Detto semplicemente,
vuol dire rompere con le infinite mediazioni burocratiche, risolvere i problemi
da sé invece di appellarsi alle autorità costituite o di chiedere interventi esterni
da parte delle istituzioni. Qualsiasi azione che mira a raggiungere degli obbiettivi
scavalcando deleghe e rappresentanze è un’azione diretta. In una società dove il
potere politico, il capitale economico e il controllo sociale sono centralizzati
nelle mani di una élite, certe forme di azione diretta vengono scoraggiate, se non
criminalizzate; e proprio queste pratiche sono di particolare importanza per chi
lotta contro la gerarchia e contro la violenza delle istituzioni. Ci sono mille
situazioni in cui puoi mettere in pratica l’azione diretta: forse i rappresentanti
di una multinazionale stanno per invadere la tua città per un summit, e tu vuoi
protestare contro di loro in forme che non siano soltanto il solito corteo in cui
tenere in mano il solito cartellone; magari hanno già messo radici nel tuo ambiente
da molto tempo, costruendo punti vendita che sfruttano i lavoratori e che devastano
l’ambiente, e tu cerchi un modo per attirare l’attenzione pubblica o per intralciare
i loro progetti; forse vuoi organizzare un evento pubblico festoso e comunitario
come uno street party. Con l’azione diretta puoi far sorgere un giardino pubblico
in un terreno inutilizzato oppure puoi difenderlo paralizzando i bulldozer, puoi
praticarla per occupare gli edifici abbandonati e dare un tetto agli homeless o
per mandare in tilt gli uffici governativi. Che tu stia agendo con pochi amici fidati
o che tu stia agendo con migliaia di persone, i principi di base sono sempre gli
stessi.
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mercoledì 30 novembre 2022
Azione diretta
domenica 27 novembre 2022
Kropotkin - Le ragioni e il metodo di una scienza della morale
Kropotkin iniziò
ad occuparsi di scienze naturali durante la giovinezza, mentre prestava servizio
con i Cosacchi nell’estremo oriente siberiano. Iscrittosi poi alla facoltà di scienze,
intraprese alcune importanti spedizioni naturalistiche come geografo nella penisola
scandinava. Attraverso le osservazioni e i dati raccolti in questi viaggi egli riuscì
in seguito a fornire delle spiegazioni esatte dell’orografia euroasiatica e delle
fasi dell’era glaciale in Europa, che gli valsero la nomina a segretario della sezione
geofisica della Società russa di geografia – incarico che rifiutò poiché “Tutte
le belle parole sono inutili, quando gli apostoli del progresso si tengono lontani
da quelli che pretendono spingere in avanti”3. Proprio nel corso di questi viaggi
in luoghi remoti, selvaggi e solitari l’interesse naturalistico si lega a quello
etico-politico, fino a portare Kropotkin ad elaborare un metodo filosofico transdisciplinare
ed una filosofia di vita rivoluzionaria e ribelle. Gli uomini primitivi appresero
dunque dall’osservazione degli animali immersi nel proprio habitat delle vere e
proprie lezioni di socialità e di etica. Essi impararono che gli individui e i gruppi,
tranne rare eccezioni, sono inseparabili l’uno dall’altro, che essi non si uccidono
quasi mai l’uno con l’altro, e che le specie più deboli possono, grazie all’unione
e alla fiducia l’uno nell’altro, affrontare avversari ben più forti di loro. I nostri
antenati poterono senz’altro osservare che in molti gruppi animali sono presenti
sentinelle che si alternano a fare la guardia nei momenti in cui il gruppo è esposto
ad un possibile pericolo; si può ragionevolmente ipotizzare che l’uomo, ancora nomade,
abbia capito proprio dall’osservazione di animali riuniti in colonie tutti i vantaggi
di una vita stabile, oppure aver compreso da alcune specie animali l’utilità di
una riserva di cibo, o ancora l’importanza del gioco per rinsaldare la fiducia reciproca.
Secondo Kropotkin, esiste una doppia tendenza “caratteristica della vita in generale”:
“da un lato la tendenza alla socialità; dall’altro, come risultato di questa, l’aspirazione
a una più grande intensità di vita, da cui il bisogno di una più grande felicità
per l’individuo”. Tale duplice aspirazione costituisce “una delle proprietà fondamentali
e uno degli attributi necessari a qualsiasi aspetto della vita sul nostro pianeta”.
Nell’uomo questa doppia tendenza risponde a due bisogni e a due sentimenti contrapposti:
da un lato il bisogno di unione e il sentimento di reciproca simpatia – che porta
gli uomini ad unirsi in gruppo “per attendere con uno sforzo comune all’attuazione
di ciò che non è possibile realizzare da soli” – e dall’altro il bisogno di lotta
e di autoaffermazione, che spinge gli uomini a “dominare i loro simili per scopi
personali”. Tuttavia, poiché nella natura animale “gli istinti più durevoli prevalgono
sugli istinti meno persistenti”, la nostra coscienza morale “è il risultato di una
lotta durante la quale un istinto personale meno forte cede all’istinto sociale
più costantemente presente”; il risultato di una comparazione tra il proprio desiderio
personale e gli istinti sociali – che sono prevalenti perché ereditari, riconosciuti
da tutti i membri del gruppo e riconoscibili nelle altre specie. Si cerca allora
di rendersi conto di quel sentimento morale che s’incontra ad ogni passo, senza
averlo ancora spiegato, e che non si spiegherà mai finché lo si crederà un privilegio
della natura umana, finché non si discenderà sino agli animali, alle piante, alle
rocce per comprenderlo.
