..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 30 agosto 2023

Perché continuare a delegare? (parte 2)

Non esistono governi buoni:

...e come sarà mai possibile che il destino di un Popolo stia in buone mani, quando la scelta de' ministri si farà da una corte o mediatamente o immediatamente! Sarà un prodigio o un mero azzardo se verrà scelto un uomo dabbene”. (Si è mai realizzato il prodigio? Quante altre ere storiche sareste disposti ad aspettare prima di veder compiuto questo prodigio, se mai si compirà? O lasciate che sia il caso a decidere per voi?)

Verri ragiona sulle varie possibilità di governo, anche quello eletto dal popolo, non esclude nulla, e dopo aver preso in considerazione persino l'utopia di un governo presieduto da un animo buono, dice:

ma gli uomini anche buoni talvolta cessano di essere tali, e il maggior pericolo di prevaricare è appunto quando sono rivestiti di un pubblico potere”. (Non circola forse quel proverbio che dice “l'occasione fa l'uomo ladro?”)

La cosa su cui insiste il Verri, in più punti del testo e persino nel titolo, è anche il fatto che su questi argomenti egli non abbia studiato alcun libro, come a dire che anche gli ignoranti sono capaci di decodificare questi concetti:

Queste sono le idee che non ho cavate dai libri ma nella solitudine, ragionando con me medesimo, e scavando, come dissi, nel mio cervello per trovarvi la verità”.

Alla fine del Settecento, l'idea di una “repubblica” era paragonabile a quella di un'anarchia. La repubblica, nel suo originario senso (oggi nascosto, cassato del tutto) veniva davvero considerata essenzialmente un'utopia. Ed è rimasta un'utopia, visto che oggi le repubbliche sono tali soltanto nominalmente (come le “democrazie”), sono cioè diventate custodie in ottone lucidato per contenervi subdole dittature. Ma il Verri adopera la parola “repubblica” nel senso vero e originario, nell'idea anarchica di una gestione diretta e popolare della società. E dopo aver stabilito che la forma migliore di governo è quella in cui il popolo detiene il controllo di tutto, termina il discorso in questo modo:

Se qualch’altro mi rimproverasse, perché nel mio scritto non vi sia civismo, io mi limiterò a invitarlo, perché dia in questi tempi alla Patria de’ consigli più opportuni de’ miei”.

Insomma, da allora sono passati 227 anni, ci sembra che di governi ne abbiamo visti e sopportati abbastanza. Aspettiamo ancora? E se non vi bastano 227 anni possiamo andare ancora indietro nella Storia, dove troveremo un grande Etienne de la Boétie (XVI secolo) che parla in merito alla condizione di “servitù volontaria” del popolo, troveremo Diogene (412 a.C.), fino a trovare le antichissime genti oppresse da quegli imperi che i media definiscono impropriamente, ma astutamente, “civiltà” (babilonesi, sumeri, egizi, ittiti, assiri, ecc.). Insomma, per dirla alla Verri, se scorriamo gli ultimi 3000 anni di Storia ci troveremo sempre di fronte a “una popolazione che sin ora non ha saputo far altro se non soffrire con sommessione”. Cosa vi fa illudere ancora che una vostra delegazione di vampiri possa darvi la libertà, la pace e la giustizia che meritate?

domenica 27 agosto 2023

Perché continuare a delegare? (parte 1)

 

Ci dicono: “ma come potete ottenere l'anarchia se viviamo circondati da gente mafiosa e profittatrice, aggressiva e malvagia? Siate realisti!” Così ci dicono. Intanto, tra parentesi, facciamo notare quel “potete” che è come dire: fate da soli che a noi non interessa (qualunquismo opportunista). Ma continuiamo.

La questione va ribaltata: quella stessa domanda che in molti ci pongono, in realtà siamo noi per primi a rivolgergliela, lo facciamo da sempre, e a ragion veduta. Quindi la ribadiamo ancora per tutti: “come potete voi, o elettori, continuare a credere di trovare un vostro rappresentante, quando siamo circondati da vampiri malvagi e profittatori?” Non sarete piuttosto voi gli utopisti, dal momento che non è mai esistito nella storia un solo governo che abbia garantito al popolo pace, giustizia, libertà? E come potrebbe? È un controsenso pretendere giustizia e libertà da un'istituzione preposta al comando e al controllo della massa. Siate voi i realisti, piuttosto.

È inutile cercare nella memoria, per davvero non è mai esistito un solo governo che abbia restituito ai cittadini ciò che spetta loro, ciò che apparteneva a loro per diritto naturale. Semmai i governi tolgono, rubano alla gente, è il loro compito, sono servili strumenti dello Stato. Se invece di cercare nella memoria cercassimo negli archivi, nelle biblioteche, ci accorgeremmo che il lamento del popolo è antico quanto lo Stato e i governi, ci si lamenta praticamente da 3000 anni circa (prima vivevamo in florida anarchia). Ma guardateli bene i libri di storia scolastici, cercatene il sottotesto, non sono altro che la summa delle lotte per la sopravvivenza dei popoli che protestano contro tutti i governi e che, con l'inganno, vengono mandati a morire per conto dei sovrani (ma astutamente alla gente viene detto che si muore “in nome del popolo sovrano” e di una “libertà”che però rimane sempre un'utopia).

In Italia la storia dei lamenti del popolo va ben oltre il 1861. Se andiamo indietro nel tempo ci accorgiamo che i governi regionali, di qualsiasi natura e nome, hanno avuto le stesse caratteristiche dei governi attuali sedicenti “democratici”. Eletti o non eletti, i sovrani e i ministri non fanno altro che opprimere il popolo, derubandolo. E saremmo noi anarchici i sognatori e gli utopisti? In poco più di centocnquanta anni (dalla Comune di Parigi), nonostante tutti gli ostacoli, tutte le censure, tutti i soprusi che ci tocca subire, abbiamo dimostrato più volte cosa voglia dire governo del popolo, pace, giustizia e libertà. La stessa cosa non si può dimostrare in 3000 anni di sistema statale. Fate voi. (valga questo esempio per tutti).

