..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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domenica 28 giugno 2020

Gli EcoAnarchici


Gli ecoanarchici tendono a considerare la civiltà come la logica, le istituzioni e l'apparato materiale dell'addomesticamento, del controllo e del dominio. Anche se i diversi individui e gruppi danno priorità ad aspetti distinti della civiltà (per esempio i primitivisti si concentrano tipicamente sulla questione delle origini, le femministe essenzialmente sulle radici e sulle manifestazioni del patriarcato e gli insurrezionalisti principalmente sulla distruzione delle attuali istituzioni di controllo), la maggioranza degli ecoanarchici concorda sul fatto che essa è il problema di fondo o l'origine dell'oppressione e deve essere smantellata. L'avanzamento della civiltà può essere descritto a grandi linee come il passaggio,nel corso degli ultimi 10.000 anni,da un'esistenza integrata e profondamente collegata alla trama della vita a un'esistenza separata che controlla il resto della vita. Prima della civilizzazione,si disponeva di abbondante tempo da dedicare ai propri interessi e piaceri e vi era notevole autonomia e uguaglianza fra i sessi, un atteggiamento non distruttivo nei confronti del mondo naturale,l'assenza di violenza organizzata, nessuna mediazione o istituzione formale,buona salute e robustezza fisica. La civiltà ha inaugurato la guerra, la sottomissione delle donne,la crescita della popolazione, il lavoro di fatica, il concetto di proprietà, le gerarchie costituite e praticamente ogni malattia nota, per nominare solo alcuni dei suoi derivati devastanti. La civilizzazione comincia con e si basa su una rinuncia forzata alla libertà istintiva. La civiltà non può essere riformata ed è quindi nostra nemica.

venerdì 26 giugno 2020

Tesi sull'anarchismo dopo il post-modernismo ( parte II)

Anarchismo è in transizione, e molti anarchici stanno sperimentando l’inquietudine. E’ molto facile sostenere che il mondo vada cambiato. Le chiacchiere costano poco. Non è facile cambiare il tuo piccolo angolo di mondo. Le differenze tra le tradizionali tendenze anarchiche sono irrilevanti perché le tradizionali tendenze anarchiche sono loro stesse irrilevanti. Il declino mondiale della sinistra, irreversibile e atteso da lungo tempo, affretta la crisi attuale tra gli anarchici.
Gli anarchici stanno avendo una crisi di identità. Sono ancora, o sono solo, la sinistra della sinistra? O sono qualcosa di più o anche qualcos’altro? Gli anarchici hanno sempre fatto qualcosa di più per il resto della sinistra di quanto il resto della sinistra abbia fatto per gli anarchici. Qualsiasi debito anarchico con la sinistra è stato saldato da tempo e perfino in eccesso. Ora, finalmente, gli anarchici sono liberi di essere loro stessi. Ma la libertà è una preoccupante, incerta prospettiva, mentre la vecchia strada, i rituali e i cliché della sinistra sono confortevoli come un paio di vecchie scarpe. Per di più, da quando la sinistra non rappresenta più alcun genere di minaccia, gli anarco-comunisti non rischiano la repressione dello stato quando essi ricordano e rimettono in atto le loro antiche e mitiche glorie. Questo è più o meno rivoluzionario quanto fumare hashish, e lo stato tollera entrambi per lo stesso motivo.
Precisamente quanto è “anarchico” il mondo? Da un lato è molto anarchico, dall’altro per nulla. E’ molto anarchico nel senso che, come disse Kropotkin, la società umana, la vita umana dipendono sempre di più dal mutuo appoggio che da qualsiasi cosa lo stato organizzi. Sotto innumerevoli regimi statali- l’Unione Sovietica o la città di New York di oggi- il regime stesso dipende dalle diffuse violazioni delle sue leggi per rimanere al potere e controllare la vita quotidiana. Nell’altro senso il mondo non è per nulla anarchico perché non esiste più in nessun luogo popolazione umana che non sia soggetta a qualche grado di controllo da qualche stato.
La guerra è troppo importante per essere lasciata ai generali, e l’anarchia è troppo importante per essere lasciata agli anarchici. Ogni tattica vale la pena se sperimentata da qualcuno incline ad essa, quantunque errori accertati - come votare, bandire libri (specialmente i miei), effettuare violenza casuale, allearsi con la sinistra autoritaria- sono evitati al meglio. Se gli anarchici non hanno imparato come rivoluzionare il mondo, se tutto va bene hanno imparato alcuni modi in cui non farlo. Questo non è abbastanza, ma è qualcosa.
Sacrificarsi è contro-rivoluzionario. Chiunque sia capace di sacrificare se stesso per un ideale sarebbe capace di sacrificare anche qualcun altro per quello. Perciò, la solidarietà tra martiri è impossibile. Appunto non ci si può fidare di un altruista. Non si sa mai se potrebbe commettere qualche disastroso atto di benevolenza.
 “La lotta contro l’oppressione” - che magnifica frase! Una tenda da circo ampia abbastanza da coprire ogni causa della sinistra, persino la più grossolana, e la meno attinente alla rivoluzione della vita quotidiana è il meglio. Mumia libero! Indipendenza per Timor Est! Medicine per Cuba! Vietate le mine anti-uomo! Vietate i libri sconci! Viva il Chiapas! Legalizzate la maria! Salvate le balene! Nelson Mandela libero! – no aspettate, è già stato liberato, ora è un capo di stato e la vita di ogni anarchico sarà la stessa?
Ognuno è il benvenuto sotto il tendone, ma ad una condizione: che ci si astenga da ogni critica di qualcuno o di tutti gli altri. Tu firmi la mia petizione e io firmerò le tue…
Mantenendo l’immagine pubblica di una lotta comune contro l’oppressione, i gruppi della sinistra nascondono non solo la loro attuale frammentazione, incoerenza e debolezza, ma - paradossalmente - quello che hanno veramente in comune: il tacito consenso verso gli elementi essenziali dello stato e della società di classe. Quelli che sono soddisfatti con questa illusione di comunità sono restii a rischiare di perdere le loro modeste gratificazioni, e probabilmente ancora di più di lottare per qualcosa di reale. Tutte le avanzate democrazie industrializzate tollerano l’opposizione fedele della sinistra, che è solo una messinscena, poiché essa a sua volta le tollera.
(Bob Black - Tratto da Green Anarchy n.16 )

