..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 29 settembre 2022

29 settembre 1944: la strage di Marzabotto

Dopo il massacro di civili compiuto a Sant'Anna di Stazzema compiuto dalle SS il 12 agosto 1944, gli eccidi nazifascisti ai danni delle popolazioni lungo la linea gotica hanno un momentaneo arresto. Il maresciallo Albert Kesserling, comandante della cosiddetta "campagna d'Italia" contro gli alleati, continua però, anche nei mesi successivi, ad avere l'incubo di quei ribelli italiani che, saliti in montagna dapprima con mezzi di fortuna, stanno di fatto tenendo in scacco il grande esercito tedesco all'interno dei confini della Repubblica di Salò: comanda alle truppe di lasciare "terra bruciata" alle proprie spalle e, quando viene informato che a Marzabotto e nei comuni limitrofi la divisione partigiana Stella Rossa continua a mietere vittime e ad operare sabotaggi, ordina la rappresaglia.

Capo dell'operazione viene nominato il maggiore Walter Reder, chiamato "il monco", poiché aveva perso un braccio durante una battaglia a Charkov, sul fronte orientale, ed era considerato uno "specialista" in materia di rappresaglie contro civili e popolazione inerme.

Durante il mese di settembre le truppe al comando di Reder si spostano dalla Versilia alla Lunigiana e al bolognese, lasciando dietro di sé una scia insanguinata di almeno tremila persone uccise.

La mattina del 29 settembre ha inizio quella che verrà ricordata come la "strage di Marzabotto", anche se in realtà i comuni interessati sono molti. Prima di muovere l'attacco ai partigiani, le SS accerchiano e rastrellano numerosi paesi: in località Caviglia i nazisti interrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano, a Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108.

Le truppe si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate: nessuno viene risparmiato.

Anche nei comuni lo sterminio procede senza sosta; sono distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono rastrellati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini.

L'azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre: i partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante, Mario Musolesi, durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe delle SS.

Al termine della rappresaglia si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1830 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.

Tra i caduti, 95 hanno meno di 16 anni, 110 ne hanno meno di 10, e 45 meno di due anni; la vittima più giovane si chiama Walter Cardi, e aveva appena due settimane.

Al termine della guerra il maggiore Reder fuggirà in Baviera, dove verrà catturato dagli americani: sarà estradato in Italia e, nel 1951, verrà condannato all'ergastolo. Nel 1985 verrà graziato, grazie all'intercessione del governo austriaco, e si trasferirà in Austria, dove morirà senza aver mai mostrato alcun segno di rimorso.

Rimarrà comunque in ombra, in sede processuale, il ruolo di decine e decine di ufficiali e soldati delle SS, i veri e propri esecutori della strage, seppur l'identità di una parte dei responsabili sarà nota alla magistratura, che spesso deciderà di non dar seguito all'azione penale per motivi di opportunità politica internazionale.

Nel 1961 verrà edificato un sacrario, che raccoglie i corpi di 782 delle vittime della strage.

martedì 27 settembre 2022

La caduta dell'impero della merce

La caduta dell'impero della merce non produrrà niente di più lamentevole della caduta nella disumanità che segna i suoi esordi. Ciò che è alla fine è anche all'inizio. Una rovina ne nasconde un'altra: dietro il crollo del capitalismo monopolistico e di Stato viene meno l'intera civiltà mercantile, secondo un naufragio programmato da lunga data. Le favole arcaiche che profetizzavano la morte degli dei in un annientamento universale si ricongiungono oggi nel pantheon della vita assente con l'Aurora nucleare, il macello della Gran Sera e della Notte mortifera in cui l'amarezza gira in tondo. La fine dell'impero dell'economico non è la fine del mondo, ma la fine del suo dominio totalitario sul mondo. Tutti sanno, tuttavia, che una tirannia defunta continua ad uccidere. Non la gioia di vivere nè l'esuberanza creativa, bensì la paura è la risposta all'evidenza di una mutazione benefica. Una paura così intensa che l'economia moribonda vi scova ancora di che rifornire un mercato, il mercato dell'insicurezza, in cui il consumatore, ricondotto alla sua vera natura di minorato e di vegliardo, medica una muscolosa protezione per percorrere freneticamente i circuiti obbligati dell'edonismo consumabile.