Ma prendiamo soltanto il governo di Milano subito dopo gli anni della Rivoluzione francese, nel 1796, cioè 65 anni prima dell'unità d'Italia. È stato ritrovato un testo di quell'anno, scritto da Pietro Verri (filosofo, economista, storico, politico) per la rivista “Termometro politico della Lombardia”, dal titolo “Pensieri d'un buon vecchio, che non è letterato”, che è una raccomandazione al popolo milanese e in cui Verri evidenzia le stesse nefandezze che tutti noi denunciamo oggi circa i ministri e i loro governi.

Copiamo pari pari, anche la punteggiatura, partendo dall'inganno della rappresentatività. Dice Pietro Verri:

“...quando un sovrano pretende d'esser padrone d'uno stato, tutti gli abitanti di quello stato sono nelle mani dei ministri che nomina quel sovrano”. (Non è sempre stato così?)

Verri si sofferma ad analizzare questi ministri (“cortigiani”), ed emerge non solo la loro immoralità, ma anche il loro unico scopo che è quello di arricchirsi:

I cortigiani in massa son gente, o divorati dalla smania di figurare senz'alcun merito, ovvero sono pieni di debiti e non di raro di delitti; e questo miserabile stato dell'animo loro è quello che li costringe a starsene con faccia ridente e sommessa, nell'abituale adorazione del sovrano; a trangugiare con serenità i bocconi più amari, a non avere altra opinione fuori di quella che conduce alla fortuna”. (Non è sempre stato così?)

Segue il modo in cui, nel governo, ministri e privilegiati vari si autopercepiscono l'un con l'altro:

Ivi un animo fermo e robusto dee essere odiato: un animo candido e leale deve essere deriso: un animo sensibile vi passerà per imbecille. Vidi e conobbi anch'io le inique corti”. (Avete conosciuto nella Storia corti diverse da queste?).

mercoledì 12 ottobre 2022

Dopo elezioni: Perde la destra, vince la destra

La destra è al potere! Perché, finora chi c’è stato? Con questo non intendiamo certo sottovalutare il significato politico della vittoria elettorale di Giorgia Meloni e del suo partito, eredi ufficiali del fascismo (si legga all’interno l’intervento di Enrico Ferri), nonostante da mesi stiano sforzandosi di mostrarsi conservatori moderati, fedeli all’Alleanza Atlantica, non più nemici dell’Unione Europea, figli pentiti del putinismo, garanti dell’ordine sociale e clericale e soprattutto del capitalismo nostrano verso cui hanno giurato servilismo e ossequiosità, ricevendone in cambio denaro e voti.

Una centro-destra a traino neofascista è sicuramente in grado di velocizzare i processi reazionari già in atto nel campo dei diritti, del fisco, delle diseguaglianze sociali, come quando è stato a traino leghista (sia pure diviso tra governo e “opposizione”). Il fatto è che la forza della destra sta non nella debolezza del centro sinistra (una democrazia cristiana riveduta e nemmeno corretta), ma nella sua accondiscendenza alle politiche liberiste, militariste, clericali, che lo vede protagonista, oramai da molti anni e molti governi, della distruzione del welfare, dell’acutizzazione delle diseguaglianze, della gestione militare e repressiva delle crisi sanitaria ed economica, dell’accanimento razzista verso i migranti, delle politiche di militarizzazione e guerra. Fattore che ha spinto negli anni verso la destra un certo bacino elettorale popolare.

L’Italia da anni è sotto un governo nei fatti di destra, che ha portato avanti programmi e politiche di destra forse meglio della destra stessa (a spese della sanità, saccheggiata e privatizzata, della scuola immiserita, del lavoro inselvatichito e precariatizzato, dei redditi tagliati, e potremmo continuare). Cosa ancora ci sia da rosicchiare per un governo dichiaratamente di destra, a guida Fratelli d’Italia, lo staremo a vedere, anche perché ancora non abbiamo toccato il fondo, ma di certo non siano lontani dal farlo.

Con questa maggioranza possiamo aspettarci che progetti, come l’autonomia differenziata, cioè l’acuirsi delle differenze tra regioni ricche e regioni del Mezzogiorno, voluta dalla destra ma anche dal PD, possa essere accelerata: all’aumento del sottosviluppo e del degrado meridionale corrisponderà una premialità economico-politica per il Nord ricco e industriale, la definitiva privatizzazione della sanità, dell’istruzione, dei servizi essenziali, lasciando al sud un assistenzialismo straccione e da mera sussistenza, ed il ruolo storico di bacino per l’estrazione di forza-lavoro.

Sarà sicuramente nel campo dei diritti (aborto e contraccezione, eutanasia e suicidio assistito, adozioni, coppie di fatto, identità di genere, ius soli e eguaglianza per i migranti, ecc.) che Meloni e il suo governo proveranno a infierire, appoggiandosi però su quanto di peggio hanno fatto in questi anni il PD, i 5 Stelle e compagnia brutta, che in materia di asservimento ai voleri del Monarca di Roma non sono secondi a nessuno. Su guerra ed emigrazione, dopo la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini, Minniti, Salvini e i decreti sicurezza, sarà dura per Meloni inventarsi qualcos’altro; il propagandato “blocco navale” non servirà a risolvere un problema epocale come quello dell’emigrazione, specie con il livello gravissimo cui è arrivata l’emergenza climatica. Tema, quest’ultimo, su cui dubitiamo che Meloni e il suo governo abbiano ricette diverse da quelle dei loro padroni di Confindustria, e cioè: proseguire con l’estrattivismo delle fonti fossili e con la farsa del capitalismo green.

Resta il campo dell’ordine pubblico, della gestione dei conflitti sociali, della repressione di tutti i fenomeni di protesta provocati dalla crescente povertà della popolazione. Qui la destra-destra potrà sfoderare tutta la propria vocazione sceriffesca e rimettere in campo quanto Matteo Salvini realizzò nella sua stagione da Ministro dell’Interno a scapito di immigrati, lavoratori, movimenti sociali. Sappiamo che nelle forze di polizia è forte il consenso verso “la prima donna presidente del consiglio”; evidentemente si aspettano una maggiore libertà (con relativa impunità) di manganellare, picchiare, fermare, abusare, arrestare, di quanta già non ne abbiamo avuta con i governi rosso-giallo, giallo-verde, rosa-pallido, grigio-topo e così via.

