezzi di persuasione che fanno del consenso una vera e propria abdicazione alla libertà di giudizio e cioè all’esercizio effettivo della coscienza.

martedì 15 agosto 2023

Eroi o disertori nella prima guerra mondiale

Al Festival di Spoleto del 1964 la presentazione della canzone “disfattista” Gorizia suscita scandalo e le proteste ufficiali di varie associazioni d’arma, nonché alcune interrogazioni parlamentari e l’incriminazione dei responsabili per vilipendio delle Forze Armate (la strofa incriminata recitava: “Traditori signori ufficiali/ questa guerra l’avete voluta/ scannatori di carne venduta (e rovina della gioventù)”.

Il gruppo dei grufoli

Il giorno 25 giugno del 1915, mentre il Caporal Maggiore passeggiava in via Cavour in Verona fu avvicinato da un soldato di Cavalleria che gli introdusse nella bottoniera della giubba un foglio di carta piegato. Apertolo e accortosi che si trattava di uno stampato “sovversivo” inseguì il distributore il quale, in compagnia di altri due soldati, proseguiva la via continuando a distribuire altri foglietti identici ai militari che incontrava. Insieme a M. L. era il sergente L. e vi si unì anche l’ufficiale di picchetto di Castelvecchio. I tre soldati, accortisi dell’inseguimento, si diedero alla fuga. Due furono raggiunti e identificati nelle persone dei soldati di Cavalleria F. P. e S. F., il terzo si dileguò né fu rintracciato. Iniziatesi le indagini e dopo una perquisizione furono identificati altri nuovi soldati del reggimento, i quali avevano “relazioni fra di loro ed erano collegati in opera criminosa tendente a scalzare la disciplina dell’esercito”. Come elementi a carico degli imputati, furono rinvenute delle lettere contenenti numerose espressioni di indole sovversiva e inneggianti a ideali rivoluzionari; tra le frasi più salienti furono notate: “Carissimo Grufolo saluta tutto il gruppo dei Grufoli” e l’indirizzo al soldato Grufolo Grufoletti, quinto Grufolini, all’interno frasi auguranti il trionfo dell’internazionale anarchica; in un’altra lettera, diretta ai “Carissimi Grufolini”, fu rinvenuto un articolo scritto per un giornale “sovversivo”; due fogli supplemento al “Libertario” intitolati Mentre la tragedia precipita; una foto di gruppo dove S. F. appariva con una fascia a bandoliera su cui si leggeva la parola “ANARCHIA”. Tutti i soldati incriminati furono giudicati colpevoli di propaganda sovversiva e condannati a pene variabili dai dieci ai venti anni di carcere.

sabato 12 agosto 2023

Spoliticizzazione delle masse

Il dominio, il potere, nella politica e nella strada, in pace come in guerra, appartiene a chi è meglio equipaggiato tecnicamente. La borghesia è stata sostituita da una classe tecnocratica che non è nata da una rivoluzione antiborghese ma dalla crescente complessità sociale provocata dalla lotta di classe e dall’intervento statale. Sul cammino verso una nuova società basata sull’alta produttività procurata dall’automazione e sull’economia dei servizi, la borghesia si è trasformata in una nuova classe dominante. Questa non si basa sulla proprietà privata o sul denaro, ma sulla competenza e la capacità di gestione; la proprietà e il denaro sono necessari ma non determinanti. La forza della classe dominante non proviene esclusivamente dall’economia, né dalla politica e nemmeno dalla tecnica, ma dalla fusione delle tre in un complesso tecnologico di potere che Mumford chiamò “megamacchina”. Se la tecnica, diventata l’unica forza produttiva, ha permesso il trionfo dell’economia, ora l’economia, creando il mercato mondiale, ha spianato il cammino alla tecnica, e questa impone la dinamica espansiva della produzione di massa al mondo intero. A modo suo ha ridicolizzato la figura dello Stato, degradando la sua storia e il suo ruolo dopo che l’economia lo ha convertito nel padrone più grande e la tecnica lo ha trasformato in un macchinario di governo e di controllo delle masse. Dalla fine del XIX secolo la stabilità del sistema capitalista è stata ottenuta grazie all’intervento dello Stato, che ha messo in atto una politica economica e sociale correttrice. Lo Stato ha smesso di essere una sovrastruttura autonoma per fondersi con l’economia e presentarsi come un terreno neutrale in cui il confronto tra le classi poteva trovare soluzioni. Lo Stato diventava il garante dei miglioramenti sociali, della sicurezza e delle opportunità. Lo Stato “del benessere” fu un’invenzione che assicurava al tempo stesso la rivalorizzazione del capitale e l’acquiescenza delle masse. Al suo interno la politica si trasformava progressivamente in amministrazione, si professionalizzava, si orientava verso la soluzione di questioni tecniche. Quand’anche il regime politico fosse una democrazia, la politica non poteva essere oggetto di discussione pubblica: in quanto esposizione e risoluzione di problemi tecnici richiedeva da un lato un sapere specializzato – era una tecno politica – nelle mani di una burocrazia professionista, e dall’altro un allontanamento – una spoliticizzazione – delle masse. Il progresso tecnico ha ottenuto questa spoliticizzazione. Ha avuto la capacità di isolare l’individuo nella società, circondandolo di marchingegni domestici e immergendolo nella vita privata. D’altra parte, ciascuna tappa del cosiddetto progresso annulla la precedente, sviluppando un dinamismo compulsivo in cui la novità è accettata semplicemente per il fatto di essere una novità e il passato viene relegato all’archeologia. In questo modo crea un continuo presente in cui non succede niente dato che niente ha importanza e in cui gli uomini sono indifferenti.

mercoledì 9 agosto 2023

L’economia al posto di comando

L’economia al posto di comando significa inesorabilmente disarmonia e conflitto, perché ogni volta che essa funziona, funziona soltanto per un settore o per una parte (se poi non funziona non funziona per nessuno se non per LORO). Bilanci, fatturati, e indici di produzione appartengono a una grande bugia, perché nel mondo sottomesso all’economia, in testa a tutte le classifiche c’è la produzione di infelicità. Questa è la merce definitiva, il prodotto dei prodotti.

Perché l’economia non domina SOLTANTO l’esistenza sociale, ma è scivolata ben dentro le menti, i comportamenti, le relazioni personali: guadagno, risparmio, investimenti, ricavi e costi, sono categorie che l’umanità è arrivata ad applicare a ogni circostanza; in questo senso l’economia è la più diffusa e micidiale delle sostanze inquinanti, la vera droga pesante con miliardi di tossicodipendenti. Il prezzo antropologico che l’umanità paga per qualche dose/bustina di benessere economico è lo sterminio e la depressione delle ricchezze vitali.