Per la maggior parte delle persone esiste un solo terrore da cui tutti gli altri provengono, ed è quello di perdere l'ultima menzogna che li separa da se stessi, di dover creare la propria vita.

lunedì 26 settembre 2022

Antifascismo anche nei mari

La [nave] Louise Michel è tornata nel Mediterraneo centrale. Mentre i fascisti insorgono in Italia e altrove, la solidarietà e l'azione antifascista sono più importanti che mai.


domenica 25 settembre 2022

Non votare. Scegli il rifiuto

Non c’è un solo motivo per andare a votare; non una sola ragione per farsi abbindolare dalle promesse di gente che ha speculato sulle nostre vite da sempre. Non esiste un argomento a favore della partecipazione elettorale: una mistificazione verso gli ingenui e gli sprovveduti; un’operazione di distrazione di massa per un cambiamento che non cambierà un bel niente, ma continuerà ad affossare i bisogni popolari, per giunta in nome della “volontà della maggioranza degli italiani”.

Non votare è un gesto di dignità; è una scelta rispetto al qualunquismo votaiolo e alla corruzione elettorale e non solo; è un modo per prendere le distanze da una classe politica responsabile dei più gravi problemi della società. Può rappresentare un primo atto di resistenza, un momento di riflessione per cominciare a guardare altrove, alle tante possibilità che agendo dal basso e uniti, si possano mettere in atto lotte, progetti, attività, azioni per provare a cambiare realmente e in meglio le condizioni di vita di chi è stato ed è vittima di questo sistema liberticida.





sabato 24 settembre 2022

Il 25 settembre nessuna delega ai partiti. Non votare!

Ci chiedono ancora una volta di andare a votare; ce lo chiede una vorace classe politica che ha adottato all'unanimità (con la finta opposizione di Fratelli d’Italia) misure che hanno reso più povera la popolazione ma hanno arricchito i padroni, le banche, le multinazionali, la chiesa. Un parlamento caratterizzato da posizioni di destra e liberiste diffuse in tutti gli schieramenti, dal PD ai fascisti, fortemente clientelare e militarista, covo di voltagabbana e di lacchè degli Interessi Russi in Italia, come Lega, Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Fd’I, ora diventati fedeli lacchè degli interessi americani, ci viene presentato come simbolo della democrazia e luogo in cui si manifesta la volontà popolare.

· Con la pandemia provocata dal capitalismo manipolatore e distruttore dell’ambiente, affrontata con metodi da caserma, repressione, un’abbuffata miliardaria per le industrie farmaceutiche e un clima di ricatti e paura, senza alcuna azione reale per contrastarne le cause;

· con l’aumento dei prezzi fuori controllo a causa delle speculazioni dei mercati dell’energia, mentre i salari e le pensioni sono sempre più bassi;

· con una Sanità ed un’Istruzione ridotte ai minimi termini e ancora private dei necessari finanziamenti per rispondere alle esigenze della popolazione;

· con la Guerra alle nostre porte, l’Italia in prima fila a produrre e vendere armi, e con le basi militari del suo territorio pienamente coinvolte nel conflitto in Ucraina, mentre il governo che verrà ha già confermato l’aumento delle spese militari a 104 milioni di euro al giorno;

· con un Mezzogiorno devastato dal sottosviluppo, dal degrado, dall’emigrazione e pronto ad essere ancora rapinato dal prossimo varo dell’autonomia differenziata voluta da fascisti e leghisti;

· con i diritti delle minoranze calpestati ogni giorno mentre attorno a noi crescono le macerie, con le frequenti morti sul lavoro, con i giovani che muoiono nei corsi di formazione all’avviamento lavorativo, in un territorio martoriato dall’economia del profitto imprenditoriale e dalle conseguenti devastazioni ambientali sempre più cause di disastri che ci vedono sempre più impotenti;

· con un quadro di questo tipo, che i servi dei padroni che ci chiedono il voto sono pronti a confermare, se non peggiorare, netto dev’essere il disgusto e il rigetto da parte degli elettori.

Noi anarchici e anarchiche rifiutiamo questo stato di cose.