In tema di guerra, la ribadita fedeltà al padrone-alleato americano e alla NATO assicura una continuità in politica estera, l’aumento annunciato delle spese militari e la disponibilità a proseguire la partecipazione al conflitto in Ucraina spingendosi magari oltre.

Ci sarà senz’altro uno spolverio di retorica nazionalistica e patriottarda e una qualche fuga in avanti nostalgica (vedremo a fine mese per il centenario della marcia fascista su Roma), soprattutto per quanto riguarda l’immagine (molte più vie intitolate ad Almirante e ad “eroi” del ventennio o della stagione della strategia della tensione).

L’importante sarà non cadere nella trappola di un pericolo fascista sorto solo dopo il 25 settembre. Il fascismo strisciante e reale lo hanno imposto, per rimanere all’ultimo ventennio, i D’Alema, i Berlusconi, i Monti, i Renzi, i Draghi e tutti i governi liberisti e guerrafondai, clericali e razzisti che abbiamo dovuto sopportare. Il 25 settembre ha solo fatto chiarezza. L’antifascismo non può che essere anticapitalista, antimilitarista, ambientalista e possibilmente anche antiparlamentare. A chiarezza nel fronte del nemico di classe deve solo corrispondere chiarezza nel fronte sovversivo.


domenica 25 settembre 2022

Non votare. Scegli il rifiuto

Non c’è un solo motivo per andare a votare; non una sola ragione per farsi abbindolare dalle promesse di gente che ha speculato sulle nostre vite da sempre. Non esiste un argomento a favore della partecipazione elettorale: una mistificazione verso gli ingenui e gli sprovveduti; un’operazione di distrazione di massa per un cambiamento che non cambierà un bel niente, ma continuerà ad affossare i bisogni popolari, per giunta in nome della “volontà della maggioranza degli italiani”.

Non votare è un gesto di dignità; è una scelta rispetto al qualunquismo votaiolo e alla corruzione elettorale e non solo; è un modo per prendere le distanze da una classe politica responsabile dei più gravi problemi della società. Può rappresentare un primo atto di resistenza, un momento di riflessione per cominciare a guardare altrove, alle tante possibilità che agendo dal basso e uniti, si possano mettere in atto lotte, progetti, attività, azioni per provare a cambiare realmente e in meglio le condizioni di vita di chi è stato ed è vittima di questo sistema liberticida.





sabato 24 settembre 2022

Il 25 settembre nessuna delega ai partiti. Non votare!

Ci chiedono ancora una volta di andare a votare; ce lo chiede una vorace classe politica che ha adottato all'unanimità (con la finta opposizione di Fratelli d’Italia) misure che hanno reso più povera la popolazione ma hanno arricchito i padroni, le banche, le multinazionali, la chiesa. Un parlamento caratterizzato da posizioni di destra e liberiste diffuse in tutti gli schieramenti, dal PD ai fascisti, fortemente clientelare e militarista, covo di voltagabbana e di lacchè degli Interessi Russi in Italia, come Lega, Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Fd’I, ora diventati fedeli lacchè degli interessi americani, ci viene presentato come simbolo della democrazia e luogo in cui si manifesta la volontà popolare.

· Con la pandemia provocata dal capitalismo manipolatore e distruttore dell’ambiente, affrontata con metodi da caserma, repressione, un’abbuffata miliardaria per le industrie farmaceutiche e un clima di ricatti e paura, senza alcuna azione reale per contrastarne le cause;

· con l’aumento dei prezzi fuori controllo a causa delle speculazioni dei mercati dell’energia, mentre i salari e le pensioni sono sempre più bassi;

· con una Sanità ed un’Istruzione ridotte ai minimi termini e ancora private dei necessari finanziamenti per rispondere alle esigenze della popolazione;

· con la Guerra alle nostre porte, l’Italia in prima fila a produrre e vendere armi, e con le basi militari del suo territorio pienamente coinvolte nel conflitto in Ucraina, mentre il governo che verrà ha già confermato l’aumento delle spese militari a 104 milioni di euro al giorno;

· con un Mezzogiorno devastato dal sottosviluppo, dal degrado, dall’emigrazione e pronto ad essere ancora rapinato dal prossimo varo dell’autonomia differenziata voluta da fascisti e leghisti;

· con i diritti delle minoranze calpestati ogni giorno mentre attorno a noi crescono le macerie, con le frequenti morti sul lavoro, con i giovani che muoiono nei corsi di formazione all’avviamento lavorativo, in un territorio martoriato dall’economia del profitto imprenditoriale e dalle conseguenti devastazioni ambientali sempre più cause di disastri che ci vedono sempre più impotenti;

· con un quadro di questo tipo, che i servi dei padroni che ci chiedono il voto sono pronti a confermare, se non peggiorare, netto dev’essere il disgusto e il rigetto da parte degli elettori.

Noi anarchici e anarchiche rifiutiamo questo stato di cose.

Il Sistema Parlamentare si è dimostrato una truffa per il popolo e una fonte di privilegi per pochi, al servizio dei poteri forti nazionali e internazionali. In più, quella che chiamano Democrazia si trasforma sempre più in Democratura. Cerchiamo di essere coraggiosi, rilanciamo un discorso rivoluzionario; non andare a votare può essere il primo passo; il secondo è la riscoperta del piacere della disobbedienza e della diserzione, l’opposizione quotidiana a qualsiasi organismo burocratico che imponga direttive e sanzioni e a qualsiasi governo, sempre asservito al capitale e alle banche.

Opponiamo forme di mutualismo ed auto-organizzazione sociale dal basso all’economia dello sfruttamento; costruiamo lotte e conflitti come unico mezzo per ottenere i nostri diritti e soddisfare i nostri bisogni. Qualsiasi prospettiva di cambiamento passa per la sovversione del presente. La nostra alternativa è rivoluzionaria.

NON VOTARE, LOTTA

 

venerdì 22 aprile 2022

L'indignazione non è una moda

Tutti si lamentano dei privilegi della casta. Molto bene. Solo che i privilegi esistono da quando esistono i governi e le autorità, e continueranno a esserci anche in futuro. E di questa indignazione, che oggi si tocca con mano, i nostri nipoti non ne sentiranno nemmeno l'odore, così come noi oggi non sentiamo l'odore dell'indignazione del popolo nel 1920.