Non è certo nelle mani degli economisti che c’è un futuro per l’economia. Perché come tutti coloro che pretendono di seguire una fredda oggettività, gli economisti costruiscono una disciplina estranea alla ricchezza vitale. E ormai sempre più una disciplina separata, specializzata, freddamente oggettiva e razionale, non è soltanto odiosa, è anche profondamente stupida.

Alleggerire l’economia da ogni primato e da ogni privilegio è il solo modo per riservarle una possibilità di salvezza (sempre se vale la pena salvarla). Alla borsa, nelle banche e nelle menti andrebbe messo un cartello con scritto: senza espansione della felicità niente sviluppo economico.

domenica 6 agosto 2023

Kropotkin, Scienza e Anarchia

Scrive Kropotkin: «L’Anarchia è il risultato inevitabile del movimento intellettuale nelle scienze naturali movimento che cominciò verso la fine del XVIII secolo». La identificazione kropotkiniana fra scienza e progresso sociale e fra scienza e anarchismo, stabilisce così il primato assoluto della conoscenza e della ragione nel processo dell’emancipazione umana, un processo quindi strettamente condizionato dallo sviluppo scientifico. Specificamente l’identificazione è fra il metodo dell’anarchia e quello induttivo delle scienze naturali. Lo scopo è quello di evidenziare, nell’accostamento metodologico, la sostanziale analogia fra natura e anarchia. Scrive infatti Kropotkin: «studiando i progressi recenti delle scienze naturali e riconoscendo in ogni nuova scoperta una nuova applicazione del metodo induttivo, vedevo nello stesso tempo, come le idee anarchiche, formulate da Godwin e Proudhon e sviluppate dai loro continuatori, rappresentavano pure l’applicazione di questo stesso metodo alle scienze che studiano la vita delle società umane». Kropotkin però non si limita a una identificazione attinente al campo metodologico, ma amplia tale identificazione al campo più vasto della concezione anarchica e della concezione della natura, fondendo così Scienza e Anarchia in una weltanschauung di forte significato: «l’Anarchia è una concezione dell’universo, basata sulla interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita della società». Addirittura essa si delinea come strumento generale di comprensione scientifica in grado «d’elaborare la filosofia sintetica, ossia la comprensione dell’Universo nel suo insieme». Per Kropotkin, dunque, si può assegnare alla scienza non solo una funzione ideologica in senso progressista e libertario, ma anche, per converso, assegnare all’anarchismo il compito di una comprensione scientifica che si identifichi con quella delle scienze naturali. Natura, spontaneità, libertà, ecco i tre termini delineati sopra qui uniti dal filo della spiegazione scientifica come giustificazione della loro duplice sequenza progressiva, perché se si può arrivare all’anarchia partendo dalla natura, si può ritornare a spiegare questa partendo dall’anarchia. E ciò per il particolare significato che Kropotkin assegna alle scienze naturali, quelle scienze, appunto, in grado di operare l’accostamento fra natura e cultura, fra scienza e valori. L’accostamento è spiegato da Kropotkin in questo modo. Dopo la rivoluzione copernicana – che ha dato un colpo mortale al geocentrismo – ogni scoperta scientifica confermerebbe il fatto che la struttura dell’universo non ha un centro specifico di forza e di direzione della forza. Spingendo in questa direzione è possibile trovare un riscontro obiettivo il quale confermi che la struttura oggettiva della natura, della materia e dell’intero universo è costituzionalmente non gerarchica: «il centro, l’origine della forza, trasferito una volta dalla terra al sole, si trova ora sparpagliato, disseminato: è dappertutto e in nessun luogo». Pertanto la struttura dell’universo è costituzionalmente non gerarchica perché si basa su un’armonia «che è la risultante degli innumerevoli sciami di materia, che si muovono ognuno dinnanzi a sé tenendosi l’un l’altro in equilibrio». Il significato ideologico che Kropotkin dà a questa scoperta scientifica è evidente: è cioè una spiegazione descrittiva tesa a giustificare un valore normativo. Basti pensare al concetto di federalismo anarchico così come, ad esempio, è definito da Proudhon: «il centro politico è ovunque, la circonferenza in nessun punto». Il passaggio dalle scienze della natura alle scienze umane non trova quindi ostacoli per Kropotkin, perché questa costituzionale non gerarchia della materia è confermata non solo dall’astronomia, ma da «tutte le scienze senza eccezione quelle che trattano della natura, .. quelle che si occupano dei rapporti umani». Esse si informano al criterio che non esistono leggi naturali prestabilite, che l’armonia della natura è la risultante fortuita e temporanea di un processo di scontri e incontri all’interno della struttura materiale. Ciò che chiama legge non è altro che un rapporto fra certi fenomeni, i quali hanno un carattere condizionale di causalità: se un certo fenomeno si verifica in certe condizioni ne seguirà un altro e così via. Se un tale fenomeno dura dei secoli, «è perché ha impiegato secoli per stabilirsi; un altro non durerà che un attimo, se la sua forma di equilibrio è nata in un attimo». Pertanto non c’è «nessuna legge, ma il fenomeno: ogni fenomeno governa quello che gli succede, non la legge». Possiamo osservare anche qui una continuità fra il pensiero kropotkiniano e il pensiero anarchico in questa interpretazione antigerarchica della natura. Bakunin aveva scritto che in essa «non esiste alcun governo e quelle che si chiamano leggi naturali non sono altro che il normale svolgersi dei fenomeni e delle cose che si producono in modo a noi ignoto nel seno della causalità universale» La sostanziale supposta analogia fra l’anti-gerarchia della natura e l’anti-gerarchia della società umana è da realizzare, è per Kropotkin imposta dallo sviluppo scientifico, precisamente dalla sua metodologia che tende a costruirsi non attraverso sistemi generali precostituiti, ma secondo una continua analisi di divisione della materia in cellule autonome sempre più piccole e interdipendenti. Per cui se un tempo «la scienza studiava i grandi risultati e le grandi somme (gli integrali direbbe il matematico), oggi studia gli infinitamente piccoli, gli individui che compongono le somme e di cui ha finito per riconoscere l’indipendenza e l’individualità, contemporaneamente alla loro stessa intima aggregazione».

giovedì 3 agosto 2023

Vivere o sopravvivere

Deve essere sempre chiara la differenza tra sopravvivere e vivere.

Dobbiamo portare a termine un capovolgimento di prospettiva nella nostra vita e nel mondo. Niente deve essere giusto per noi, al di fuori dei nostri desideri, della nostra volontà di esistere. Rifiutiamo ogni ideologia di potere legata alla macchina ed ai suoi addentellati, con le loro miserabili relazioni sociali cardine di questa ultramoderna società computerizzata a nuovo ordine mondiale: il sogno è di capovolgere questo paesaggio teatrale della merce feticcio, delle proiezioni mentali, delle separazioni e delle ideologie, arte, urbanistica, etica, cibernetica, spille da attaccare all’occhiello, stazioni radio o messaggi televisivi che dicono di amarti e detersivi che hanno compassione delle tue mani.