Il Sistema Parlamentare si è dimostrato una truffa per il popolo e una fonte di privilegi per pochi, al servizio dei poteri forti nazionali e internazionali. In più, quella che chiamano Democrazia si trasforma sempre più in Democratura. Cerchiamo di essere coraggiosi, rilanciamo un discorso rivoluzionario; non andare a votare può essere il primo passo; il secondo è la riscoperta del piacere della disobbedienza e della diserzione, l’opposizione quotidiana a qualsiasi organismo burocratico che imponga direttive e sanzioni e a qualsiasi governo, sempre asservito al capitale e alle banche.

Opponiamo forme di mutualismo ed auto-organizzazione sociale dal basso all’economia dello sfruttamento; costruiamo lotte e conflitti come unico mezzo per ottenere i nostri diritti e soddisfare i nostri bisogni. Qualsiasi prospettiva di cambiamento passa per la sovversione del presente. La nostra alternativa è rivoluzionaria.

NON VOTARE, LOTTA

 

mercoledì 21 settembre 2022

Contro la manipolazione della paura

Il timore suscitato dalla comparsa di un virus, insolito e prevedibile allo stesso tempo, è stato deliberatamente amplificato dal potere a fini ormai evidenti: Tentare di occultare le disastrose condizioni delle strutture sanitarie, diventate aziende a scopo lucrativo. Realizzare su scala planetaria un distanziamento sociale delle popolazioni che nessun regime totalitario era mai riuscito a imporre. La libertà, già ridotta al lavoro (arbeit macht frei) e al consumo, oggi è chiamata a uno scontro fittizio in cui la millanteria dei "negazionisti" del virus sfida l'isteria di chi, in preda al panico, ne esagera gli effetti. Stimolare lo sviluppo del settore della sicurezza, che  alimenta i  buoni affari del populismo di stampo fascista (razzismo, sessismo, paura dell'altro), e fa comodo anche a una sinistra, ben felice di dover lottare sul fronte delle ideologie piuttosto che su quello sociale, dove ha perso credibilità. Il terrore in cui ognuno si isola gioca a favore della principale  preoccupazione dei governi: durare  il più a lungo possibile, a costo di marcire sul posto.

lunedì 19 settembre 2022

L'eccidio di Boves

Negli anni Quaranta Boves è una cittadina pre montana, in provincia di Cuneo, di circa diecimila abitanti, dediti per lo più ad un allevamento e all'agricoltura di sostentamento, che spesso sono costretti ad emigrare, anche solo stagionalmente. Le guerre, lunghe e faticose, che si sono susseguite, hanno mietuto numerose vittime: trecento sono i morti tra coloro che hanno combattuto la prima guerra mondiale, ma altre centinaia di persone sono morte di fame e di stenti.

Proprio a Boves, dopo l'8 settembre 1943, si forma una delle prime formazioni partigiane: un gruppo di militari italiani, comandati dall'ufficiale Ignazio Vian, che si rifugia sulle impervie montagne che sovrastano la città, ed intraprendono una strenua resistenza contro l'occupazione tedesca. La formazione del comandante Vian non è solo una delle prime a formarsi, nell'autunno successivo all'armistizio, ma è anche una delle poche che inizia immediatamente i sabotaggi ed i combattimenti contro le truppe delle SS. Per questo motivo, già il 16 settembre, un proclama delle nazista firmato dal maggiore delle Waffen SS Joachim Peiper, comunica alla popolazione che i fuoriusciti dall'esercito italiano che sono saliti in montagna verranno liquidati come banditi, e che chiunque dia loro aiuto o asilo sarà ugualmente perseguito. Lo stesso giorno Peiper si reca a Boves, fa riunire in piazza tutti gli uomini e minaccia di bruciare il paese se tutti i soldati datisi alla macchia non si presenteranno.

La mattina di domenica 19 settembre una Fiat 1100 arriva in Piazza Italia: i due occupanti sono militari tedeschi. Un gruppo di fuoriusciti dall'esercito italiano, rifugiatisi per combattere in località San Giacomo, in Val Colla, è appena arrivato in paese per fare rifornimento di cibo: scorta la vettura dei tedeschi, li raggiungono, li disarmano e li catturano senza che questi oppongano resistenza, e li trasportano in Val Colla, dove i due vengono interrogati in merito alla propria presenza nel paese.