Se poi prendiamo i giovani di oggi, cosa volete che portino attaccato alla loro coscienza? Non certo l'indignazione del nostro '68 o del '77. Il guaio allora è questo: ogni nuova generazione è fresca, la vecchia (nostra) oppressione gli sembra normalità, è pronta a subire altre vessazioni. Che ne sanno le generazioni di domani di questo nostro annaspare? Come faranno i nostri nipoti a caricarsi di questa nostra eredità? La studieranno sui libri? E pensiamo davvero che studiandola sui libri (ammesso che i libri ne parleranno) essi percepiranno la nostra voglia di incazzatura e la spingeranno più avanti? Non è mai stato così. Non sarà mai così.

Vogliamo solo dire che è inutile lamentarsi se continuiamo a perpetuare governi. L'indignazione è un mezzo, non un fine, e nemmeno una moda. Loro hanno una linea di condotta ereditaria precisa dettata dallo Stato, un obiettivo criminale sempre uguale, mentre il popolo scorda ad ogni nuova generazione, ri-subisce, si ri-illude. Non votate più, fatelo per la vostra coscienza, perché l'indignazione abbia una coerenza, ma fatelo anche e soprattutto per i vostri nipoti, se ci tenete al loro futuro.

mercoledì 23 febbraio 2022

Il candidato visto da Eliseo Reclus

Reclus è sempre stato anarchico sia per temperamento sia per principio, ma il suo anarchismo ha acquistato in coerenza man mano che la sua analisi sociale si è ampliata diventando una critica puntuale a ogni forma di dominio. Di questa critica, uno degli aspetti più sviluppati è l’attacco devastante allo Stato, cui egli si oppone in tutte le sue espressioni, non esclusa la finzione ideologica dello Stato rappresentativo. Sebbene ancora nel 1871 sia disposto a presentarsi come candidato all’Assemblea Nazionale, già da tempo è arrivato a opporsi al sistema parlamentare nel suo insieme e per il resto della sua esistenza si rifiuterà di votare alle elezioni nazionali, anche nella proverbiale ipotesi del minore dei mali. Secondo lui, tutti coloro che cercano di esercitare il potere in uno Stato-nazione centralizzato si espongono al rischio di essere assorbiti all’interno di quel sistema di dominio. A suo dire, chiunque aspiri a una carica pubblica, innalzato al di sopra della folla che ben presto impara a disprezzare, finisce per considerarsi un essere sostanzialmente superiore; sollecitato in mille forme dall’ambizione, dalla vanità, dall’avidità e dal capriccio, diventa a maggior ragione facile da corrompere. Questa parabola, egli nota, è favorita da un codazzo di adulatori interessati che è sempre in caccia per approfittarsi dei vizi del potente. Le osservazioni di Reclus sul processo di selezione dei candidati alle elezioni sono acutissime e si adattano perfettamente alla cosiddetta democrazia rappresentativa dei nostri giorni. Per conquistarsi un seguito, egli nota, il candidato a una carica pubblica deve compiacere una molteplicità di fazioni, per cui inevitabilmente le ambizioni vengono a galla, le manovre, le gare di promesse, le menzogne hanno buon gioco: non è il più onesto di quelli che si propongono ai suffragi che ha più probabilità di successo. In linea di principio il legislatore deve essere specialista in ogni campo, per prendere decisioni in nome di tutti su ogni argomento immaginabile. Ovviamente nessun candidato possiede tali capacità in misura maggiore degli elettori. In pratica, ai candidati si chiede di essere esperti nella scienza di essere eletti e nessuna capacità specifica raccomanda il candidato agli elettori. Caratteristiche del tutto irrilevanti o arbitrarie diventano essenziali per la vittoria elettorale: L’eletto dovrà il suo successo a una certa popolarità locale, al carattere cordiale, alla capacità oratoria, al talento organizzativo, ma frequentemente anche alla ricchezza, alle relazioni familiari e persino, se grande industriale o grosso proprietario, al timore che incute. I prodotti di questo sistema corrotto sono una serie di persone mediocri, senza alcuna concezione del bene comune. Il politico di successo più spesso sarà un uomo di partito: non gli si chiederà di operare per il pubblico bene, né di facilitare i rapporti fra gli uomini, ma di combattere questa o quella fazione. Il rischio più grave non è l’incompetenza del corpo legislativo, ma il fatto che esso sia moralmente abbietto in quanto dominato da politici di professione. I rappresentanti del popolo prenderanno di sicuro decisioni di gran lunga peggiori, per il popolo, di quelle che il popolo prenderebbe direttamente, senza il problema di organizzare le elezioni. Dopo che sono stati eletti, questi sedicenti rappresentanti sono ancor più liberi di agire al di fuori di ogni controllo popolare.

Sapendo di non dovere effettivamente rispondere a nessuno tra un’elezione e l’altra e ben consapevole della propria impunità, l’eletto si trova immediatamente esposto a ogni sorta di allettamenti da parte delle classi dominanti. I legislatori si ritrovano in un mondo dominato dal potere e dalla ricchezza che è del tutto estraneo alla vita reale del proprio elettorato. La forza di questo ambiente è tale da travalicare tutti gli scrupoli che potrebbero frapporsi sulla via della totale identificazione con l’élite politica, in quanto il nuovo arrivato s’inizia alla tradizione legislativa sotto la guida di veterani del parlamentarismo, adotta lo spirito di corpo, riceve le sollecitazioni della grande industria, degli alti funzionari e, in modo particolare, della finanza internazionale.

sabato 2 ottobre 2021

Elezioni amministrative di ottobre? Votare non serve, astenersi non basta, solo la lotta paga!

L’ennesima passerella elettorale è in corso. Decine di candidat* con i visi sorridenti appaiono su migliaia di giganti manifesti elettorali, tutti pagati con le nostre tasse, attraverso i cosiddetti “rimborsi elettorali”. Dopo le elezioni, come sempre, ogni promessa sarà dimenticata e la delega data con il voto verrà̀ usata dai partiti, di destra o di sinistra senza distinzione, per far valere gli interessi dei più̀ forti: finanzieri, palazzinari, avidi costruttori e imprenditori d’assalto.