Ogni giorno la gente è privata di una vita autentica, ed in cambio le viene venduta la sua rappresentazione.

Perché non liberare una volta tanto ciò che nella maggior parte della giornata sentiamo continuamente dentro di noi, la spinta a distruggere il sistema che ogni giorno con mezzi diversi ci schiaccia il cervello? Bisogna far esplodere dal loro ruolo la nostra maniacale resistenza passiva, la rabbia soggettiva del suicida, i bamboccioni sul divano, l’omicida solitario, il teppista vandalo di strada, l’automobilista pirata, il neo-dadaista, il malato senza il letto, l’alienato di professione; in modo che tutti possano, che tutti possiamo partecipare alla distruzione come progetto rivoluzionario, per poter cambiare poi la sostanza stessa della nostra vita attraverso la trasformazione delle macerie rimaste.

 

venerdì 30 giugno 2023

Kropotkin e il mutuo appoggio – parte seconda

Con il Mutuo Appoggio Kropotkin ci offre una storia totale poiché “la storia scritta fino ad oggi, non è per così dire, che una descrizione delle vedute e dei mezzi con i quali la teocrazia, il potere militare, l’autocrazia e più tardi la plutocrazia sono stati stabiliti e mantenuti. Le lotte tra queste differenti forze formano l’essenza stessa della storia. Possiamo dunque ammettere che si conosce già il fattore individuale nella storia del genere umano. (....) al contrario il fattore del mutuo appoggio non ha attirato nessuna attenzione. Era dunque necessario mostrare la parte immensa che questo fattore rappresenta nell’evoluzione del mondo animale e in quella della società umana.”93. La storia dell’uomo, per il principe ribelle non è altro che una variabile della grande storia della natura, “tutta la storia dell’umanità può essere considerata, in definitiva come la manifestazione di due tendenze: da una parte la tendenza degli individui o dei gruppi a impadronirsi del potere per sottomettere le grandi masse al loro dominio; dall’altra, la tendenza a mantenere l’uguaglianza e resistere a questa conquista del potere, o a, limitarla.”94. L’età comunale e l’età moderna sono i due poli di questa filosofia della vita, la prima rappresenta l’epoca delle decentralizzazione, dello sviluppo culturale ed artistico, della collettività produttiva, della democrazia dal basso che fonda l’idea di collettività nazionale, del mutuo appoggio; la seconda è l’epoca della volontà di potenza, dello stato che penetra in ogni ambito della vita individuale e collettiva, dell’individualismo sfrenato, dell’oppressione delle masse violenza. Allo stesso modo, in questo dualismo evolutivo, a fare la storia, per Kropotkin, non sono i grandi uomini ma le masse anonime che attraverso la spontanea solidarietà collettiva contribuiscono a costruire la società. “Nella pratica del mutuo appoggio, che risale fino ai più lontani principi dell’evoluzione, troviamo così la sorgente positiva e sicura delle nostre concezioni etiche; e possiamo affermare che il grande fattore del progresso morale dell’uomo fu il mutuo e non la lotta. Ed anche ai giorni nostri, è in una più larga estensione di esso che vediamo la migliore garanzia per una più alta evoluzione della nostra specie”95. Siamo dinanzi alla formulazione dell’idea che la società è un fenomeno naturale esistente fin da prima dell’apparizione dell’uomo, e che l’uomo per sua natura è portato a rispettarne le leggi senza bisogno di regolamenti artificiali. Kropotkin “vuole confermare l’esistenza di una spontanea autofondazione della società quale premessa storica decisiva per concepire la possibilità di una sua edificazione anarchica”96. Ma come è possibile giungere ad una condizione di mutuo appoggio collettivo che favorisca la nascita della società anarchica? E’ necessaria un’etica realistica ed umana.


lunedì 26 giugno 2023

Kropotkin e il mutuo appoggio – parte prima

L’anarchico russo sulla base di indagini etologiche condotte personalmente sul campo e sulla scorta di altri studi affini, cerca di dimostrare che nell’evoluzione animale il ruolo della competizione e del conflitto va notevolmente ridimensionato. La sua valenza, poi è assolutamente insignificante qualora si considera il fenomeno evolutivo all’interno di una stessa specie. Secondo lo scienziato russo, infatti, il processo evolutivo rende manifesto il dispiegarsi di un logos assai più determinante: il mutuo appoggio. I fattori che hanno permesso l’evoluzione della specie, la sopravvivenza di alcune e la scomparsa di altre, sono i meccanismi di collaborazione e aiuto reciproco che avevamo permesso alla specie, e ai singoli componenti di ciascuna di essa, di sopravvivere e riprodursi. Si tratta, per il principe ribelle, di dimostrare scientificamente non solo la possibilità della socievolezza come condizione del vivere sociale, ma anche chiarire come la socievolezza sia già in atto nel mondo della natura e nello sviluppo dell’uomo. Rifiutando sia il pessimismo Darwiniano sia l’ottimismo di Rousseau, Kropotkin dà vita ad un grande affresco del mondo animale ed umano con il chiaro intento di mostrare che la “sociabilità è una legge di natura tanto quanto la lotta tra simili” ma allo stesso tempo che “come fattore dell’evoluzione, la prima ha probabilmente un’importanza molto maggiore, in quanto favorisce lo sviluppo delle abitudini dei caratteri eminentemente atti ad assicurare la conservazione e lo sviluppo della specie; essa procura inoltre, con minor perdita di energia, una maggiore somma di benessere e di felicità a ciascun individuo.” Grazie agli studi del valente zoologo russo Kessler e alla sua attività di geologo, Kropotkin giunge alla conclusione che la legge di natura è una legge di cooperazione, di mutuo appoggio, piuttosto che di lotta. La vita delle formiche, delle api, delle termiti, degli uccelli, nei mammiferi, delle scimmie e di altri animali, minuziosamente analizzate dall’anarchico russo nel Mutuo Appoggio, dimostrano che nell’evoluzione del regno animale il mutuo appoggio e l’iniziativa individuale sono due fattori infinitamente più importanti della lotta reciproca, ed inoltre che la vita in società è l’arma più potente per sopravvivere in quanto “la vita in comune rende i più deboli insetti, i più deboli mammiferi, capaci di lottare e di proteggersi contro i più terribili carnivori e contro gli uccelli rapaci; essa favorisce la longevità; rende le diverse specie capaci di allevare la loro prole con un minimo di perdita di energia”79. L’anarchico russo ritiene che la principale causa della diminuzione della popolazione animale, non sia la competizione, ma la forte influenza degli ostacoli naturali; le terribili tormente di neve che si abbattono al Nord dell’Eurasia alla fine dell’inverno, i geli e le tormente di neve che ritornano ogni anno nella sperduta terra siberiana, le piogge torrenziali, dovute ai monsoni, che piombano sulle regioni più temperate, le terribili condizioni in cui si dibatte la vita animale nell’Asia Settentrionale, sono la massima testimonianza che i più grandi nemici degli animali sono i bruschi cambiamenti climatici, le malattie contagiose, la siccità e le carestie. Quelli che Darwin descrive come ‘gli ostacoli naturali’ all’eccessiva moltiplicazione hanno una valenza superiore alla lotta per i mezzi di esistenza; coloro che sopravvivono a questi ostacoli naturali non sono, per Kropotkin, i più forti o i più sani ma solo i dotati di maggiore resistenza nell’affrontare un mondo di privazioni. Gli ostacoli naturali da affrontare nel vivere quotidiano sono già così tanti che “nella grande lotta per la vita - per la più grande pienezza e per la più grande intensità di vita, con la minore perdita di energia - la selezione naturale cerca sempre i mezzi di evitare la competizione quando è possibile”.