(P. KROPOTKIN, La morale anarchica)
giovedì 24 novembre 2022
Walker C. Smith sul sabotaggio
Nel suo opuscolo
Smith dedica una prima parte alla ricostruzione della storia del sabotaggio sia
come pratica, nata contemporaneamente allo sfruttamento umano, sia come termine,
scelto per indicare un metodo di lotta sociale solo a partire da Congresso confederale
di Toulouse del 1897 (prima in Inghilterra e Scozia tale pratica era indicata con
il nome “Ca’ Canny”, cioè “andare piano”). Indica anche tre possibili versioni sulla
sua origine lessicale, tutte riconducibili alla parola sabot: nella prima ipotesi
il riferimento è riconducibile all’episodio in cui un operaio francese utilizzò
il suo zoccolo per danneggiare un macchinario, oppure potrebbe derivare dal fatto
che i sabot si presentano come calzature pesanti e ciò causerebbe rallentamenti
nel lavoro, infine l’ultima possibilità è che la parola sabotaggio derivi da un
termine dello slang che indica lo sciopero fatto senza lasciare il proprio posto
di lavoro. Alla base dell’idea di sabotaggio sta innanzi tutto una critica al mercato
del lavoro, alla disparità di potere tra padroni e operai che, restando tagliati
fuori dalla legge della domanda-offerta, si trovano stretti in un sistema senza
stabilità salariale: “Sabotaggio significa, quindi, che i lavoratori combattono
direttamente le condizioni imposte dai padroni secondo la formula ‘salari bassi-cattivo
lavoro' ” (Walker C. Smith). Danneggiare la merce, scioperare o rallentare il lavoro
e le consegne delle merci prodotte attraverso lo sfruttamento sono tutti metodi
di sabotaggio. Non sempre però tale mezzo è messo in pratica a beneficio dei lavoratori,
anzi spesso sono gli stessi imprenditori che ne impongono l’uso per aumentare il
valore della merce. Smith porta come esempio, tra gli altri, i carichi di patate
distrutti in Illinois, o le mele lasciate marcire sugli alberi dei frutteti di Washington,
o ancora le mistificazioni dei documenti ai danni dei concorrenti della Standard
Oil Company. Tali azioni altro non sono che “sabotaggio capitalista”, come già le
aveva chiamate tre anni prima William Trautmann. Se divenisse una pratica diffusa
tra gli operai, secondo Smith il sabotaggio potrebbe fermare le guerre e bloccare
gli arresti di chi sciopera; per riuscirci però dovrebbe diffondersi la coscienza
del potere che porterebbe, per conseguenza, alla solidarietà tra lavoratori. Come
pratica di massa, se utilizzata da ogni operaio di ogni comparto produttivo, permetterebbe
addirittura di giungere alla fine delle classi, dello Stato e della produzione come
mezzo di profitto anziché di prodotti di utilità. Attingendo alla tradizione anarcosindacalista
europea, Walker C. Smith adatta l’idea di sabotaggio alla situazione statunitense
del primo Novecento, rendendolo applicabile da una classe lavoratrice in balìa delle
leggi della speculazione, sfruttata, vilipesa e molto spesso massacrata dalle milizie
padronali.
martedì 22 novembre 2022
Decreto anti-rave
Il cosiddetto “decreto anti-rave” è esemplificativo
di un clima generale che negli ultimi anni si è andato consolidando di
restringimento degli spazi per le forme di espressione giovanile e di attacco
al dissenso sociale.
Questo infatti non riguarda solo i rave-party, ma
tra le casistiche che potrebbero rientrare al suo interno vi sono anche molte
pratiche che fanno parte della storia della protesta e del dissenso sociale nel
nostro paese, dalle occupazioni delle università e delle scuole, ai picchetti
davanti alle fabbriche, alle manifestazioni non autorizzate.
Ma questo decreto non è altro che l’epifenomeno di
un lungo processo di criminalizzazione dei comportamenti giovanili, degli
ultimi e degli indesiderabili, delle lotte sociali.
Come dimenticare le legislazioni anti-degrado che
regolano in maniera sempre più escludente la vita nelle grandi città? Per non
parlare dei Daspo urbani e di tutta un’altra serie di normative volte ad
affrontare problemi sociali come problemi di ordine pubblico.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pioggia
di inchieste per associazione a delinquere o sovversiva nei confronti di lotte,
movimenti sociali e sindacati. A Torino ne sono state messe in campo ben due
nel giro di brevissimo tempo. Anche le lotte studentesche, ad esempio
l’opposizione all’alternanza scuola-lavoro, sono state represse con
carcerazioni preventive e misure cautelari a giovani liceali e universitari*.
Ma non solo, abbiamo visto una crescente
applicazione degli strumenti della legislazione antimafia nei confronti di
movimenti sociali e militanti politici. E’ evidente che si vuole trattare il
conflitto ed il dissenso sociale come un fenomeno criminale con delle logiche
che evidenziano una progressiva deriva autoritaria.
Crediamo dunque che sia necessario non fare passare
sotto silenzio quanto sta succedendo e comprendere a fondo quali siano i
meccanismi e le tendenze che abbiamo di fronte.
lunedì 21 novembre 2022
21 novembre 1831: Rivolta dei Canuts
A quel tempo, i tessuti erano la principale industria francese e la fabbrica di seta di Lione sosteneva la metà degli abitanti della seconda città del regno con più di 30.000 telai, così come altri lavoratori intorno a Lione.
Questi tessitori
di Lione, o canut , erano maestri operai che possedevano i loro telai a casa e lavoravano
a casa in famiglia, con i compagni che ospitavano e nutrivano. In tempi di magra
si impiegavano principalmente donne, meno pagate, e apprendisti o ragazzi di razza,
che a Lione si chiamano rana , ancor meno pagati, mentre le travi dove il tessuto
era avvolto erano molto pesanti da trasportare. E davanti a loro, i padroni che
a Lione sono chiamati i produttori di seta ma che non fabbricano nulla. Sono infatti
commercianti, che anticipano il capitale procurandosi la materia prima e si accontentano
di passare gli ordini ai canut. La situazione di miseria e oppressione : i canut
lavoravano dalle 15 alle 18 ore al giorno (10 ore per i bambini dai 6 ai 10 anni)
per i salari di povertà. Si ammassavano in monolocali malsani. I telai Jacquard
richiedevano altezze del soffitto molto maggiori rispetto a prima, ma il più delle
volte lo spazio aggiuntivo era riempito da un soppalco (mezzanino) dove vivevano
le famiglie mentre i compagni, gli apprendisti, spesso dormivano negli armadi. Certamente
una solidarietà univa i canut che avevano costituito, sotto la guida di Pierre Charnier
e di altri attivisti dell'epoca, il movimento mutualista. L'idea delle mutue era
di prevedere scadenze per remunerare i disoccupati mediante contributi. Si prevedeva
addirittura di fondare una cooperativa di produzione che avrebbe permesso di fare
a meno dei serici, che vivevano nell'opulenza ... Ma non eravamo ancora lì.