TorinoRoma, Napoli, Milano, Bologna e Trieste, le maggiori metropoli dove si vota per il consiglio comunale, sono città dove diminuisce l’ossigeno e crescono inquinamento, cemento e consumo di suolo: piazze e parchi lasciano il posto all’asfalto e ai centri commerciali, e quei pochi alberi secolari che ci rimangono vengono abbattuti e sostituiti da “stuzzicadenti” che diverranno veri alberi in grado di produrre ossigeno solo tra 30 anni. Città in cui il diritto alla salute è diventato un lusso e la sanità è quasi del tutto in mano ai privati, con i risultati che sappiamo con la pandemia in corso.

Abitiamo in città̀ dove il prezzo per l’affitto di un posto letto in una stanza condivisa supera i 300 euro e dove un piccolo monolocale va oltre i 500, ed i prezzi per gli acquisti sono irraggiungibili per chi lavora. Città dove gli sfratti di intere famiglie non si sono mai fermati, nemmeno durante l’emergenza sanitaria, mentre ci sono centinaia di migliaia di appartamenti che restano vuoti per anni o decenni; continua imperterrito il processo di espulsione dei ceti popolari sempre più̀ verso le periferie e l’hinterland, mentre crescono i grattacieli e si regalano interi quartieri alla speculazione sostenuta dai fondi sovrani di chissà quali provenienze.

La giunta uscente dell'Appendino (Torino), contrariamente alle promesse, si è posta in continuità rispetto a queste politiche volte a favorire la cementificazione della città, alle quali si aggiunge una sempre più pericolosa contrazione dei servizi alla persona, dovuta alla costante diminuzione dei fondi destinati ai servizi pubblici e sociali.

Intanto gli spazi sociali autogestiti vengono demonizzati dai media e chiusi alla prima occasione "colpevoli" di aver creato luoghi impermeabili alla logica del profitto mentre nella città continuano e crescono l’esclusione sociale e la repressione

Ma c’è anche una parte di città che non si piega e resiste a tutto questo, lottando per il diritto alla casa, per la protezione del verde, per la sicurezza sul lavoro e per i diritti di lavoratori e lavoratrici, per la libertà delle persone migranti, convinti che un mondo nuovo potrà nascere solo dalle lotte di tutti i giorni, dall’autogestione sociale dove i beni comuni siano realmente autogestiti da chi vive sul territorio senza il bisogno di delegare la gestione dei nostri quartieri e delle nostre vite agli ambiziosi politici di turno. A quanti s’illudono ancora e pensano sia possibile cambiare qualcosa di questo sistema attraverso il voto – un sistema che si proclama rappresentativo della società mentre nei fatti dimostra di essere rappresentativo solo degli interessi dei potenti e dei ricchi – ricordiamo che accettare le regole e le compatibilità che ci impongono sul piano elettorale ed istituzionale significa essere fagocitat* ed aver perso in partenza su tutti i terreni, anche su quelli dove sarebbe stato possibile vincere.


martedì 20 marzo 2018

Voto, cambiamento, prospettive.


La vittoria del Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche denota un voto di protesta sensibile alle sirene populiste, forse post-ideologico, ma che proviene sicuramente una richiesta di cambiamento. Dall’altro lato c’è un rafforzamento della Lega, che assorbe voti di Forza Italia e fascisti, e frena quelli delle frange più estreme interne od esterne alla coalizione.
Si può parlare di uno spostamento a destra in una situazione in cui da anni il liberismo ha cancellato buona parte dei diritti sociali, dalle pensioni alle norme sul lavoro, ridotto i servizi, dalla sanità alla scuola ai trasporti, rapinato i redditi più deboli in favore delle minoranze ricche, adottato politiche securitarie e sostanzialmente razziste in materia di immigrazione? Il PD, che ha assicurato queste politiche di destra, ora ne paga lo scotto poiché da questo partito gli elettori si attendevano “qualche parola di sinistra”.
Il fallimento della lista della sinistra in doppio petto di Liberi e Uguali ci indica come all’interno della macchina elettorale le posizioni che si richiamano al socialismo non trovano più sponda. L’astensionismo ha ulteriormente accresciuto la sua quota attestandosi sul 27% (37% in Sicilia), segno che, nonostante tutto, i tentativi di intercettarlo da parte sia dei 5 Stelle che del centro destra che, soprattutto da parte dei gruppi della cosiddetta sinistra antagonista (tutti assieme rastrellano l’1,5%), sono miseramente falliti.
Al momento in cui scriviamo le prospettive di formare un governo sono abbastanza nebulose; se non si attua una qualche ammucchiata difficilmente ci sarà un nuovo governo e si dovrà tornare a votare. E’ anche vero che, viste le dichiarazioni di responsabilità che in questi momenti tutti si affrettano a fare, l’ammucchiata PD-centro destra, o 5 Stelle-PD, o Lega-5 Stelle, o un governo di minoranza con appoggio esterno, potrà alla fine prevalere, con il pretesto della stabilità, o magari con lo scopo di modificare la legge elettorale.
Le due formazioni uscite comunque vincenti (5 Stelle e Lega) hanno adottato le posizioni più vicine alla pancia degli elettori, pur continuando a rassicurare banchieri e capitalisti sulla loro serietà e responsabilità. In materia di reddito di cittadinanza, di abolizione della legge Fornero, di lavoro, di tasse, si sono sbilanciati alquanto rincorrendo l’elettorato; i primi giocando sul fatto di essere ancora vergini di esperienza governativa; i secondi accentuando i toni canaglieschi e xenofobi facendo leva sulle difficoltà della gente in questi anni della crisi economica. Ciò però ci indica che, al di là dei risultati, la società mantiene una forte esigenza di riscatto, che emerge dalla crescente astensione e dai voti espressi, ma che questa esigenza non è raccolta dai partiti storici della sinistra, oramai in pieno naufragio. Nemmeno le forze che si muovono sul piano extraparlamentare ed extraistituzionale, tuttavia, riescono a offrire una prospettiva adeguata, se non in misura settoriale e localistica, e questo pone più di un interrogativo sulle strategie adottate, sulla capacità di tessitura sul territorio, sulla messa in pratica di percorsi di reale unità d’azione.
Lo abbiamo scritto in uno degli articoli sulla vicenda elettorale di Potere al Popolo: probabilmente il maggior disagio provato da questi settori è stato, nel tempo, quello di sentire che i propri sforzi nelle lotte quotidiane cozzassero con la difficoltà di potere incidere sulla società nel suo insieme; l’abbiamo definita una questione legittima e che sentiamo tutti come pregnante. Le soluzioni adottate per cercare di dare una risposta, però, ci sono sembrate inadeguate e fuorvianti. Con la voglia di cambiamento espressa dal voto; con l’enorme sfiducia che quasi un terzo della popolazione che non vota, esprime, c’è sicuramente molto spazio per agire dal basso, a partire da un collegamento di tutte le iniziative e le realtà sociali, unica via per dotarsi di prospettive autentiche di cambiamento.