giovedì 22 giugno 2023

Una definizione di post-anarchismo

La prima cosa che viene in mente è una persona che inizia un viaggio, senza una traiettoria ben precisa, senza una destinazione stabilita, ma che ha di fronte una serie quasi infinita di possibilità, ed è mossa da un forte desiderio di libertà e autonomia: se la strada davanti a questa persona è ostruita, allora ne sceglie un’altra; se è bloccata da entrambi i lati, scava un tunnel o scavalca il muro. Magari questa persona non sa esattamente dov’è diretta, o dove finirà, ma sa che dovrà continuare a muoversi; incontrerà sempre ostacoli, ma sa che li potrà superare. Il Post-anarchismo è una politica che inizia e non finisce con l’anarchia. Cioè presuppone una certa libertà ontologica, una molteplicità di azioni e di possibilità. È fondata sulla possibilità sempre presente di pensare e di agire differentemente, non importa quali siano le restrizioni. Non è «strategica» nel senso di essere diretta verso la cittadella dell’anarchia – perché in essa potrebbero esserci altre restrizioni – ma piuttosto pensa tatticamente: nei termini delle pratiche quotidiane, nel momento presente.

Il punto non è fissare delle «istruzioni per l’uso», o delle regole definitive su cosa sia l’anarchismo o cosa debba aspirare ad essere, o su come dovrebbe apparire una società anarchica. Ci sono diverse possibilità, che possono essere più o meno appropriate a seconda delle circostanze, e sono queste circostanze che definiscono il rapporto tra questo tipo di anarchismo e l’etica. Allo stesso tempo, però, bisogna stare attenti a non confondere il post-anarchismo con un’interpretazione troppo realista della politica, una realpolitik. Le questioni etiche sono tutte ancora lì, sul piatto. Non vanno mica evitate. Anzi, il post-anarchismo ha a che fare soprattutto con l’etica delle nostre vite, con il modo in cui ci rapportiamo agli altri, in cui ci confrontiamo con le relazioni di potere, con il grado di vulnerabilità che ognuno di noi ha nei confronti della dominazione che gli altri ci impongono. Semplificando, potremmo dire che il modo in cui il post-anarchismo mette in connessione la politica con l’etica si gioca sul campo della «servitù volontaria»: il desiderio di dominare e quello di essere dominati sono due volti della stessa medaglia.


domenica 18 giugno 2023

La quarta rivoluzione industriale e il capitalismo della sorveglianza

La quarta rivoluzione industriale, teorizzata Klaus Schwab fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum, consiste in una accelerazione tecnologica e digitale già in atto, destinata a modificare radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarsi gli uni agli altri. Flussi di big data, intelligenza artificiale, automazione, smart city, cyborg, internet delle cose, sanità digitale, 5G: il transumanesimo, che rappresenta il sostrato politico e filosofico della quarta rivoluzione industriale, mette in discussione il significato stesso di “essere umano” attraverso una nuova configurazione del rapporto tra le sfere fisica, biologica e digitale. Schwab individua e analizza nel dettaglio ventiquattro innovazioni tecnologiche che si dovrebbero plausibilmente verificare entro il 2025 e che creeranno questo nuovo ordine economico e sociale, secondo un processo ineluttabile di fronte al quale egli paventa un unico grande pericolo: L’altro lato oscuro di questa rivoluzione è la paura che genera nelle persone. Soprattutto contro i leader e contro le élite, che sono ritenute le prime responsabili di questi cambiamenti. Se nel mondo stanno crescendo tante forze di opposizione che demonizzano le élite, sia politiche che economiche, è perché il timore aumenta. È una reazione simile a quello che fu il luddismo nella prima rivoluzione industriale, ovvero la risposta violenta all’introduzione delle macchine. Tuttavia, questa rivoluzione c’è e non si può fermare. Si può solo indirizzare nel modo migliore possibile.

Il capitalismo della sorveglianza si presenta come il complemento economico reso possibile dalla quarta rivoluzione industriale. Il capitalismo della sorveglianza si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come “intelligenza artificiale” per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente, tra poco e tra molto tempo. Infine, questi prodotti predittivi vengono scambiati in un nuovo tipo di mercato per le previsioni comportamentali: “mercato dei comportamenti futuri”.

giovedì 15 giugno 2023

Kropotkin e il comunismo anarchico

 