Dal gennaio 1831
sorse una certa agitazione. Si organizzano raduni in diverse parti della città per
chiedere lavoro e pane. Nell'aprile-giugno 1831 si diffondono le idee di Saint-Simon
e di Fourier, evocando l'oppressione dei ricchi, i misfatti della concorrenza aggravata,
l'ingiustizia sociale. A poco a poco, si percepisce una coscienza di classe.
Il 18 ottobre il
prefetto Bouvier-Dumolard è preoccupato. 8.000 canut eleggono "commissari"
che formano una commissione che chiede una tariffa e dà un indirizzo al prefetto:
"È giunto il momento in cui, cedendo alla necessità imperativa, la classe
operaia deve e vuole cercare di porre fine alla sua miseria". Il 25 ottobre
il prefetto ha convocato un nuovo incontro con i delegati dei canut e dei setaioli.
Ma contemporaneamente 6.000 canut, capi officina e compagni, provenienti da tutte
le periferie, si radunano e sfilano, per le strade di Lione fino a davanti al prefettura,.
Viene firmato un accordo e stabilità una tariffa congiuntamente entra in vigore
il 1° novembre. Ma la maggior parte dei produttori si rifiuta di applicare la tariffa
e persino il governo, che disconosce l'atteggiamento del prefetto. Vedendosi ingannati,
esasperati dall'intransigenza delle manifatture, i canut perdono la pazienza e vogliono
attaccare la rue des Capucins, l'industria della seta. Aspettano fino al 20 novembre
quando decidono di non tornare al lavoro e di tornare a manifestare in massa davanti
alla prefettura . La situazione è esplosiva perché questo stesso 20 novembre si
svolge una rassegna con il generale Ordonneau della guardia nazionale dei distretti
della penisola.
21 novembre 1831.
Dall'alba, un'agitazione
febbrile si diffonde a tutta la popolazione di Croix-Rousse. La maggior parte degli
scambi viene interrotta. Più di mille lavoratori si sono riuniti sull'altopiano
della Croix-Rousse, con l'intenzione di imporre l'applicazione delle nuove tariffe.
Diecimila aspettano in Place Bellecour. E ce ne sono centinaia a La Guillotière.
Si formano i cortei,
si gonfiano di ora in ora, i tamburi battono il richiamo. I Canut si precipitano
a pugni nudi, inghiottendo i pendii, costringendo le autorità presenti a ritirarsi
anticipatamente. Ovviamente la guardia nazionale della Croix-Rousse, dove dominano
i canut, non intende opporsi all'azione dei lavoratori. Le scaramucce hanno avuto
luogo in vari punti dell'altopiano e in particolare in cima alla Grand'côte, in
rue Bodin, ma gli operai hanno mantenuto il controllo costruendo numerose barricate.
Il sindaco facente funzione ordina a Ordonneau di intervenire. I canut alla testa
del corteo sventolano una bandiera nera su cui alcuni hanno scritto questo famoso
motto: "VIVERE LAVORANDO O MORIRE COMBATTENDO".
Si imbattono in un gruppo
in fondo alla Grand'côte (la rue des Capucins è l'industria della seta). Scoppiano
dei colpi e gli uomini cadono. I manifestanti reagiscono con le poche armi a loro
disposizione, soprattutto alcuni bastoni e pale.
Da ogni finestra
le massaie gridano " Alle armi, alle armi, le autorità vogliono assassinare
i nostri fratelli". "Da ogni casa escono combattenti armati di pale, picconi,
bastoni e oggetti di scena per i loro telai, gridando:"Pane o piombo! "Chi
non ha armi porta i ciottoli ai piani alti delle case o sui tetti dai quali strappano
le tegole. Barricate con carri salivano rapidamente ai quattro angoli della penisola
formando di volta in volta altrettanti posti di blocco. Canuts disarma la guardia
nazionale della Croix-Rousse e batte la sveglia per una chiamata generale alle armi.
Costruiscono nuove barricate con l'aiuto di donne e bambini. La battaglia diventa
feroce. È il panico generale al Comune e alla Prefettura. Il generale Roguet sta
cercando di demolire alcune barricate. Il prefetto, che invita le " persone
oneste " a non farsi coinvolgere nel movimento dei " cattivi sudditi ",
decide di andare in battaglia con il generale Ordonneau il prefetto e Ordonneau
vengono presi in ostaggio. Gli operai riuscirono in due giorni a impadronirsi militarmente
della città, abbandonata dal generale François Roguet, comandante della divisione,
e dal sindaco Victor Prunelle.In seguito alla decisione presa dal presidente del
consiglio Casimir Pierre Périer, circa la necessità di una reazione energica, il
maresciallo Soult, accompagnato dal duca d'Orléans, partì per Lione alla testa di
un'armata di 20.000 uomini, che penetrò in città il 3 dicembre, riuscendo a ristabilire
l'ordine a prezzo di 190 morti e 10.000 prigionieri.
domenica 20 novembre 2022
20 Novembre 1969: Indiani occupano Alcatraz
Nelle prime ore di
una fredda mattina autunnale una manciata di indiani sbarca sull'isola carceraria
abbandonata di Alcatraz e in lettere cubitali scrive sui muri dell'ex carcere "You
are on Indian Land." Il giorno successivo reclamano i propri diritti sull'isola
in base al Contratto di Fort Laramie del 1868, secondo il quale gli Indiani possono
reclamare per sé terreni pubblici non utilizzati. In cambio offrono al governo USA
lo stesso prezzo che 300 anni fa "l'uomo bianco pagò per l'acquisto di un'isola
simile" (Manhattan), e cioè 24 dollari in perline di vetro.
L'occupazione colpisce
nel segno la nazione già provata dalle proteste contro la guerra e si accorge per
la prima volta della disastrosa situazione degli Indiani d'America. Nel 1969 quasi
il 40% dei circa 800.000 indiani è disoccupato, il 70% vive nelle bidonville e il
salario annuo medio di una famiglia indiana è di circa 1.500 dollari, cioè un quarto
della media nazionale. Le condizioni di vita degli Indiani d'America determinano
anche la bassa aspettativa di vita di soli 46 anni, un terzo in meno rispetto alla
media statunitense di 71 anni.