Pippo Gurrieri

giovedì 1 marzo 2018

La nostra astensione (dal voto), la nostra partecipazione (alle lotte sociali)

Domenica 4 marzo noi non andremo alle urne.
Ci asterremo, come abbiamo sempre fatto. Eppure sentiamo il bisogno di spiegare bene il perché di questa scelta, che si ripete da un secolo e mezzo ma non é per noi una scelta obbligata. Non ci piace esser schiavi di niente e di nessuno. nemmeno in questo caso. Ci piace ragionare, argomentare, discutere.
La scelta dell’astensione ha un suo significato preciso, specialmente oggi, 2018.
Gli anarchici sono l‘unico movimento che non partecipa alle elezioni politiche. In un mondo in cui la gente che si reca alle urne va generalmente calando, siamo sempre più circondati da persone che apparentemente fanno come noi. E a togliere originalità e forza al nostro astensionismo c’é il fatto che sempre più cresce il numero di coloro che non vanno a votare, al punto che anche la media europea oscilla ormai intorno alla metà degli aventi diritto, con una tendenza ad un ulteriore ribasso.
Ma c‘é una sostanziale, abissale differenza tra l’astensione di chi, come noi, fa questa scelta perché interessato e impegnato quotidianamente nel tentativo di contrastare il potere e di favorire esperienze alternative di autogestione e comunque di critica, e il disinteresse per la vita sociale e, in questo contesto, anche per il voto, di chi se ne frega comunque.
Il nostro astensionismo niente ha a che vedere con quello di chi diserta le urne perché “se ne frega", “tanto non c’é più nessuno che sappia comandare”, ecc ... La nostra astensione é uno dei nostri modi per partecipare alla vita sociale, cercando di indirizzarla verso modalità di partecip/Azione diretta, autogestione, presa in carico dei problemi da risolvere.
Invece fregandosene, alla fine non fa che favorite il potere, i potenti. il loro dominio quotidiano.
Non a caso noi abbiamo sempre parlato del nostro come di un astensionismo rivoluzionario, maturato nel contesto della nostra attività sociale anche politica contro il potere in tutte le sue espressioni. Non serve a niente brontolare e lamentarsi il giorno delle elezioni, restare a casa e disertare le urne. se non ci siano dietro riflessioni e azioni che possano delegittimare il meccanismo elettorale e far comprendere alle persone, alla gente, che solo sforzandosi di riprendere in mano il proprio destino individuale e collettivo e cercando di costruire una società estranea a sfruttamento, repressione e ingiustizie, si potrà dar vita ad un percorso, non certo facile, che avrà bisogno della partecipazione di tanta, ma proprio tanta gente cosciente e interessata al proprio futuro.
Noi pensiamo che la delega ai potenti di turno per risolvere i problemi sociali, dalla disoccupazione alla violenza di genere, dai diritti negati alla mancanza di solidarietà, ecc., sia un messaggio sbagliato. Con la nostra scelta astensionista, ci schieriamo ancora una volta contro il qualunquismo e ... la delega.
Il 4 marzo noi non ci saremo. Alle urne, s‘intende. Ma per il resto sì, ci saremo eccome, come sempre, come ogni giorno, per portare avanti le nostre battaglie di libertà.
La nostra astensione è una rinnovata forma, una premessa di partecip/Azione, in direzione ostinata e contraria. E il fatto che la maggioranza degli aventi diritto al voto avrà, alla fine della giornata non votato come noi, non é di per sé il segno di una nostra vittoria.
Disertare le urne non basta, bisogna impegnarsi. Al di fuori e contro il potere.
E non solo il 4 marzo.
Disertare le urne, per intensificare il nostro quotidiano impegno sociale.
Questo il nostro messaggio. Il prossimo 4 marzo e oltre.

martedì 27 febbraio 2018

Le pecore vanno al macello

“Le pecore vanno al macello. Non si dicono niente, loro, e niente sperano. Ma almeno non votano per il macellaio che le ucciderà, e per il borghese che le mangerà. Più bestia delle bestie, più pecora delle pecore, l'elettore nomina il proprio carnefice e sceglie il proprio borghese. Ha fatto delle Rivoluzioni per conquistarne il diritto".

Octave Mirbeau (1848-1917)