Questa concezione dell'innata socialità dell'uomo, e della natura progressiva ed evolutiva della storia umana portano Kropotkin ad abbracciare il comunismo quale forma economica della futura società anarchica. E, contrariamente ad altri anarco-comunisti, che ammettono altri sistemi o sottosistemi economici all'interno di un quadro pluralista, per Kropotkin il comunismo è l'unico sistema privo di contraddizioni sociali racchiusa nel principio "da ognuno secondo le sue forze, ad ognuno secondo i suoi bisogni". Questa formula abolisce la schiavitù del salario e la dipendenza dal bisogno. Il comunismo anarchico è il "comunismo senza governo, quello degli uomini liberi, è la sintesi dei 2 scopi ai quali mira l'umanità attraverso i tempi: la libertà economica e la libertà politica". Il comunismo è il completamento dell'anarchia, ovvero l'uguaglianza che completa la libertà. La giustificazione del comunismo è trovata da Kropotkin nella sua perfetta rispondenza alle leggi dell'evoluzione naturale. Comunismo e mutuo appoggio sono due definizioni della stessa realtà: la logica della vita che preserva se stessa, il principio di sopravvivenza alla sua massima espressione. Come già Bakunin prima di lui, Kropotkin si propone di abolire la differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale ma anche tra città e campagna. Il tipo di organizzazione sociale anarchica si deve basare sui bisogni pratici,e non su quesiti astratti. Questa si deve sviluppare partendo "dalla libera intesa per territori, funzioni e professioni di tutti gli interessati". Quindi "comuni indipendenti per gli aggruppamenti territoriali, vaste federazioni di mestieri per gli aggruppamenti di funzioni sociali -gli uni allacciati agli altri per aiutarsi a vicenda nel soddisfare i bisogni della società – e aggruppamenti di affinità personali, varianti all'infinito, di una durata o effimeri, creati a seconda dei bisogni del momento per tutti gli scopi possibili. Queste tre specie di raggruppamenti formerebbero come una rete tra loro e giungerebbero a permettere la soddisfazione di tutti i bisogni: il consumo, la produzione, lo scambio; le comunicazioni, le misure sanitarie, l'educazione; la protezione reciproca contro le aggressioni, il mutuo appoggio, la difesa del territorio; la soddisfazione, infine, dei bisogni scientifici, artistici e letterari." In sostanza si tratta di una pianificazione, ma che non ha niente a che vedere con la pianificazione autoritaria, in quanto nasce dal basso e dalle esigenze pratiche. L'idea è quella di una società che si autoregola basandosi sull'equilibrio spontaneo. L'ottimismo eccessivo e lo scientismo di Kropotkin non assumono mai il carattere della totalità, poiché basati sul metodo deduttivo e sperimentale, fondato sulla verifica continua quale garanzia contro le tentazioni totalitarie Alcune delle impostazioni di base di Kropotkin, e in particolar modo l'ottimistica idea che la società vada spontaneamente evolvendosi verso la libertà e l'uguaglianza, appaiono superate, tuttavia è vero che sotto altri aspetti l'opera di Kropotkin serbi ancora motivi rilevanti di interesse. Se è vero che l'identificazione fra scienza ed anarchia ed il determinismo che da ciò deriva risulta contraddittorio con l'ideologia libertaria, è altresì vero che lo stesso Kropotkin lo supera sostenendo la necessaria coerenza tra mezzi e fini e dia a questa rilevanza metodologica, e cioè scientifica. Il rapporto coerente tra mezzi e fini ci dice che questi possono essere raggiunti solo attraverso l'adeguamento dei mezzi alla natura dei fini. Non solo, ma i fini non sono dati, ma posti ovvero è la prassi rivoluzionaria, l'azione cosciente dell'uomo che determina i fini, che sono quindi la meta di un'azione cosciente e volontaria. Per ciò "la questione che l'anarchia si propone di risolvere potrebbe concretarsi come segue: quali forme sociali assicurano più efficacemente, in determinate società per amplificazione, nella umanità in generale, una maggior somma di benessere e, per conseguenza, una fonte più copiosa di vitalità?" La scienza pone quindi delle domande, mentre l'anarchia cerca di dare delle risposte. Mentre l'economia classica e marxista si basa su una prospettiva "oggettiva" dove la libertà di scelta non esiste, l'anarchismo Kropotkiniano si basa su una prospettiva rivoluzionaria, dove l'emergere del sociale e della volontà crea i propri fini e la propria azione, operando una scelta. E' universalizzando la pratica e la metodologia della scienza che si può arrivare, attraverso sperimentazioni ed errori, alla libertà ed all'uguaglianza, all'utopia attraverso la scienza.

lunedì 12 giugno 2023

Crass sulla pace

La nostra arte e la nostro creatività sono le nostre armi più potenti. Dobbiamo usare lo nostra fantasia per stabilire il nostro futuro: incominciamo a preparare il mondo nuovo. Nessuna rivoluzione è auspicabile se non si ha una chiara visione di quello che si vuole dopo. Non è forse giunto il momento di chiederci per che cosa vogliamo combattere? Creiamo dunque le politiche di comportamento per il nostro futuro. Siamo così spesso forzati alla rinuncia, ci nascondiamo dentro al nostro buco; al buio, per guardare la luce che brillo così distante do noi. Non è forse tempo che ci muoviamo in direzione di quello luce? Adesso, forse, sono giunto al momento più difficile di questo mio scritto, il punto più: importante per mettere allo prova la mia natura essenzialmente pacifista. Quando la gente verrà a conoscenza di qualche possibilità di cambiamento reale, in un primo momento si limiterà ad assistere, a solidarizzare passivamente, e solo in un secondo momento si sentirà coinvolta e parteciperà attivamente allo lotta. Lo stato, i suoi agenti, i suoi "amici" ed alleati (da qui la necessità di una rivoluzione internazionale) si opporranno alla concessione dello libertà reclamata, libertà allo quale la gente non sarà disposta a rinunciare. Per quelli che facevano parte del grande movimento pacifista degli ultimi anni '70, e che a quel tempo erano convinti delle strategie puriste e pacifiste del primo movimento nonviolento, si porrà la domanda cruciale: combattere o non combattere? Combattere oppure sottomettersi all'inevitabile barbarie con cui lo stato reagirà alla rivoluzione? Se il movimento pacifista è davvero schierato dalla parte della pace, non può, in alcun modo tollerare l'esistenza dello reato, soprattutto perché la pace così come lo stato l'intende non è altro che una situazione generale di calma e torpore, un senso di sicurezza che lo stato può controllare direttamente. Se cerchiamo la pace, la vera pace mettendo da parte le nostre differenze, noi andiamo verso la rivoluzione, poiché in nessun altro modo le nostre domande troveranno una risposta. Verrà il momento in cui noi non ci dovremo più confrontare con la polizia, ma con l'esercito. So che se il mondo non verrà prima distrutto dallo stato, verrà il tempo dello rivoluzione. So che tutti i pacifisti contribuiscono e hanno contribuito a questa situazione. Quello che non so e se sarò oppure no disposto a prendere in mano un fucile.

venerdì 9 giugno 2023

Proudhon sulla spontaneità

Quel che è importante rilevare nei movimenti popolari è la loro completa spontaneità. Il popolo obbedisce a un incitamento o ad una suggestione che viene dal di fuori, oppure ha una ispirazione, una intuizione o una concezione naturale? Ecco, nello studio delle rivoluzioni, quel che si potrebbe stabilire, senza troppe pretese. Indubbiamente le idee che in qualsiasi epoca hanno agitato le masse erano nate dapprima nel cervello di qualche pensatore; in fatto d'idee, di opinioni, di credenze, di errori, la priorità non è mai stata delle moltitudini, e oggi non potrebbe essere altrimenti. In ogni atto dello spirito la priorità è da attribuirsi all'individualità; il rapporto dei termini lo descrive. Ma c'è una bella differenza tra questo e il fatto che qualsiasi pensiero che ispiri l'individuo s'impossessi più tardi delle popolazioni; e non è neppur vero che le idee che entusiasmano le popolazioni siano tutte giuste e utili; e diciamo appunto, che ciò che importa soprattutto allo storico e filosofo è osservare come presso il popolo attecchiscano certe idee anziché altre, vengano generalizzate, sviluppate a suo modo, come esso ne faccia delle istituzioni e dei costumi che segue per tradizione, fino a che non cadono nelle mani dei legislatori e dei giustizieri che ne fanno a loro volta degli articoli di legge e delle regole per i tribunali.