Secondo il movimento
degli Indians of All Tribes (Indiani di tutte le tribù), Alcatraz corrispondeva
alla concezione dei Bianchi di una riserva perfetta: isolata dalla civilizzazione
moderna, con un'infrastruttura sanitaria insufficiente, senza alcuna risorsa naturale,
senza industria e quindi con un alto tasso di disoccupazione, senza alcuna struttura
adatta alla prevenzione sanitaria, senza scuole e con un terreno talmente povero
da non riuscire a nutrire nessuno.
Nell'anno e mezzo
di occupazione della nuova terra indiana Alcatraz, migliaia di attivisti indiani
e simpatizzanti si recano sull'Isola dei Pellicani per esprimere la propria solidarietà
con il movimento. Su Newsweek si legge che "Alcatraz ha significato il risveglio
dell'orgoglio indiano ed è diventata simbolo della liberazione dell'uomo rosso".
Alcatraz ha rafforzato la riscoperta dei valori tradizionali e la resistenza contro
l'assimilazione, ha innescato un aumento dell'attivismo rosso e quindi ha dato inizio
all'era del "Red Power", che durerà dal 1969 al 1978.
L'American Indian
Movement (AIM), la più radicale delle organizzazioni native, si guadagna l'attenzione
dei mezzi di informazione. Con le sue azioni spettacolari riesce a catturare l'attenzione
dell'America bianca per la situazione misera in cui versa la popolazione nativa.
L'azione di protesta pan-indiana più spettacolare, alla quale l'AIM ha partecipato
in modo decisivo, è forse il "Trail of Broken Treaties" (Viaggio degli
accordi disattesi): una colonna di auto formata da diverse organizzazioni indiane
che attraversa l'intero continente per finire in novembre 1972 con l'occupazione
non programmata dell'ufficio del BIA a Washington. Lo scopo della marcia era di
ottenere misure decisive a favore degli Indiani. Quando i 500 attivisti lasciano
dopo una settimana di occupazione l'ufficio del BIA, questo è completamente distrutto.
Il BIA è fin dalla sua fondazione nel 1824 simbolo della sottomissione dei popoli
nativi.
A fine febbraio 1973
si arriva all'occupazione di Wounded Knee, tristemente famoso per essere stato il
luogo in cui nel 1890 si è compiuto l'ultimo massacro di Indiani. Durante i 71 giorni
di occupazione gli attivisti dell'AIM si scontrarono con armi da fuoco con il FBI
e il corpo degli US-Marshal. Nonostante gli attivisti non riuscirono a far valere
le richieste di riforme, l'azione ispirò altre occupazioni. Seguirono infatti l'occupazione
durata sei mesi di un ex-campeggio per ragazze vicino a Moss Lake nello stato di
New York (1974), l'occupazione armata durata cinque settimane di un istituto per
novizi situato vicino alla riserva Menominee nel Wisconsin (1975), gli otto giorni
di occupazione di un impianto industriale nella riserva dei Navajo nel Nuovo Messico
(1975) e la settimana di occupazione del carcere minorile da parte dei Puyilup nello
stato di Washington (1976). L'ultimo grande evento della protesta indiana si ha
nel luglio 1978, quando centinaia di Indiani di diverse nazioni arrivano a Washington
dopo aver attraversato per cinque mesi tutta la nazione da est a ovest. Con la "Marcia
più lunga" (Longest Walk) manifestano con successo contro tutta una serie di
proposte di legge ultraconservatrici presentate nel 1978 al Congresso. Tra i vari
disegni di legge figurano anche la proposta di sciogliere tutte le riserve indiane,
di annullare tutti gli accordi siglati, di rafforzare l'autorità statale e federale
nelle riserve e di limitare i diritti indiani alla pesca e alla caccia.
La marcia del "Longest
Walk" è l'ultima manifestazione di massa indiana del "Red Power"
. Senza dubbio però il movimento "Red Power" degli anni '60 e '
venerdì 18 novembre 2022
18 novembre 1943: Scioperi e Resistenza
Il 18 novembre
Dall’8 settembre
dello stesso anno iniziano i grandi scioperi operai che portano ad una grande destabilizzazione
del regime oramai alle strette. Le rivendicazioni degli operai, tutti antifascisti,
sono tra le più importanti: la retribuzione dei periodi di interruzione forzata
dal lavoro, la fine del regime militare di produzione, la possibilità di non lavorare
durante i bombardamenti e l’immediata liberazione di tutti i prigionieri politici.
Le risposte del regime fascista sono durissime e devastanti per la loro molteplice
crudeltà. Nei soli mesi autunnali del ’43 sono più di una decina gli operai giustiziati
dalla polizia politica fascista, e diversi reparti delle fabbriche torinesi vengono
deportati in Germania nei campi di lavoro. Il tessuto della classe operaia torinese,
nell’autunno ’43, ha ormai al suo interno strutturato quadri sia del PCI clandestino,
del CLNAI, e dei comitati clandestini sindacali. L’antifascismo diventa uno delle
rivendicazioni portanti degli scioperi operai, e la lotta al regime viene caratterizzata
da un forte protagonismo operaio. Ciò che era partito il 2 novembre alla Breda di
Milano, il 18 trova nella FIAT di Torino lo snodo fondamentale per estendere la
lotta di classe al resto del Nord Italia. La determinazione degli operai torinesi
che, ormai da marzo, hanno inaugurato un ciclo di lotte nuovo, senza precedenti.
L’esplodere e la diffusione su tutta la classe operaia della lotta partigiana, non
sarebbe stato possibile senza una presa di coscienza di forza e di prospettive degli
operai. Sia nelle grandi che nelle piccole officine vengono messi in pratica i sabotaggi
della produzione. E’ indicativo in questo senso una sorta di "libretto rosso
del partigiano” che raccoglie le istruzioni per un sabotaggio, su larga scala e
di massa, del sistema produttivo italiano. Questo manuale, curato da un gruppo partigiano
romano, veniva nascosto dentro le copertine del libretto degli orari ferroviari.
Dare il giusto peso di analisi alla stagione di lotte operaie nell’autunno-inverno
1943, vuol dire di riflesso considerare la Resistenza come espressione della lotta
di classe.
giovedì 17 novembre 2022
17 novembre 1973: lo sgombero del Politecnico occupato ad Atene
Il 14 novembre del
1973 gli studenti del politecnico di Atene entrarono in sciopero e occuparono contro
il regime fascista dei colonnelli sostenuto dagli americani.