venerdì 23 febbraio 2018

Torino. I fascisti negli hotel, gli antifa nelle strade

In 800 sotto la pioggia e il freddo. Un tempo partigiano. E una Torino che è riuscita a dimostrare un'altra volta che l'antifascismo non si delega, ma si pratica con coraggio e determinazione.
Il corteo è partito da piazza Carlo Felice e si è diretto verso l'hotel dove il candidato premier per Casa Pound, Di Stefano, avrebbe tenuto il suo deplorevole comizietto pre elettorale. Un’idea chiara in testa: il razzismo è l’ultima spiaggia di un sistema marcio e i fascisti sono gli utili idioti che garantiscono che ci scanni in basso per la gioia di chi sta in alto.
Una piazza ricca di giovanissimi tra studenti dei licei e delle università, poi lavoratori, qualche faccia più anziana e qualcuna di quel nero che tanto manda fuori di testa i difensori della razza.
Tanta gente che si è convocata dal basso, mentre la sinistra italiana gioca al gioco dell’equidistanza e degli “opposti estremisimi”. A quanto pare, però, c’è ancora in Italia chi pensa che antifascismo non sia discutere coi fascisti nei salotti TV, ma contrastarli ogni giorno nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle strade.
Mentre da Renzi a Boldrini ci si affretta a portare solidarietà al leader di Forza nuova scotchato a Palermo, dal corteo è partito un caloroso saluto a chi in questi giorni sta pagando con la propria libertà aver fatto dell’antifascismo non solo un valore ma anche una pratica: Giorgio, Moustafa, Lorenzo, Gianmarco, Carlo e Donato, giovane torinese arrestato stamattina durante una perquisizione intimidatoria.
Il corteo ha imboccato corso Vittorio Emanuele e dopo circa un chilometro tra cori e interventi si è trovato schierato un numero improbabile di Digos, celere, camionette e addirittura un idrante.
I manifestanti però non hanno esitato e hanno proseguito contro le forze dell'ordine che hanno caricato e azionato l’idrante, respingendo di qualche metro il corteo e fermando una giovane lavoratrice, poi rilasciata in serata.
Come dire: il grande classico della democrazia che difende pubblicamente i fascisti.
Di certo non è bastato questo a fermare il corteo che anzi più determinato di prima è ripartito. Ed è qui che succede l’incredibile. Il mastondico apparato di sicurezza mosso dalla questura a difesa dei vigliacchetti del terzo millennio prende una clamorosa cantonata. Si aspettano gli antifascisti di lì e invece arrivano di qui. Fin sotto l’hotel dove parla Di Stefano. I manifestanti lo chiamano, urlano di scendere ma del candidato di Casa pound manco l’ombra. Si starà abbuffando al minibar dell’albergo a 4 stelle? Com’è come non è, la polizia fa arrivare l’idrante che attacca di nuovo i manifestanti. Ma a quanto pare nessuno si fa intimorire (“solo la doccia, ci fate solo la doccia” tra gli slogan in risposta all’autobotte celerina).
Qualche cassonetto in mezzo alla strada per proteggersi dalle cariche e partono i primi lacrimogeni. Il corteo quindi riparte e continua l’assedio intorno all’NH hotel per quasi un’ora.
Solo verso la fine, ormai quasi in piazza Statuto la polizia ha tentato di inserirsi nel corteo, caricandolo da dietro, cercando di fare fermi a caso nel mucchio.
Il dato politico resta quello di una sempre maggiore consapevolezza che la risposta antifascista o sarà contro questa democrazia – quella che lascia ai fascisti soldi, pistole, media e poltrone – o non sarà. Partiti, Istituzioni e Forze dell'Ordine tutti arroccati a difendere manu militari i cantori della guerra tra poveri. C’è la Grande coalizione da preparare? Per noi non c’è pace elettorale. Con buona pace di Minniti.

mercoledì 21 febbraio 2018

Vuoi vedere che l’astensionismo é attuale?

Anche questa logora legislatura italiana é giunta ormai alla fine. Cosi, per la gioia di alcuni e la noia di altri, il prossimo 4 marzo gli aventi diritto avranno di nuovo la possibilità di votare.
“Finalmente si andrà a votare e torni la voce al popolo", dicono le attuali opposizioni. Mai balla fu più colossale. Nonostante sia un rituale ormai sfiancato e sempre più depresso, continua ad essere gabellato per la massima partecipazione democratica. Ad onor del vero é invece un consunto mezzo per spingerci a scegliere chi ci deve comandare, una manfrina che viene riproposta con assillante spietatezza da tutte le forze in lizza, continuando a voler far illudere che chi vincerà sarà il popolo perché, dicono i partecipanti all'agone, avrà scelto un'altra volta.
In realtà, se proprio di scelta si vuol parlare, sarà solo l’occasione perché una minoranza che si autoproclama maggioranza possa scegliere chi dovrà governare per la durata della prossima legislatura, dimenticando che, come già a suo tempo aveva individuato Proudhon, essere governato vuol dire essere sottoposto in tantissimi aspetti della vita, rinunciando ad ogni vera autonomia decisionale. È per caso migliore chi riesce ad estorcere più consensi? Ha per caso ragione chi vince, solo perché ha vinto attraverso un gioco di deleghe di potere?
Date le esperienze poco invitanti in tal senso che la nostra storia ci ha propinato, queste favolette non dovrebbero più incantare. Non a caso cresce ogni volta il numero delle astensioni, delle schede nulle e di quelle bianche. Coloro che hanno capito che non conteranno comunque sono ormai la maggioranza della popolazione, alcuni perfino consapevoli che partecipare al voto vuol dire soprattutto essere complici di un sistema politico ingannatore e autoritario. Le percentuali di voto su cui vengono fatti i governi non sono altro che l’espressione di una minoranza la quale, compiendo un atto di grande autoritarismo politico imporrà le proprie decisioni anche a chi a buon diritto ha deciso di astenersi.
 

domenica 18 febbraio 2018

Elezioni: io non scelgo il cappio che mi strozzerà!

Dietro finta istanza democratica del regime, ognuno può ben scegliersi il tipo di corda con la quale sarà infallibilmente impiccato. Tale scelta rimane purtroppo un'ammissione grave, significa anzitutto riconoscere le armi del potere e volerle usare per la propria agonia, con le medesime conseguenze anche sugli altri. Io mi rifiuto di scegliermi il cappio, mi rifiuto di scadere nella rassegnazione della logica indegna del “meno peggio” o della “merda che puzza di meno”. Dignità anzitutto! La merda è sempre merda! Un cappio è sempre un cappio! Lo Stato è sempre lo Stato! E non sarà quest'ultimo ad impiccarmi, no! perché io lo Stato non lo riconosco, non riconosco i suoi strumenti, non riconosco la sua retorica da vomito borghese ripetuta a pappagallo dai sudditi illusi, non riconosco la sua violenta dittatura mascherata dal nome “democrazia” e imbellettata da una carta costituzionale: fumo negli occhi, e che fumo tossico!
Ad impiccarmi saranno perciò i miei fratelli e le mie sorelle, coloro che avranno avallato e legittimato gli strumenti della repubblica borghese, utilizzandoli, riconoscendoli, approvandoli, acclamandoli, nella illusione storica di trovare ancora nello Stato una soluzione, anziché vedervi il problema, come dovrebbero insegnare l'esperienza, la coscienza, e un minimo di ragionamento. Ad impiccarmi saranno tutti quelli che sceglieranno il tipo di cappio anche per me. Lo Stato e i suoi governi vanno aboliti, non legittimati! Viva l'anarchia.

venerdì 16 febbraio 2018

Essere governato significa …

“Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù.
Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, ad ogni movimento, quotato, riformato, raddrizzato, corretto.
Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale.
Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale”.