Alle 11.45, nemmeno un'ora dopo la cattura, due grandi automezzi tedeschi, carichi di militari, arrivano in Piazza Italia: due SS con bombe a mano distruggono il centralino del telefono sito nei pressi del municipio, quindi i due automezzi ripartono a tutta velocità verso il torrente Colla. Giunti nei pressi del borgo di Tetti Sergent i tedeschi abbandonano i mezzi e proseguono a piedi: sono circa le 12 quando inizia la battaglia con le formazioni partigiane lì stanziate. Il contrattacco della formazione di Ignazio Vian ha successo, e in meno di un quarto d'ora le truppe tedesche sono costrette a indietreggiare. Durante lo scontro restano a terra due persone, il partigiano genovese Domenico Burlando, e un militare tedesco, il cui corpo viene abbandonato nel bosco dai suoi.

Alle 13 le SS coinvolte nello scontro a fuoco tornano a Boves, e circa alla stessa ora giunge in Piazza il grosso del plotone tedesco di Cuneo, comandato dal generale Peiper, che incarica il parroco di Boves, Don Bernandi, e l'industriale Antonio Vassallo di andare a trattare con i partigiani per la riconsegna dei due prigionieri, della Fiat 1100 e della salma del caduto; Peiper assicura che in caso di successo della trattativa Boves sarà risparmiata, ma si rifiuta di mettere per iscritto il proprio impegno, asserendo che "la parola d'onore di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani".

Gli ambasciatori giungono tra i partigiani tra le 14 e le 15 e parlano con il comandante Vian e un'altra decina di persone, che dopo alcune discussione decidono di riconsegnare i prigionieri, con tutto il loro equipaggiamento, l'auto, e la salma del caduto tedesco. I prigionieri, bendati, vengono fatti salire in auto con gli ambasciatori e riportati in centro a Boves. Nonostante la riconsegna il maggiore Peiper dà ordine di iniziare la rappresaglia: piccoli gruppi di SS sfondano le porte delle case, sparano e uccidono i cittadini che sono rimasti a Bovese, per la maggior parte anziani, malati e infermi, e appiccano il fuoco a tutto ciò che trovano sulla loro strada. Il bilancio dell'eccidio di Boves, il primo in Italia, è pesantissimo: 350 le abitazioni incendiate, 24 le persone uccise, tra i quali anche i due ambasciatori don Bernardi e Antonio Vassallo. I famigliari delle vittime e l'intera cittadina di Boves non avranno mai giustizia: nonostante i numerosi tentativi di denuncia, la magistratura tedesca non prenderà mai in considerazione le richieste della città cuneese. Il generale Peiper, arrestato alla fine della guerra, verrà inizialmente condannato all'impiccagione per il massacro di Malmedy, in Francia, in cui morirono 129 persone, ma la pena verrà commutata in carcere a vita e sarà scarcerato sulla parola nel 1956; trasferitosi con uno psuedonimo a Traves, in Francia, verrà infine raggiunto dalla giustizia partigiana il 13 luglio 1971, durante l'incendio della sua casa, colpita da bombe moltov.

venerdì 16 settembre 2022

Il federalismo e l’autogestione

L'individuo è il fine ultimo ma la sua realizzazione viene vista da questa appartenenza alla realtà autogestionaria. L'autogestione dunque malgrado la sua connotazione a-statale, non esclude al suo interno forme decisionali di tipo democratico (maggioranza / minoranza) o di ampia delega. È su questa radice che si basa il federalismo "libertario" connaturato all'autogestione perché riconosciuto insito nelle mutevoli ma permanenti necessità consociative delle varie realtà consociative. Allo stesso modo che l'autogestione non esclude forme di ampia delega, il federalismo libertario non esclude forme di organizzazione statale ridotta alle funzioni essenziali e configura una costruzione dalla periferia al centro. Il federalismo anarchico parte anch'esso dall'autogestione e del resto è l'anarchismo a porne il concetto, ma non si limita ad essere a-statale. Il federalismo anarchico è antistatale perché pone come non ulteriore ma primario elemento autarchico l'individuo, che trova il legame con gli altri e le altre realtà non nel "bene comune" ma nella solidarietà volontaria. Rifiuta così non solo il concetto di governo dall'alto ma anche quello della democrazia e della delega. Il federalismo anarchico non riconosce maggioranze o minoranze ma solo l'oggettivo prevalere di una soluzione "tecnica" su altre ed il diritto per chi non condivide quella prevalente di provare la propria. Il concetto di autogestione e di federalismo diventa talmente peculiare nell'anarchismo da renderlo difficilmente compatibile con qualsiasi costruzione di tipo statico e assolutamente incompatibile con quella di tipo statale. Il suo federalismo non è una costruzione dal basso all'alto ma nemmeno dalla periferia al centro, è tendenzialmente una costruzione orizzontale.