L'occupazione seguiva
di alcuni mesi (febbraio 1973) lo sciopero degli studenti di legge che avevano occupato
la loro facoltà ed erano stati brutalmente sgomberati dalla polizia e dall'esercito.
L'occupazione colse impreparato l'apparato repressivo del regime che non riuscì
ad intervenire immediatamente anche grazie, e soprattutto, alla solidarietà che
gli studenti ottennero; infatti, da subito, migliaia di lavoratori, studenti medi
e universitari di altre facoltà accorsero al politecnico occupato. Durante le giornate
del 14 del 15 e del 16 continuarono a susseguirsi assemblee, iniziative, venne attivata
una stazione radio che trasmetteva in tutta la zona di Atene, vennero barricati
gli ingressi dell'università. Il governo impose la legge marziale e sospese la fornitura
di energia elettrica a tutta la città (eccetto il politecnico che era dotato di
generatori di emergenza subito messi in funzione dalgli studenti). Queste prime
risposte non riuscirono tuttavia a spegnere la protesta che anzi crebbe di intensità
e partecipazione tanto da spingere il governo a far circondare dall'esercito Exarchia
e il Politecnico in modo da fermare l'afflusso di gente. Alle 3 del mattino del
17 novembre un carro armato sfondò l'ingresso principale del politecnico facendo
entrare i soldati nel cortile che trovarono gli studenti determinati a non cedere
in alcun modo. All'interno dell'università la repressione fu brutale, arrivando
fino a giustiziare con un colpo di pistola alla nuca uno studente, Michael Mirogiannis,
di 19 anni, dopo che era stato arrestato. Contempraneamente allo sgombero, trasmesso
in diretta dalla radio del politecnico, gli studenti e gli operai attacarono l'esercito
nel resto della città, le barricate si moltiplicarono, in molti zone della città
le forze repressive furono messe in seria difficoltà. La risposta del governo fu
anche in questo caso estremamente brutale, furono 42 i morti durante lo sgombero
e i successivi scontri (tra cui anche un bambino di 5 anni ucciso da un colpo di
fucile di un soldato durante i rastrellamenti di un quartiere popolare di Atene)
e centinaia i feriti.
mercoledì 16 novembre 2022
16 Novembre 1996 Csoa Askatasuna - L'alba
A volte la storia
ha bisogno di una spinta...
La storia incomincia
il 16 novembre del 1996, quando con un corteo studentesco autorganizzato, i compagni
e le compagne autonome si staccarono da una manifestazione istituzionale per “liberare”
l’ex Asilo degli Gnomi, in corso Regina Margherita 47. Occupammo uno stabile abbandonato
da anni, che già precedentemente nel 1987, il Collettivo Spazi Metropolitani (che
poi fondò il Csa Murazzi), occupò per un breve periodo.
Il primo striscione
che mettemmo sulla facciata del centro sociale recitava "Spazi al quartiere
per i bisogni collettivi" e fu quello il motto che caratterizzò la nostra attività:
aprimmo il giardino al quartiere, rendendolo vivibile per tutti ed ancora oggi,
in convivenza con l'asilo nido, è e rimane uno spazio verde di Borgo Vanchiglia.
Non riusciamo con
facilità ad elencare i momenti più importanti che sono stati vissuti in questi anni
perché ogni attimo, è stato vissuto insieme con passione, impegno e dedizione, e
tutte le iniziative sono state importanti.
Non possiamo però
dimenticare il 1 maggio del 1999, periodo di guerra per l'Italia, che costò la vendetta
delle forze dell'ordine per aver osato disturbare una parata ignobile, nel giorno
della festa dei lavoratori, dei partiti della sinistra istituzionale al governo
impegnati nella guerra dei Balcani.
Non possiamo non
ricordare le centinaia di compagni e compagne che hanno reso l'Askatasuna quello
che è oggi, anche nei momenti più difficili, quando sembrava di stare " chiusi
in una stanza come Visone e i suoi durante la Resistenza".
Sono passati diversi
sindaci in questi anni, sono centinaia le richieste di sgombero, eppure l’agire
politico li ha portati dove sono oggi, a testa alta, senza scendere mai a compromessi
con nessuno.
Siamo partiti chissà
quante volte con il furgone dell'amplificazione dall'Askatasuna per centinaia di
manifestazioni: in cordone, ballando, con la gioia e con la rabbia, e siamo poi
sempre ritornati alla base con qualcosa in più, con la soddisfazione di non aver
mai avuto rimorsi.
Askatasuna è una
parola basca, lingua di un popolo fiero, e significa libertà, e per questo uno spazio
sociale non poteva avere un nome migliore.
lunedì 14 novembre 2022
14 Novembre 1969: l'autunno caldo a Bologna
Novembre 1969: il
fermento dell’autunno caldo sta ormai attraversando l’Italia da diverse settimane,
tanto nelle fabbriche quanto nelle scuole e nelle università.
A Bologna diversi
istituti sono occupati e in molti altri gli studenti si stanno mobilitando per fare
altrettanto; in questa situazione non mancano le prime operazioni repressive volte
a contenere la diffusione del movimento: nella notte del 12 Novembre il Liceo Fermi
viene violentemente sgomberato dalla polizia e due studenti vengono arrestati per
violenza ed oltraggio. Per il 14 viene quindi indetta una giornata di mobilitazione
per chiederne l’immediata liberazione; all’appello rispondono più di cinquemila
studenti che si radunano di fronte a diverse scuole incitando i propri compagni
ad impedire il regolare svolgimento delle lezioni fino a quando i due liceali non
verranno rilasciati. Dopodiché, gli studenti si radunano per muoversi in corteo
e raggiungono l’istituto tecnico “Pacinotti” con l’intento di occuparlo. Arrivati
sul posto, però, trovano l’ingresso sbarrato dalla polizia: in breve si arriva allo
scontro e il fronteggiamento con le forze dell’ordine prosegue per diverse ore con
lancio di oggetti da una parte e massiccio uso di lacrimogeni dall’altra. A fine
giornata i fermati sono 60, 38 studenti e 22 studentesse, che vengono interrogati
e rilasciati in serata.