Pierre-Joseph Proudhon

giovedì 15 febbraio 2018

Elezioni: cambiare tutto per non cambiare niente

Li sentite? I nostri padroni ci stanno chiamando. Ci stanno dicendo che il prossimo 4 marzo, per l’ennesima volta, si voterà. Dovremo andare alle urne a mettere una croce sulle nostre aspirazioni, delegandole ad uno dei tanti candidati che ci verranno propinati. Uno qualsiasi, democraticamente, a nostra scelta, tanto non c’è differenza. Chiunque verrà eletto non cambierà nulla della nostra miserabile esistenza su questa terra sempre più inquinata, avvelenata, corrosa. Continueremo a tirare a campare, impoveriti dei nostri sogni e desideri, stremati da una giornata di lavoro, spenti davanti a un televisore acceso. Nel corso degli anni i governi si sono succeduti l’uno dopo l’altro, l’uno dopo l’altro hanno fatto promesse più o meno mirabolanti, l’uno dopo l’altro non le hanno mantenute. Mentre chi abbiamo mandato a scaldare gli scranni del Parlamento gode di immensi privilegi ed ha accumulato sostanziose fortune per sé e la sua famiglia, a noi è rimasto solo di morire in una qualsiasi Thyssenkrupp o di soffocare sommersi dalla spazzatura.
Sappiamo bene cosa ci aspetta nelle prossime settimane. Un’estenuante campagna elettorale condotta da vecchi e giovani saltimbanchi della politica, pronti a tutte le lusinghe e raggiri pur di estorcerci il voto. Guardateli come si stanno travestendo, assumendo nuovi nomi per rendersi più presentabili.
Ascoltateli come si riempiono la bocca di Popolo e Democrazia, queste allucinazioni collettive che vengono evocate di continuo solo per attirare i gonzi. Eppure, ormai lo hanno capito anche i bambini: fra destra e sinistra, fra un Berlusconi e un Renzi, tra un Salvini e un Grillo, non ci sono sostanziali differenze. Sono come la Coca e la Pepsi, che si contendono il mercato offrendo il medesimo prodotto, limitandosi a confezionarlo in maniera diversa. I rispettivi piazzisti possono anche litigare, insultarsi, ricorrere a colpi bassi, ma la comune identità di obiettivi resta inalterata.
Sentiamoli sulle questioni più controverse del momento: tutti sono favorevoli alle missioni militari all’estero, all’alta velocità in Val Susa, ai centri di permanenza temporanea, alle “leggi scellerate” sulla sicurezza… né si può dire che si differenzino granché per le loro ricette in materia economica. Le prospettive sono talmente intercambiabili da spingerli a scagliarsi reciproche accuse di plagio.
Di questo sistema sociale che, di emergenza in emergenza, di catastrofe in catastrofe, ci ha condotti sull’orlo del baratro, nessuno mette in discussione il SE, ma solo il COME. Quale che sia il governo in carica, i programmi restano immutati; devono solo decidere se realizzarli con il bastone o con la carota.
L'uomo è stanco di sentirsi dire da un altro uomo gli obbiettivi da raggiungere; è stanco di compiere mansioni ripetitive ad orari programmati da altri, dagli stessi che decidono quale sarà la nostra ricompensa senza possibilità di contrattarla; stanco di leggere nei giornali che l'azienda per cui lavori fattura milioni di euro; stanco di dover obbedire a leggi che, in pratica, tutelano gruppi di persone "potenti" che decidono quale debba essere il prezzo di casa tua, per quanti anni sarai costretto a pagar loro gli interessi, mi riferisco ai proprietari del nostro tempo, le banche; stanco di pagare tasse che alla fine serviranno a coprire i buchi di bilancio creati dalle stesse banche e da altri arroganti che si ingozzano nei ristoranti di lusso alla faccia nostra; stanco di assistere al venir meno di servizi sociali quali scuole, asili, ospedali, ricerca scientifica, parchi verdi, biblioteche, trasporti pubblici; stanco di dover ascoltare dappertutto gruppi politici che si offendo dandosi la colpa a vicenda, come per prenderci per i fondelli e dare agli stolti quella remota speranza che poi con "quegli altri" le cose cambiano. Troppo stanco!
Io voglio solo dire che votare o non votare, non è questo il problema; io non ho mai votato per principio perché non credo in quella gente, ma credo in me stesso e nell’essere umano; quello che conta è come esercitare un controllo sui leaders, poter dire a chi ci governa che sta sbagliando, come tirargli la giacca o le orecchie, come farlo dimettere, se non fa le cose che la gente vuole; se manca questa condizione, il pinco pallino di turno, andrà a far parte della casta, perché non è l’uomo, neanche il migliore di tutti noi, che può cambiare il potere, ma è il potere che cambia l’uomo. Quindi il problema è organizzarsi in maniera da imporre le nostre esigenze, poter controllare quello che fanno nel palazzo, e se poi il palazzo sarà vuoto, perché li avremmo cacciati via, meglio così: ci metteremo le pecore o le galline o i senza tetto. Ma il popolo deve darsi strumenti per continuare ad essere vivo, per esercitare il suo potere decisionale; se manca questo i rappresentanti faranno quello che vorranno; non bisogna tornare a casa ogni giorno delusi ed esasperati, bisogna rimanere protagonisti, nei comitati, nei quartieri, nelle città. e non per un momento, ma per sempre; è questa l’unica garanzia per ottenere un cambiamento.
Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo, faceva dire a Tancredi la sua celebre frase che descrive la situazione storica della Sicilia del 1860, ma che si adatta bene alla situazione attuale, e a dir meglio a tutte le situazioni: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Perché questa volta dovrebbe essere diverso?

«Quando il padrone o la padrona chiamano un servo per nome, nessuno di voi risponda, altrimenti non ci saranno più limiti alla vostra oppressione. E i padroni stessi ammettono che, se un servitore viene quando è chiamato, basta».

(Jonathan Swift: Istruzioni alla servitù)