martedì 13 settembre 2022

Occorre scacciare i mercanti dai templi delle nostre vite

La società della merce è l’espressione più malvagia e asservita ai codici dominanti, le masse sono i nuovi schiavi del mercato globale. I  paesi industrializzati stanno al giogo. Il sottosviluppo che ri/producono , il sistema che impongono e il consenso generalizzato permette loro di far  passare guerre, genocidi, crimini commessi contro i popoli più impoveriti, come modelli di sviluppo economico e politico. I “paesi civili”  responsabili di tali cambiamenti climatici sono ovviamente  i più fervidi promotori del modello globalizzato della società della merce, veicolandola come afflato universalistico e missione umanitaria, tesa ad estendere al resto del mondo l’eredità nobile del nostro illuminismo: i diritti umani e i valori della democrazia. I crolli dei mercati finanziari, la fame del mondo, le guerre di esportazione sono affari… Gli Stati civilizzati hanno ridotto tutto a merce e gli uomini sono controllati secondo le modalità della catalogazione degli insetti. Gli accordi economici e finanziari, le leggi sulla flessibilità del lavoro, il ruolo dei sindacati, la gestione ecologica delle nocività, la repressione del dissenso - tutto ciò viene definito a livello internazionale. Le esigenze della merce si sono fuse con quelle del controllo sociale, utilizzano le stesse "reti": il sistema bancario, assicurativo, medico e poliziesco si scambiano continuamente i propri dati. L'onnipresenza di tessere magnetiche realizza una schedatura generalizzata dei gusti, degli acquisti, degli spostamenti, delle abitudini.

Nella produzione moderna il soggetto non è l’uomo ma la merce.

La merce è l’ideologia di questo modello di sviluppo. La politica la pattumiera dove tutto finisce.

Il futuro del nostro pianeta, sia dei paesi a tecnologia avanzata sia di quelli a minore sviluppo - è legato alla capacità di rompere la spirale perversa che attualmente li attanaglia. Il futuro dei Cittadini di questo pianeta è legato alla capacità che essi avranno di scardinare le due forze sinergiche che  sostengono e alimentano il processo: da una parte un apparato che produce merce a ritmi forsennati dall’altra una moltitudine di “consumatori” mai sazi. Occorre uscire dalla logica della crescita illimitata e considerare il consumismo come una dipendenza dalla quale dobbiamo al più presto liberarci. Occorre sradicare la convinzione che la nostra felicità dipende dalla quantità di beni che abbiamo a nostra disposizione. Occorre in definitiva una vera rivoluzione culturale, un‘operazione di decolonizzazione dell’immaginario: una rivoluzione culturale che divenga  la tappa necessaria per passare dalla condizione di sudditi di un sistema mercificante che divora e distrugge, a Cittadini protagonisti della propria vita e quindi del cambiamento. Occorre una strategia che colpisca ovunque dall'interno di noi stessi, senza tregua, senza esitazione, senza pietà. Occorre una tattica che stani il nemico dagli anfratti più augusti del nostro esistere così come dalle grandi piazze mediatiche.

Occorre scacciare i mercanti dai templi delle nostre vite...

mercoledì 7 settembre 2022

La professione come autorità

Questa autorità professionale comprende tre ruoli: l'autorità sapienziale del consigliare, istruire e dirigere; l'autorità morale che rende non solo utile ma obbligatorio quanto prescritto; e l'autorità carismatica che permette al professionista di appellarsi a qualche interesse superiore del suo cliente.