Nel frattempo in
tutte le scuole della città si svolgono assemblee e riunioni per confrontarsi su
come proseguire la mobilitazione; negli stessi giorni a Torino, Milano, Pisa e in
molte altre città italiane le occupazioni di scuole e facoltà continuano ad aumentare...l’autunno
caldo è appena iniziato!
venerdì 11 novembre 2022
Il fine del processo di civilizzazione
Oggi siamo tutti
progressivamente privati delle nostre capacità di genere e messi di continuo alla
mercé di una macchina o delle decisioni di uno specialista. In questo modo stiamo
man mano perdendo l’utilizzo di funzioni vitali. Forse non ce ne rendiamo conto,
ma nel mondo incivilito abbiamo perso l’uso dei piedi. Se ci togliamo le scarpe
non siamo più in grado di muoverci … Forse non ce ne rendiamo conto, ma nel mondo
incivilito non siamo più in grado di provvedere autonomamente alla nostra sussistenza:
non riusciamo più a riconoscere una pozza d’acqua potabile da una inquinata; non
riusciamo più a distinguere un fungo velenoso da uno commestibile; non siamo più
in grado di proteggerci dal freddo, di difenderci da soli, di riconoscere bacche,
radici e altri vegetali indispensabili al nostro nutrimento … Siamo insomma diventati
dei disabili. Nel mondo incivilito siamo come dei polli in batteria: se si interrompe
il flusso di mangime lo scenario è il collasso. E tanto più diventeremo dipendenti
dal flusso di mangime, quanto più saremo costretti ad accettare le decisioni, le
regole, gli abusi e le restrizioni di chi controlla e gestisce questo flusso. In
altre parole tanto più diventeremo dipendenti dai ritrovati della tecnologia, dai
diktat dell’economia, dalle astrazioni simboliche della cultura, dai processi controllati
dalla Paura politica e dai principi strangolanti del Dominio, quanto più ci allontaneremo
dalla capacità anche solo di immaginarlo un mondo diverso. Per farla breve il fine
del processo di civilizzazione è quello di far perdere ad ogni individuo la capacità
di saper disporre di se stesso.
Quello che dobbiamo
sempre ricordare che un’esistenza senza catene è la sola condizione compatibile
con la vita umana e della Terra; la sola condizione in cui poter godere di un’esistenza
libera e gratificante insieme e non contro gli altri.
martedì 8 novembre 2022
Ciò che si definisce Stato – Max Stirner
Ciò che si definisce
come Stato è simile a un intreccio e una tessitura congiunta da legami e da adesioni,
una proprietà comune dove tutti coloro che fanno causa comune si accomodano gli
uni con gli altri, e dipendono gli uni dagli altri. Lo Stato è l'ordinamento di
questa dipendenza reciproca. Tende a scomparire il re che conferisce l'autorità
a tutti, dall'alto in basso, per giungere fino all'aiutante del boia, l'ordine non
sarebbe perciò meno difeso contro il disordine delle forze istintive da tutti coloro
che hanno il senso dell'ordine profondamente radicato nella loro coscienza. Poiché
se vincesse il disordine, questa eventualità sarebbe la fine dello Stato. Ma questo
sentimento ideale di adattarsi reciprocamente, di fare causa comune e di dipendere
gli uni dagli altri, può forse veramente convincerci? Sotto questo punto di vista
lo Stato sarebbe la realizzazione stessa dell'amore dove ciascuno esisterebbe per
gli altri e vivrebbe per gli altri. Ma il senso dell'ordine non sta forse mettendo
in pericolo la personalità? Non bisogna forse accontentarsi di garantire l'ordine
con la forza di modo che niente e nessuno «schiacci i piedi al vicino» oppure che
la truppa sia opportunamente incolonnata o schierata? Ogni cosa allora va nel migliore
dei modi, nel massimo ordine ed è questo un ordine ideale, ma è lo Stato. Le nostre
società e i nostri Stati esistono senza che noi li creiamo; essi si sono formati
senza il nostro consenso, essi sono prestabiliti, godono di un'esistenza propria,
indipendente; essi sono contro noi individualisti che viviamo in modo irrepetibile. Il mondo d'oggi è, come si dice, in lotta contro «lo stato di
cose esistente». Tuttavia ci si inganna in genere sul significato di questa lotta,
come se non si trattasse che di cambiare ciò che esiste attualmente con un nuovo ordine che sarebbe migliore. È piuttosto a ogni ordine
esistente, vale a dire allo Stato che la guerra dovrebbe essere dichiarata, non
a uno Stato in particolare, ancora meno alla forma attuale dello Stato. L'obiettivo
da raggiungere non è un altro Stato ma l'associazione, modo di associarsi sempre
mutevole e rinnovato di tutto ciò che esiste. Lo Stato è presente anche senza la
mia partecipazione. Io vi nasco, vi sono educato, ho verso di lui i miei doveri,
io gli devo «fedeltà e omaggio». Egli mi prende sotto la sua ala protettrice e io
vivo della sua grazia. L'esistenza indipendente dello Stato è il fondamento della
mia mancanza d'indipendenza. La sua crescita naturale, la sua vita come organismo
esigono che la mia natura non si sviluppi per me liberamente, ma che sia ritagliata
sulla misura. Perché lo Stato possa espandersi naturalmente, esso mi fa passare
sotto le forbici della «cultura». L'educazione
e l'istruzione ch'esso mi dà sono basate sulla sua misura e non sulla mia. Esso
m'insegna per esempio a rispettare le leggi,
ad astenermi dal portare minacce alla proprietà
dello Stato (vale a dire alla proprietà privata), a venerare una maestà divina e
terrestre. In una parola esso m'insegna ad essere irreprensibile, sacrificando la
mia individualità sull'altare della «santità » (è santa qualsiasi cosa, per esempio
la proprietà, la vita d'altri, ecc.). Tale è la qualità della cultura e dell'istruzione
che lo Stato è pronto a darmi. Esso mi conduce a diventare uno «strumento utile»,
un «membro utile della società». Questo è ciò che deve fare ogni Stato sia esso
«uno Stato popolare» assoluto o costituzionale. Esso sarà uno Stato fino a che noi
saremo cascati nell'errore di credere che esso sia «un individuo» e come tale una
«persona » morale, mistica o pubblica.
sabato 5 novembre 2022
5 Novembre 1605: Guy Fawkes
“Remember, remember
the fifth of november,
the gunpowder treason and plot.