La rivoluzione non è opera di nessuno.

Una Rivoluzione sociale come quella dell'89, che la democrazia operaia porta avanti sotto i nostri occhi, è una trasformazione che avviene spontaneamente nell'insieme e in ciascuna delle parti del corpo politico. È un sistema che si sostituisce ad un altro, un nuovo organismo che prende il posto di una organizzazione decrepita. Ma questa sostituzione non si opera in un attimo, come un uomo che si cambi d'abito o di coccarda; non si attua all'ingiunzione di un maestro che abbia pronta la sua teoria, e neppure per rivelazione. Una Rivoluzione veramente organica, prodotto della vita universale, per quanto abbia i suoi messaggeri e i suoi esecutori, non è veramente opera di nessuno.


martedì 30 maggio 2023

Il Movimento reale

Non si tratta di togliere alle lotte ancora prigioniere della separazione ogni senso vivo, si tratta, liberandole dalla loro schiavitù al senso morto, di scoprire ciò che le sottende, ma che esse non arrivano ad esprimere nella sua interezza e totalità. Il movimento reale non è l'esercito rivoluzionario annidato in una latenza ineffabile, ma l'articolarsi vivente, nelle contraddizioni dell'esistente e nell'inganno delle lotte fittizie, di una emergenza che le trapassa senza morirvi, che si rinnova e rafforza al di là delle tagliole allestite per catturarla e deviarla. A emergere, è una certezza senza precedenti storici: la consapevolezza di un comunismo realizzabile senza "transizione", sulla base materiale conquistata dalle forze produttive; strappato che sia il mondo degli uomini alle mani di chi sta devastandolo pur di perpetuare una rapina secolare. L'umanizzazione del pianeta e dell'universo naturale, e l'umanizzazione dell'uomo stesso, è il possibile che traspare al di là dei diagrammi del collasso capitalista, al di là della mostruosità imposta al mondo e agli uomini da un modo di produzione necrotizzante, fondato sulla valorizzazione del falso storpiando il vero sin dal seme e sin dalla culla. La produzione di profitto mortifero e di sottouomini a esso incatenati deve aver fine, o finirà ogni progetto umano. Questa certezza realizza e incarna, nel movimento reale, il contenuto delle "teorie rivoluzionarie" del passato, superando la loro forma ancora idealisticamente coscienziale. li passaggio in armi dalla speranza alla certezza, dalla "coscienza' alla esperienza vivente, alla vera gnosi, è la transizione necessaria. La certezza fatica a liberarsi dalle forme vuote in cui l'ideologia la trattiene; a mano a mano che la falsa guerra sceneggiata dall'ideologia mostra ai rivoluzionari la corda con cui strozza il loro furore, la certezza avanza, la vera guerra procede. È questo il compito della critica radicale.

(Giorgio Cesarano, Piero Coppo, Joe Fallisi, Cronaca di un ballo mascherato, 1974)

venerdì 26 maggio 2023

Kropotkin – La morale

Noi non chiediamo che una cosa: eliminare tutto ciò che nella nostra società ostacola il libero sviluppo di questi due sentimenti, tutto ciò che travia il nostro giudizio: lo Stato, la Chiesa, lo sfruttamento; il giudice, il prete, il governo, lo sfruttatore. Oggi, quando vediamo un Jack lo Squartatore sgozzare dieci donne tra le più povere e le più miserabili - e moralmente superiori ai tre quarti delle ricche borghesi - il nostro primo sentimento è quello dell'odio. Se noi lo avessimo incontrato il giorno in cui ha sgozzato quella donna che voleva farsi pagare da lui i sei soldi del suo tugurio, noi gli avremmo sparato una palla nel cranio, senza riflettere che la palla sarebbe stata meglio nel cranio del proprietario del tugurio. Ma quando ci ricordiamo di tutte le infamie che hanno condotto Jack lo Squartatore a questi assassinii, quando pensiamo alle tenebre nelle quali egli vaga, perseguitato dalle immagini viste in libri immondi e da pensieri attinti da libri stupidi, - il nostro sentimento si sdoppia. E il giorno in cui sapremo che Jack è finito nelle mani di un giudice il quale ha massacrato freddamente uomini, donne e bambini, dieci volte più di tutti i Jack; quando lo sapremo tra le mani di questi maniaci a sangue freddo, o di quelle persone che mandano un delinquente qualsiasi in galera per dimostrare ai borghesi che vigilano sulla loro salvezza - allora tutto il nostro odio contro Jack lo Squartatore sparirà, e si rivolgerà altrove, e diventerà odio contro la società vile e ipocrita, contro i suoi rappresentanti riconosciuti. Tutte le infamie di uno squartatore si dileguano davanti a questa serie secolare di infamie commesse nel nome della Legge. Ed è questa che che noi odiamo. Oggi il nostro sentimento si sdoppia continuamente. Noi sentiamo che tutti siamo più o meno volontariamente o involontariamente i sostegni di questa società. Noi non osiamo più odiare.

lunedì 22 maggio 2023

I disastri dello sviluppo capitalistico

I disastri, che si abbattono con tanta violenza sulla nostra terra, sono l’effetto perverso di due secoli e mezzo di sviluppo capitalistico. Uno sviluppo basato su due fattori fondamentali: lo sfruttamento della classe operaia e la rapina delle risorse naturali del pianeta. Si è avuta una crescita economica senza precedenti. Le condizioni di vita, almeno in occidente, sono considerevolmente migliorate. Il prezzo pagato, però, è stato caro. Sono aumentate le disuguaglianze sociali e territoriali. Il divario tra livelli di povertà e ricchezze smisurate nelle mani di pochi è diventato intollerabile. Uomini e cose sono sottomessi alla logica alienante e disumana del massimo profitto. Questione sociale e questione ambientale si intrecciano. La quantità di C02 emessa nell’atmosfera,\ per soddisfare le esigenze del mercato, è sempre maggiore. Da qui il climate change. Ma sono i paesi poveri a subirne le conseguenze più pesanti. L’acqua del mare si innalza e invade i campi coltivati del Bangladesh, distruggendone la fertilità. Le dune del deserto avanzano nei villaggi e nelle città delle aree subsahariane e, a causa della siccità e della fame, si determina una forte spinta alle migrazioni di massa. I governi dei paesi occidentali, in genere a trazione liberale, sono convinti che una trasformazione radicale del sistema energetico avrebbe conseguenze devastanti sull’industria dell’auto, sulla chimica e sugli altri settori da cui dipende la ripresa economica. Il punto è proprio questo. La conversione ecologica non è compatibile con l’idea della crescita illimitata. Il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili presuppone un cambiamento profondo nel modo di produzione e di consumo, e negli stili di vita. La «transizione» non può ridursi ad escamotage per rinviare il momento di scelte strategiche e risolutive. La sinistra sembra accomodata nel ruolo di coscienza critica del pensiero liberal. Stenta a diventare protagonista di un’iniziativa autonoma e di massa che ponga al centro la contraddizione insanabile tra la logica del profitto e l’esigenza di salvaguardare il pianeta.

