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giovedì 15 febbraio 2018

Elezioni: cambiare tutto per non cambiare niente

Li sentite? I nostri padroni ci stanno chiamando. Ci stanno dicendo che il prossimo 4 marzo, per l’ennesima volta, si voterà. Dovremo andare alle urne a mettere una croce sulle nostre aspirazioni, delegandole ad uno dei tanti candidati che ci verranno propinati. Uno qualsiasi, democraticamente, a nostra scelta, tanto non c’è differenza. Chiunque verrà eletto non cambierà nulla della nostra miserabile esistenza su questa terra sempre più inquinata, avvelenata, corrosa. Continueremo a tirare a campare, impoveriti dei nostri sogni e desideri, stremati da una giornata di lavoro, spenti davanti a un televisore acceso. Nel corso degli anni i governi si sono succeduti l’uno dopo l’altro, l’uno dopo l’altro hanno fatto promesse più o meno mirabolanti, l’uno dopo l’altro non le hanno mantenute. Mentre chi abbiamo mandato a scaldare gli scranni del Parlamento gode di immensi privilegi ed ha accumulato sostanziose fortune per sé e la sua famiglia, a noi è rimasto solo di morire in una qualsiasi Thyssenkrupp o di soffocare sommersi dalla spazzatura.
Sappiamo bene cosa ci aspetta nelle prossime settimane. Un’estenuante campagna elettorale condotta da vecchi e giovani saltimbanchi della politica, pronti a tutte le lusinghe e raggiri pur di estorcerci il voto. Guardateli come si stanno travestendo, assumendo nuovi nomi per rendersi più presentabili.
Ascoltateli come si riempiono la bocca di Popolo e Democrazia, queste allucinazioni collettive che vengono evocate di continuo solo per attirare i gonzi. Eppure, ormai lo hanno capito anche i bambini: fra destra e sinistra, fra un Berlusconi e un Renzi, tra un Salvini e un Grillo, non ci sono sostanziali differenze. Sono come la Coca e la Pepsi, che si contendono il mercato offrendo il medesimo prodotto, limitandosi a confezionarlo in maniera diversa. I rispettivi piazzisti possono anche litigare, insultarsi, ricorrere a colpi bassi, ma la comune identità di obiettivi resta inalterata.
Sentiamoli sulle questioni più controverse del momento: tutti sono favorevoli alle missioni militari all’estero, all’alta velocità in Val Susa, ai centri di permanenza temporanea, alle “leggi scellerate” sulla sicurezza… né si può dire che si differenzino granché per le loro ricette in materia economica. Le prospettive sono talmente intercambiabili da spingerli a scagliarsi reciproche accuse di plagio.
Di questo sistema sociale che, di emergenza in emergenza, di catastrofe in catastrofe, ci ha condotti sull’orlo del baratro, nessuno mette in discussione il SE, ma solo il COME. Quale che sia il governo in carica, i programmi restano immutati; devono solo decidere se realizzarli con il bastone o con la carota.
L'uomo è stanco di sentirsi dire da un altro uomo gli obbiettivi da raggiungere; è stanco di compiere mansioni ripetitive ad orari programmati da altri, dagli stessi che decidono quale sarà la nostra ricompensa senza possibilità di contrattarla; stanco di leggere nei giornali che l'azienda per cui lavori fattura milioni di euro; stanco di dover obbedire a leggi che, in pratica, tutelano gruppi di persone "potenti" che decidono quale debba essere il prezzo di casa tua, per quanti anni sarai costretto a pagar loro gli interessi, mi riferisco ai proprietari del nostro tempo, le banche; stanco di pagare tasse che alla fine serviranno a coprire i buchi di bilancio creati dalle stesse banche e da altri arroganti che si ingozzano nei ristoranti di lusso alla faccia nostra; stanco di assistere al venir meno di servizi sociali quali scuole, asili, ospedali, ricerca scientifica, parchi verdi, biblioteche, trasporti pubblici; stanco di dover ascoltare dappertutto gruppi politici che si offendo dandosi la colpa a vicenda, come per prenderci per i fondelli e dare agli stolti quella remota speranza che poi con "quegli altri" le cose cambiano. Troppo stanco!
Io voglio solo dire che votare o non votare, non è questo il problema; io non ho mai votato per principio perché non credo in quella gente, ma credo in me stesso e nell’essere umano; quello che conta è come esercitare un controllo sui leaders, poter dire a chi ci governa che sta sbagliando, come tirargli la giacca o le orecchie, come farlo dimettere, se non fa le cose che la gente vuole; se manca questa condizione, il pinco pallino di turno, andrà a far parte della casta, perché non è l’uomo, neanche il migliore di tutti noi, che può cambiare il potere, ma è il potere che cambia l’uomo. Quindi il problema è organizzarsi in maniera da imporre le nostre esigenze, poter controllare quello che fanno nel palazzo, e se poi il palazzo sarà vuoto, perché li avremmo cacciati via, meglio così: ci metteremo le pecore o le galline o i senza tetto. Ma il popolo deve darsi strumenti per continuare ad essere vivo, per esercitare il suo potere decisionale; se manca questo i rappresentanti faranno quello che vorranno; non bisogna tornare a casa ogni giorno delusi ed esasperati, bisogna rimanere protagonisti, nei comitati, nei quartieri, nelle città. e non per un momento, ma per sempre; è questa l’unica garanzia per ottenere un cambiamento.
Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo, faceva dire a Tancredi la sua celebre frase che descrive la situazione storica della Sicilia del 1860, ma che si adatta bene alla situazione attuale, e a dir meglio a tutte le situazioni: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Perché questa volta dovrebbe essere diverso?

«Quando il padrone o la padrona chiamano un servo per nome, nessuno di voi risponda, altrimenti non ci saranno più limiti alla vostra oppressione. E i padroni stessi ammettono che, se un servitore viene quando è chiamato, basta».

(Jonathan Swift: Istruzioni alla servitù)