I know of no reason
why the gunpowder treasonshould even be
forgot.”
È la notte tra il
4 ed il 5 Novembre 1605 e “John Johnson” Guy Fawkes viene catturato negli scantinati
del Palazzo del Parlamento inglese a Londra: con lui vengono trovati 36 barili di
polvere da sparo. Finisce così la congiura ordita da un gruppo di cattolici anglosassoni
capitanati da Robert Catesby, il cui scopo era quello di far esplodere parte del
Parlamento ed assassinare Re Giacomo I, assieme al suo Governo, colpevoli della
promulgazione del decreto di espulsione di gesuiti e cattolici dal Regno. Traditi
da una lettera anonima, i congiurati sopravvissuti alle rispettive catture vennero
processati ed impiccati il 30 ed il 31 gennaio del 1606.
Seppur fallito, questa
azione divenne, col passare dei secoli, una vera e propria impresa tanto da renderne
l’esecutore Guy Fawkes un eroe. Ispirato da tale vicenda Alan Moore, autore e fumettista
inglese, realizzò il suo Graphic Novel “V per Vendetta” (dal quale venne tratto
un film nel 2005 diretto da James McTeigue dal quale Moore si dissociò totalmente
dalla produzione), il cui protagonista porta una maschera raffigurante il volto
Fowkes. Di quella notte ormai è rimasta solo una filastrocca, cantata dai bambini
per le strade di Londra, la mattina del 5 di novembre in ricordo di un’impresa che,
indipendentemente dai reali scopi, andava comunque ricordata.
venerdì 4 novembre 2022
Disertare le guerre
In Russia e in
Ucraina c’è chi rifiuta la guerra e il militarismo, chi getta la divisa perché
non vuole uccidere e non vuole morire per spostare il confine di uno Stato.
Ogni anno il 4
novembre, nell’anniversario della “vittoria”, in Italia si festeggiano le forze
armate, si festeggia un immane massacro: 16 milioni di morti. Sul solo fronte
nord est della penisola ci furono 600.000 morti.
Durante la prima guerra mondiale, su tutti i fronti, tanti disertarono pur sapendo che la loro vita sarebbe finita davanti ad un plotone di esecuzione. Anche allora, in tanti, su tutti i fronti, gettarono la loro divisa perché non volevano uccidere quelli che i loro superiori chiamavano "nemici". Tanti allora, come oggi, avevano capito che i loro veri nemici erano chi li avevano mandati in trincea a combattere e ad uccidere.
Dalle trincee
della grande guerra sino alla Russia e all’Ucraina c’è chi rifiuta la guerra e
il militarismo, c’è chi getta la divisa perché non vuole uccidere e non vuole
morire per spostare il confine di uno Stato.
In memoria dei
disertori e dei senzapatria di allora, in solidarietà a chi oggi rifiuta
l’arruolamento in Russia come in Ucraina, oggi è una giornata di lotta per la
cancellazione di tutte le frontiere, per l’accoglienza di chi fugge
l’arruolamento forzato, per il ritiro delle missioni militari all’estero.
Sosteniamo chi
si oppone alla guerra in Russia e in Ucraina! Sosteniamo chi si oppone a tutte le guerre! Apriamo le frontiere ad obiettori
e disertori! Facciamo diventare il 4 novembre la "Giornata dei
disertori".
Né con l'Ucraina né con la Russia,
ma con il popolo ucraino e con il popolo russo!
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!
giovedì 3 novembre 2022
3 novembre 1917: Alessandro Ruffini il soldato fucilato per un sigaro
3 novembre 1917:
Alessandro Ruffini il soldato fucilato per un sigaro.
A dare l'ordine di
fucilazione del giovane soldato Alessandro Ruffini fu il generale Graziani che rivendicò
in seguito il gesto come esemplare per ottenere l'obbedienza dell'esercito allo
sbando dopo Caporetto.
Manca un anno all’armistizio di Villa Giusti, la cui entrata in vigore, il 4 novembre
1918, segnerà la vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale; in quel 3 novembre
1917 la vittoria appare però molto lontana e le truppe italiane, esauste, sono in
ritirata dopo la pesante sconfitta di Caporetto. Il ventiquattrenne Alessandro Ruffini
è in marcia con la 10a Batteria del 34° Reggimento Artiglieria, proveniente dall’Isontino
e diretto a Padova. Il battaglione sfila nella piazza di un piccolo paese del padovano,
Noventa, salutando militarmente il Tenente generale Andrea Graziani che al passaggio
dei soldati sente qualcuno esclamare: «Levati il sigaro!».
Gli occhi del generale
si posano su un giovane che stringe trai denti un mozzicone di sigaro. Graziani
gli si pone di fronte e lo colpisce con un bastone inveendo. Alla scena assiste
una piccola folla di abitanti del paese e uno di loro interviene, dicendo che non
gli sembra il modo di trattare un soldato italiano, ma il generale risponde che
lui dei suoi soldati ne fa quello che vuole e ordina l’immediata fucilazione di
Alessandro Ruffini. A rendere di pubblico dominio l’accaduto saranno le testimonianze
degli atterriti abitanti di Noventa, presenti alla brutale esecuzione, insieme alle
parole riportate dal parroco sul registro parrocchiale: «Ruffini Alessandro, figlio
di Giacomo e di Bertoli Nazzarena, nato il 29 Gennaio 1893 nella Parrocchia di Castelfidardo,
di condizione militare della 10a Batteria 34° Reg.to Artiglieria da campagna, morì
il 3 Novembre 1917 alle ore 4 pom. per ordine del Generale Graziani fucilato alla
schiena. Ricevette l’Assoluzione e l’O.S.. La sua salma dopo le esequie fu tumulata
nel Cimitero Comunale».
Nel 1919, Graziani
rivendicherà la sua decisione asserendo che quel sigaro «piantato attraverso la
bocca» e la «faccia di scherno» dell’artigliere lo avevano convinto che occorresse
«dar subito un esempio terribile, atto a persuadere tutti i duecentomila sbandati
che da quel momento vi era una forza superiore alla loro anarchia, che li avrebbe
piegati all’obbedienza».