Il monito di Rosa Luxemburg «socialismo o barbarie» risuona più che mai attuale.


giovedì 18 maggio 2023

Il dono per un futuro migliore

In un mondo dove qualunquismo egoismo, individualismo becero e arrogante, dove quasi tutto ormai è sempre più artificiale, in cui l’umanità sembra ormai incapace di esprimere la sua volontà di vivere e di resistere a ciò che ne ostacola la felicità, urge una riscoperta dello spirito del dono per rovesciare la prospettiva di una sopravvivenza programmata per essere consumata contro natura.

Il mostro dell’economia autonomizzata va urgentemente fermato e nessuno potrà farlo al nostro posto.

Al dogma della crescita economica comincia a opporsi il progetto di una decrescita piacevole e conviviale, tendente a ristabilire sul piano demografico, su quello dei consumi, su tutti i piani del vivente il predominio della qualità sulla quantità.

Sta a noi non ridurlo a un’ennesima morale di rinuncia. Non abbiamo niente da perdere se non una immensa insoddisfazione in una tragedia planetaria. Abbiamo da esplorare la gioia di vivere al di fuori di qualsiasi sacrificio.

Non è una certezza, ma una scommessa, cui ogni istante siamo invitati a non rinunciare mai, che finalmente dalle ambiguità dell’apatia generale venga fuori una volontà di battersi per creare se stessi armonizzando la società col godimento di sé.

Niente ci impedirà di distinguere, all’ombra dei patiboli, delle prigioni, delle fabbriche, delle scuole, nella clandestinità delle città, la folla insolita di coloro che hanno vissuto e tentano di vivere in rottura con gli imperativi della sopravvivenza. Una tale folla è in ciascuno di noi. Basta sentirla al di sopra del vano gridio della morte.

sabato 13 maggio 2023

L’anarchismo che cambia è l’anarchismo che lotta

Lottare non è più soltanto denunciare, opporsi e affrontarsi, è anche creare qui e ora realtà differenti. Le lotte devono produrre risultati concreti senza lasciarsi condizionare dalle speranze per il futuro. Si tratta dunque di strappare spazi al sistema per svilupparvi esperienze comunitarie dal carattere trasformatore, perché è soltanto quando un’attività trasforma realmente e radicalmente una realtà, anche se in modo provvisorio e parziale, che si gettano le basi per andare al di là di una semplice (benché sempre necessaria) opposizione al sistema e per creare un’alternativa concreta che lo sfidi nei fatti. In questa prospettiva, buona parte del neoanarchismo si sforza di creare spazi di vita e modi di essere che si pongano in radicale rottura con le norme del sistema e che facciano nascere nuove soggettività radicalmente ribelli. Come dice un collettivo anarchico degli Stati Uniti: La nostra rivoluzione deve essere immediata e riguardare la vita quotidiana, dobbiamo cercare da principio e prima di tutto di modificare il contenuto della nostra esistenza in senso rivoluzionario, più che orientare la nostra lotta verso un cambiamento storico e universale, che non potremo mai vedere nel corso della nostra vita. Si tratta dunque di agire su un ambiente che noi trasformiamo e che, al tempo stesso, ci permette di trasformare noi stessi modificando la nostra soggettività. Possiamo realizzare tutto ciò creando legami sociali differenti, costruendo complicità e relazioni solidali, che prospettino nella pratica e nel presente una realtà diversa e una vita differente. Come sostiene la rivista francese «Tiqqun», si tratta di stabilire modi di vita che siano di per sé modi di lotta. Tutto ciò non è del tutto nuovo, naturalmente, e lo si può far risalire, con qualche distinguo, ai luoghi di vita creati dagli anarchici della fine del XIX secolo e inizio del XX. Allora, per sintetizzare, quello che emerge è che le lotte attuali non si articolano su basi identitarie, criticano i discorsi totalizzanti, sono refrattarie a qualsiasi prospettiva escatologica, sono decisamente presentiste e legate al cambiamento, qui e ora, di certi aspetti esistenziali, sociali e politici e mirano a opporsi radicalmente e nell’immediato ad aspetti concreti, benché limitati, dei dispositivi di dominio. L’anarchismo contemporaneo cambia nella misura in cui si trova coinvolto, con altri collettivi, nelle lotte attuali, e inserisce nel proprio bagaglio le caratteristiche principali di tali lotte. In definitiva, l’anarchismo che cambia è l’anarchismo che lotta e che lotta al presente.