I professionisti esperti vi dicono invece ciò di cui avete bisogno e rivendicano il potere di prescrivere. Non vi propongono solo ciò che è buono, ma vi ordinano di fatto ciò che è giusto. Non è il livello del reddito, la lunga formazione, i compiti delicati e nemmeno la posizione sociale che contraddistingue il professionista. E' piuttosto la sua autorità a definire una persona come cliente, a decidere di che cosa questa ha bisogno e nel fornirle una prescrizione. Per esempio, il medico generico è  divenuto il dottore quando ha lasciato il commercio delle medicine al farmacista è ha tenuto  per sé quello delle ricette. E' divenuto uno scienziato della salute quando la sua corporazione ha avocato a sé tutte queste autorità e ha cominciato a trattare con casi anziché con persone, ritrovandosi, quindi, a tutelare gli interessi della società invece che quelli dell'individuo. Gli specialisti sanitari ed economici hanno acquisito l'autorità di determinare quale assistenza sanitaria debba essere erogata nella società. La corporazione medica rivendica il potere di sottoporre a diagnosi l'intera popolazione al fine di identificare tutti coloro che potrebbero essere dei clienti potenziali, esse sanno in che modo devono essere allevati i bambini, quali studenti devono o meno proseguire negli studi e quali droghe si possono o meno ingerire.

L'acritica accettazione sociale delle esperte professioni dominanti è a tutti gli effetti un evento politico. Ogni nuova proclamazione di legittimazione professionale sta a significare che le competenze della sfera politica - legislative, esecutive  e giurisdizionali - perdono una parte dei propri caratteri e della propria indipendenza. La cosa pubblica passa dalle mani di rappresentanti eletti dal popolo a quelle di una élite autolegittimata.

domenica 4 settembre 2022

L’uomo nero

Quello che sta nascosto di giorno, e odia la luce. Sta nell'ombra. L’uomo nero, invisibile, confuso nella notte, privo di figura, di contorni, di volto, di nome, di identità. Una grande massa oscura che viene designata nella sua paurosa alterità. L’uomo nero, eterna macchina da paura. Ed è questo il primo senso del servo: produrre paura. Di come la paura sia una formidabile risorsa politica hanno detto in tanti, e basti ricordare colui che ha pensato la sovranità politica moderna, Thomas Hobbes: l’uomo rinuncia volontariamente ai propri diritti nella misura in cui ha paura dell’altro uomo, fatto lupo. Più si crea l’immagine dell’altro in quanto mostro, tanto più l’individuo rinuncerà ai propri diritti – dunque a se stesso in quanto umano, propriamente – per avere salva la vita. Produrre paura è essenziale in tempi d’emergenza come questi, per il rapporto direttamente proporzionale tra paura e rinuncia dei diritti e rafforzamento del potere sovrano. Il sistema Spettacolare è lì anche per questo: produce fantasmi per natura, e quello dell’uomo nero è facile da produrre, è un effetto ottico di moltiplicazione. Basta parlare di immigrazione quando si parla di criminalità e il gioco è fatto, si crea un frame che resta inciso nelle reti neurali vita natural durante. Ma quanto più gli immigrati vengono concepiti/prodotti in quanto uomini neri, tanto più vengono animalizzati e respinti ai margini dell’umano. Vengono resi, sempre di più, cose. E, in particolare macchine produttive. Il tipo ideale del lavoratore, da sempre desiderato da un sistema fondato esclusivamente sul profitto: in quanto invisibili, essi non hanno nulla da reclamare, da rivendicare, e possono essere usati esattamente come macchine. Non sono umani, gli uomini neri, verdi e blu. Essi servono. Servono in molte guise. Servono, anzitutto in quanto uomini di colore.

giovedì 1 settembre 2022

Buenaventura Durruti e le pesetas

È stata una rapina iniziata con la classica frase: "Mani in alto e nessuno si muova!" Erano le nove e dieci del mattino di sabato 1 settembre 1923 nella filiale della Banca di Spagna a Gijón, allora situata in via Instituto. "Abbiamo ricevuto la prima notizia una scarsa mezz'ora dopo che il fatto era stato commesso, quando stavamo riposando dal lavoro la sera prima", ha spiegato ai suoi lettori il giorno successivo "El Noroeste" in prima pagina, sotto un titolo a sei colonne che dicono: "Rapinano la filiale della Banca di Spagna, feriscono gravemente il direttore e prendono 563.000 pesetas (sic)".