A Noventa Padovana,
sul muro della casa dove Ruffini fu fucilato di spalle, è stata posta una targa
in suo ricordo.
mercoledì 2 novembre 2022
2 Novembre 1811: Luddisti in azione
Il luddismo è stato
un movimento di sabotatori che agì principalmente in Gran Bretagna, soprattutto
nei primi decenni del XIX secolo, opponendosi in questo modo alla violenza dell'industrializzazione
forzata e alle conseguenze che ne derivarono. Il luddismo trae il suo nome da Ned
Ludd, operaio, sulla cui effettiva esistenza non si hanno certezze, che sarebbe
divenuto il leader dei rivoltosi.
La rivoluzione industriale,
che si sviluppò principalmente in Inghilterra determinò un epocale cambiamento socio-economico.
In particolare si radicalizzò lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo: divisione del
lavoro e conseguente alienazione. A questa massiccia introduzione di macchine nelle
fabbriche, molti operai reagirono istintivamente contro di esse, distruggendole
e compiendo azioni di sabotaggio.
A capo della rivolta
contro le macchine e l’industrializzazione si pose un certo Ned Ludd, un operaio
tessile presumibilmente di Anstey, vicino a Leicester. Nel 1779, dopo essere stato
frustato con l'accusa di pigrizia sul lavoro o dopo essere stato schernito da giovani
del posto, distrusse due telai per maglieria in ciò che fu descritto come un «impeto
di passione». Tutto ciò fa riferimento ad un articolo del 20 dicembre 1811 pubblicato
sul The Nottingham Review, tuttavia non vi è alcuna prova della veridicità della
storia.
John Blackner's,
nel suo History of Nottingham, fa invece riferimento ad un certo Ludnam che distrusse
alcuni telai per protesta e fu poi imitato da altri operai tessili. Secondo altri
ancora Ned Ludd era solo un'invenzione di coloro che distruggevano le macchine e
dietro il quale si nascondevano per celare la verità, ovvero che si trattava di
una rivolta popolare spontanea che giungeva dal basso.
In ogni caso, a prescindere
dall'esistenza o meno di Ned Ludd, si formò un gruppo di sabotatori che si faceva
chiamare i Riparatori di ingiustizie e che si definivano seguaci di Ned Ludd. Essi
venivano chiamati luddisti e furono particolarmente attivi soprattutto tra il 1811
e il 1817. La prima azione di cui si ha notizia certa fu messa in atto il 12 aprile
1811, quando diverse centinaia di uomini, donne e bambini assaltarono una fabbrica
di filati del Nottinghamshire di proprietà di William Cartwright, distruggendo i
grandi telai a colpi di mazza e appiccando il fuoco alle installazioni. I luddisti
si scagliarono violentemente contro la presenza delle macchine nelle fabbriche,
considerate una vera e propria minaccia alla loro vita (alienazione, perdita del
lavoro, ecc.), anche in numerose altre città della zona e nel tempo tali azioni
si ripeterono costantemente, Nel novembre 1811 molte furono le azioni dei Luddisti,
il 2 novembre a Sutton e Ashfield furono distrutti numerosi macchinari. Secondo
lo storico Edward Palmer Thompson il luddismo fu l'ultimo atto dei lavoratori dopo
il fallimento di tutte i mezzi che la legge consentiva (petizioni, appelli alle
autorità ecc.).
La maggior parte
dei casi di luddismo o comunque di contestazione delle conseguenze sociali ed economiche
della rivoluzione industriale si ebbero in Gran Bretagna. L'anno seguente all'attacco
contro la manifattura di William Cartwright, si tenne un processo di massa (164
imputati) che si concluse con tredici condanne a morte. Infatti, il governo inglese
aveva introdotto la Framebreaking bill: la pena di morte per la distruzione di una
macchina. Solamente Lord Byron aveva osato contestare pubblicamente (27 febbraio
1812) nella Camera dei Lords tale criminale legge, ma nessuno l'aveva ascoltato.
Poco prima di abbandonare l'Inghilterra, Byron pubblicherà un poema in cui si legge
Down with all the kings but King Ludd («Abbasso tutti i re tranne Re Ludd»).
Nel 1813, George
Mellor, uno dei pochi capitani luddisti catturati, fu impiccato. Stessa sorte subirono
in seguito altre persone e così, a causa della durissima repressione subita, il
movimento ebbe un periodo di stasi, salvo riesplodere nel
martedì 1 novembre 2022
1 Novembre 1969: Primo numero di Lotta Continua
Il primo numero di
“Lotta Continua” esce a Milano il 1° novembre 1969; 12 pagine a rotocalco, molte
foto, fumetti di Giancarlo Buonfino; tiratura: 65.000 copie diffuse con la “vendita
militante”. Direttore responsabile è Piergiorgio Bellocchio.
“L’idea di questo giornale – è scritto nella presentazione
– è quella di trovare i nessi per saldare le lotte operaie con quelle degli studenti,
dei tecnici, dei proletari più in generale, in una prospettiva rivoluzionaria”.
Il punto di riferimento è la lotta autonoma della Fiat, l’obiettivo è quello di
creare “uno strumento di intervento generale nella lotta di classe, che rappresenti
un elemento di continuità nell’alternarsi delle varie fasi della lotta”, attraverso
“l’unificazione di tutti i gruppi che oggi in Italia fanno lavoro di base”. Non
si nascondono gli ostacoli che il progetto ha incontrato, ma si afferma che è necesario
“combattere le idee sbagliate” in seno al proletariato, con la convinzione che l’ultima
parola sta nella “verifica e nella critica delle masse e della lotta di classe”.
Il tessuto organizzativo
che sta dietro al giornale copre un’area ristretta al Centro-Nord: Torino, Milano
e Pavia, Trento, Venezia e Porto Marghera, le città del litorale toscano, qualche
gruppo a Genova e Bologna; un nucleo a Latina dove alcuni compagni del movimento
studentesco romano hanno aperto un intervento di fabbrica. Nel Sud c’è solo un piccolo
gruppo a Bagnoli (Napoli) dove Cesare Moreno ha iniziato a organizzare l’intervento
all’Italsider.
Il giornale nazionale
funzionerà, tuttavia, da elemento di attrazione per molti gruppi studenteschi e
operai che tenderanno a vedere in Lotta Continua la prosecuzione del discorso radicale
avviato nel 68, unito alla disponibilità più ampia senza preclusioni ideologiche,
verso il movimento.