Kropotkin iniziò
ad occuparsi di scienze naturali durante la giovinezza, mentre prestava servizio
con i Cosacchi nell’estremo oriente siberiano. Iscrittosi poi alla facoltà di scienze,
intraprese alcune importanti spedizioni naturalistiche come geografo nella penisola
scandinava. Attraverso le osservazioni e i dati raccolti in questi viaggi egli riuscì
in seguito a fornire delle spiegazioni esatte dell’orografia euroasiatica e delle
fasi dell’era glaciale in Europa, che gli valsero la nomina a segretario della sezione
geofisica della Società russa di geografia – incarico che rifiutò poiché “Tutte
le belle parole sono inutili, quando gli apostoli del progresso si tengono lontani
da quelli che pretendono spingere in avanti”3. Proprio nel corso di questi viaggi
in luoghi remoti, selvaggi e solitari l’interesse naturalistico si lega a quello
etico-politico, fino a portare Kropotkin ad elaborare un metodo filosofico transdisciplinare
ed una filosofia di vita rivoluzionaria e ribelle. Gli uomini primitivi appresero
dunque dall’osservazione degli animali immersi nel proprio habitat delle vere e
proprie lezioni di socialità e di etica. Essi impararono che gli individui e i gruppi,
tranne rare eccezioni, sono inseparabili l’uno dall’altro, che essi non si uccidono
quasi mai l’uno con l’altro, e che le specie più deboli possono, grazie all’unione
e alla fiducia l’uno nell’altro, affrontare avversari ben più forti di loro. I nostri
antenati poterono senz’altro osservare che in molti gruppi animali sono presenti
sentinelle che si alternano a fare la guardia nei momenti in cui il gruppo è esposto
ad un possibile pericolo; si può ragionevolmente ipotizzare che l’uomo, ancora nomade,
abbia capito proprio dall’osservazione di animali riuniti in colonie tutti i vantaggi
di una vita stabile, oppure aver compreso da alcune specie animali l’utilità di
una riserva di cibo, o ancora l’importanza del gioco per rinsaldare la fiducia reciproca.
Secondo Kropotkin, esiste una doppia tendenza “caratteristica della vita in generale”:
“da un lato la tendenza alla socialità; dall’altro, come risultato di questa, l’aspirazione
a una più grande intensità di vita, da cui il bisogno di una più grande felicità
per l’individuo”. Tale duplice aspirazione costituisce “una delle proprietà fondamentali
e uno degli attributi necessari a qualsiasi aspetto della vita sul nostro pianeta”.
Nell’uomo questa doppia tendenza risponde a due bisogni e a due sentimenti contrapposti:
da un lato il bisogno di unione e il sentimento di reciproca simpatia – che porta
gli uomini ad unirsi in gruppo “per attendere con uno sforzo comune all’attuazione
di ciò che non è possibile realizzare da soli” – e dall’altro il bisogno di lotta
e di autoaffermazione, che spinge gli uomini a “dominare i loro simili per scopi
personali”. Tuttavia, poiché nella natura animale “gli istinti più durevoli prevalgono
sugli istinti meno persistenti”, la nostra coscienza morale “è il risultato di una
lotta durante la quale un istinto personale meno forte cede all’istinto sociale
più costantemente presente”; il risultato di una comparazione tra il proprio desiderio
personale e gli istinti sociali – che sono prevalenti perché ereditari, riconosciuti
da tutti i membri del gruppo e riconoscibili nelle altre specie. Si cerca allora
di rendersi conto di quel sentimento morale che s’incontra ad ogni passo, senza
averlo ancora spiegato, e che non si spiegherà mai finché lo si crederà un privilegio
della natura umana, finché non si discenderà sino agli animali, alle piante, alle
rocce per comprenderlo.
(P. KROPOTKIN, La morale anarchica)