martedì 9 maggio 2023

UN PUNTO di vista anarchico

 NON IL, ma un punto di vista anarchico. Quindi contiene le caratteristiche tipiche della visuale anarchica che, pur essendo parziale, relativa e non assoluta, come tutte le visuali che non si limitino ad uno specifico campo d’azione, rappresenta una chiave di lettura capace di abbracciare valori universali, proposti con la consapevolezza di una validità estensibile a tutti ed a tutte le situazioni. Ed il punto di vista anarchico principe presuppone sopra ogni altra cosa il rifiuto incondizionato di ogni genere di sopraffazione di potere e di ogni forma di dominio, in nome del riconoscimento di fatto di un’eguaglianza sociale diffusa, di pratiche costanti di libertà e del ripudio di qualsiasi esercizio della violenza nell’espletamento delle decisioni e della volontà collettive, rese operanti attraverso strutture orizzontali, non gerarchiche e non rigide. Qual è il problema di fondo rispetto all’auspicabile possibilità della realizzazione di una futura società anarchica? Corrisponde al superamento e all’abbattimento delle barriere storicamente consolidate, strutturali senza dubbio, ma soprattutto culturali, che mantengono in piedi la stabilità degli assetti di potere del vigente dominio. L’istituzionalizzazione del potere in atto, infatti, che legittima la necessità del comando gerarchico e della sua esecuzione attraverso l’uso della forza costituita, ha in sostanza due tipi di giustificazione: la prima, la più antica ed ancestrale è di tipo religioso, secondo la cui credenza dio o più dei, dal momento che non si fidano dell’imperfezione umana da essi stessi creata, dall’alto del loro potere superumano obbligano l’umanità ad obbedire ad alcuni uomini scelti da loro per eseguire la volontà divina, rivelata e in genere sancita da sacre scritture; l’altra, di carattere laico, è l’homo homini lupus hobbessiano, secondo cui, dal momento che fin dalle origini dello stato di natura ogni uomo è ostile agli altri uomini, per poter vivere in sicurezza e in armonia la società ha necessità di trovare chi la comanda, capace d’imporre con la forza quell’ordine indispensabile al vivere comune, che per una diffusa convinzione altrimenti verrebbe meno. Il compito degli anarchici allora è quello di proporsi e di agire per dimostrare e convincere che le motivazioni storicamente determinatesi, della volontà di dio e della necessità del comando dall’alto, altro non sono che semplici credenze umane, imposte e legittimate nel tempo dalla volontà dei potenti di turno. Non solo sono eludibili, ma perfettamente sostituibili con una visione fondata su principi di libertà, su una conduzione delle cose collettive non governata dall’alto, sulla possibilità di organizzarsi senza gerarchie di comando e con forme di gestione orizzontale. Possiamo benissimo non essere governati, ma autogovernarci, sostituendo il potere della forza d’imposizione con la reciprocità, la solidarietà e un’effettiva partecipazione alle decisioni, che non avranno perciò più la necessità di essere imposte con la forza e la legittimità giuridica di corpi armati addetti alla sicurezza ed all’ordine pubblico, cioè da esecutori della volontà di istituzioni autoritarie.

domenica 30 aprile 2023

Primo Maggio: giornata di lotta internazionalista

 

La storia del primo maggio, della giornata di lotta internazionale dei lavoratori, è per lo più sconosciuta alla maggior parte della gente. Deformazioni e strumentalizzazioni varie hanno trasformato il primo maggio, una giornata di lotta, in una festa istituzionalizzata e santificata, considerata come l’occasione per andare a vedere un concerto rock o per organizzarsi un fine settimana turistico.

Cosa ha originato realmente questa giornata di lotta e il suo significato classista si è diluito progressivamente nel tempo, fino a far perdere la cognizione della sua importanza.

La storia ci dice che all’origine del primo maggio vi fu il grande movimento di lotta che negli anni ‘80 del XIX secolo mobilitò milioni di lavoratori in America ed in Europa per la conquista delle otto ore lavorative, e non solo. Nell’ottobre del 1884 il quarto congresso delle Unioni Federate degli Stati Uniti decise di promuovere una grande campagna di mobilitazione per le otto ore lavorative.

Il primo maggio del 1886 sarebbe stato il suo momento culminante. Per tutto il 1885 numerose furono le iniziative di lotta, che si estesero fino alla primavera dell’anno successivo. Il primo maggio 1886, a Chicago, città da cui era partita la campagna, oltre 50.000 lavoratori incrociarono le braccia per imporre al padronato le otto ore lavorative.

Cortei, comizi ed iniziative varie caratterizzarono la giornata e quella successiva in un clima di tensione dove le provocazioni e la repressione poliziesca andavano aumentando. Il 3 maggio, davanti alle fabbriche Mc Cormik, in Haymarket square si svolse un importante presidio di lavoratori per impedire azioni di crumiraggio.

Fu organizzata un’assemblea in cui presero la parola gli esponenti più importanti del movimento, militanti anarchici che consideravano la campagna per le otto ore come una prima tappa non solo per ottenere maggiori diritti, ma per mettere in discussione l’organizzazione statalista e capitalista stessa della società.

Alla fine dell’iniziativa, agenti della polizia e dell’agenzia investigativa Pinkerton caricarono i manifestanti a freddo, iniziando a sparare all’impazzata. L’esito fu di quattro morti e di centinaia di feriti. La reazione operaia non si fece attendere, ed il giorno dopo, il quattro maggio, ventimila lavoratori e lavoratrici erano presenti in Haymarket square, il luogo della strage. Spies, Parsons e Fielden, i leader anarchici, parlarono alla folla, in un clima carico di tensione, ma sostanzialmente pacifico tanto che il sindaco stesso di Chicago, che aveva autorizzato la manifestazione, poco prima del termine se ne andò convinto che tutto si sarebbe concluso pacificamente.

Al contrario, poco dopo si scatenò la reazione della polizia che presidiava la piazza, la quale, ricalcando lo stesso copione del giorno prima, iniziò a caricare i presenti. Nel trambusto che si originò, una bomba, la cui paternità è storicamente ancora incerta, scoppiò in mezzo ad un plotone di poliziotti e da ciò ne conseguì l’inizio degli spari sulla folla e il via libera, nei giorni successivi, ad una campagna di violenza e di terrore nei confronti degli operai.

Le prime vittime di questa caccia al rivoluzionario furono proprio gli esponenti di maggiore spicco del movimento dei lavoratori, gli anarchici che avevano dato forza e coscienza al movimento di lotta: Adolphe Fischer, August Spies, George Engel, Albert Parsons e Louis Lingg, condannati a morte, dopo un processo farsa, ed impiccati nel novembre del 1887. Louis Lingg sfuggì alla forca morendo suicida in carcere. Oscar Neebe, Samuel Fielden e Michael Schwab, altri tre anarchici coimputati scontarono invece “solo” sette anni di galera. Questi compagni passarono alla storia come i martiri di Chicago che il movimento internazionale dei lavoratori propose di ricordare, nel 1889 a Parigi, in una giornata di sciopero generale fissata appunto per il primo maggio di ogni anno.

Questa avrebbe rappresentato puntualmente una scadenza di lotta per la conquista delle otto ore lavorative, per ricordare le vittime delle lotte operaie e punto fermo per ogni speranza e rivendicazione di emancipazione del proletariato mondiale.

E questo, il primo maggio, rappresentò per molti decenni successivi: una scadenza annuale comune a tutto il movimento dei lavoratori, in ogni parte del mondo.

Una giornata di lotta e di memoria storica. E molto spesso, fu proprio da questa giornata che la mobilitazione di massa dei lavoratori segnò momenti storici particolari, durante le due guerre mondiali, durante la Resistenza e l’antifascismo.

Oggi parlarne ha un senso non solo per conservarne la memoria storica, ma per il contenuto, il significato che essa rappresenta in termini di coscienza di classe e di lotta degli sfruttati dove, in tema di orario di lavoro, diritti, salari, emancipazione, cambiamento della società liberista imperante, c’è molto da fare, non solo per riconquistare diritti e dignità rubati, ma per gettare sullo scenario dello scontro di classe in atto, attualmente gestito dal padronato, la forza e l’utopia delle masse lavoratrici.