Da parte sua, anche il quotidiano locale "La Prensa" ha aperto la sua prima a sei colonne, come era naturale dopo "l'audace aggressione e delitto di ieri", con il titolo: "Una banda di ladri penetra, pistola in mano, nel Bank of Spain, sequestrando 556.657 pesetas ", una fortuna intera per il tempo.

In seguito si sarebbe saputo che uno dei rapinatori della filiale della Banca di Spagna, che "sapeva, da quanto appare, in modo perfetto come erano distribuiti gli uffici della Banca" ("La Prensa"), era stato Buenaventura Durruti, eminente attivista della CNT, nato a León nel 1896, che aveva dato inizio alla lotta operaia nelle file dell'UGT.

Ferito gravemente da uno sparo sparato da uno dei rapinatori in una rissa, il direttore della filiale del Banco de España, Luis Azcárate y Álvarez, "è morto alle 15:00 del 5 settembre". Asturiano di nascita, nella città di Godos (Trubia), nei necrologi che i giornali pubblicarono aprendo il loro primo il 6 settembre di 87 anni fa, vale la pena notare che prima di menzionare sua moglie e i suoi figli, apparve il "suo direttore spirituale", il reverendo padre Elorriaga.

Anni dopo, il gesuita Elorriaga sarebbe stato uno dei protagonisti degli eventi accaduti a Gijón il 15 dicembre 1930, quando una folla di persone appiccò il fuoco alla chiesa del Sacro Cuore di Gesù (La Iglesiona), durante una manifestazione dopo le fucilazioni dei Capitani Fermín Galán e Ángel García Hernández, che erano stati i leader della rivolta repubblicana a Jaca contro la monarchia di Alfonso XIII.

I disordini sono iniziati dopo che la folla ha attaccato la residenza dei gesuiti, situata in Instituto Street, e un giovane di nome Tuero è stato ucciso. Poi, nella città questa strofa allusiva si diffuse di bocca in bocca: "Tre colpi risuonarono e Tuero morì, e padre Elorriaga fu colui che lo uccise".

Una volta che i banditi hanno preso i soldi, sono andati a un'auto grigia targa O-434, che li stava aspettando in strada . Allo stesso tempo, hanno sparato a una guardia giurata che si stava preparando ad arrestarli, facendolo scappare in un portone, mentre la sua arma si inceppava. I ladri sono fuggiti attraverso Begoña Street fino a Covadonga Street, dove si sono diretti verso Oviedo.

Nelle prime ore del pomeriggio l'auto abbandonata è stata ritrovata a Venta de Puga e la Guardia Civile ha rapidamente arrestato il suo proprietario, mentre si sospettava che la banda si nascondesse a Naranco. Ma niente di più, visto che si erano nascosti in una pensione in via Covadonga a Oviedo, dove il 7 settembre sono stati scoperti ed è iniziata una feroce sparatoria. A seguito questa, uno dei rapinatori è stato ucciso (Eusebio), un sergente ferito e il resto della banda arrestato. Erano José Buenaventura Durruti, di León soprannominato "Boina"; Aurelio Fernández Sánchez, di Oviedo "Jerezano" o "Asturiano"; un altro individuo soprannominato "el Catalán", Gregorio Martínez Gazán, di León "Toto", l'autista García Vivancos e Rafael Torres Escartín,

Gli autori della prima grande rapina a mano armata in una banca spagnola non sarebbero rimasti in prigione a lungo, solo pochi giorni. Dodici giorni dopo la rapina, il 13 settembre 1923, il capitano generale della Catalogna, il generale Miguel Primo de Rivera, eseguì un colpo di stato e impose alla nazione il comando di una direzione militare. L'incertezza di questo cambiamento politico ha causato insicurezze legali e gli autori della rapina sono riusciti a uscire di prigione e fuggire in Argentina e Cile.