giovedì 25 giugno 2020

Tesi sull'anarchismo dopo il post-modernismo ( parte I)


Anarchismo. Sostantivo. 1. La dottrina secondo cui una società senza stato è possibile e desiderabile. 2. Significato obsoleto. Le regole secondo gli anarchici.
L’anarchismo, propriamente compreso, non ha nulla a che fare con le regole e i valori in un senso morale. La moralità sta alla mente come lo stato sta alla società: un’alienata e alienante limitazione della libertà, e un’inversione dei fini rispetto ai mezzi. Per gli anarchici, regole e valori sono compresi al meglio – ossia, essi sono al massimo utili – come approssimazioni, scorciatoie, convenzioni. Essi possono assommare una certa saggezza pratica che l’esperienza sociale ha raggiunto. Inoltre, essi possono essere i dettati che l’autorità fa a servizio di se stessa, o formulazioni utili a suo tempo, che, col modificarsi delle circostanze, non sono più consone a nessuna intenzione anarchica, o a nessuno scopo buono.
Parlare di regole e valori anarchici, allora, non è necessariamente senza senso - ma ciò implica rischi, spesso evitabili. In una società ancora satura della cultura cristiana e dei suoi surrogati secolari, l’uso tradizionalmente assolutista di questi concetti moralistici rischia di fuorviare gli anarchici che vi fanno riferimento. Tu hai regole e valori o sono essi a possederti? E’ solitamente meglio (ma, di certo, non assolutamente e necessariamente meglio) per gli anarchici evitare il vocabolario traditore del moralismo e dire semplicemente in modo diretto ciò che desiderano, perché lo desiderano e i motivi per i quali vogliono che ognuno desideri lo stesso. In altre parole, di mettere le proprie carte sul tavolo.
Come le regole e i valori, gli “ismi” anarchici, vecchi e nuovi, vanno considerati meglio come risorse, non come limiti. Essi esistono per noi, e non noi per loro. Non importa se, per esempio, si è venuti dal situazionismo più che dal sindacalismo, mentre un altro anarchico è ispirato più dal femminismo o dal marxismo o dall’islam. I luoghi che abbiamo visitato e anche da dove proveniamo sono meno importanti di dove ora siamo, e di dove, se andiamo da qualche parte, stiamo andando - o se ci stiamo dirigendo verso lo stesso luogo.
La ragione e l’esperienza identificano alcune aree di prevedibile futilità. E’ facile e opportuno, per esempio, per gli anarchici astenersi dalle politiche elettorali. E’ preferibile, ma spesso non possibile, astenersi dal lavoro, sebbene sia spesso possibile resistere sul posto di lavoro senza rischi eccessivi. Il crimine, il mercato nero e l’evasione delle tasse sono qualche volta realistiche alternative o aggiunte al coinvolgimento in un sistema amministrato dallo stato. Ognuno deve valutare il suo caso con la mente aperta. Fare meglio che può e cercare di non essere preso. Gli anarchici hanno già avuto troppi martiri.
(Bob Black - Tratto da Green Anarchy n.16 )

lunedì 8 giugno 2020

Alexandre Jacob l’anarchico francese

Nell’immaginario della società contemporanea la figura del ladro è stata associata quasi esclusivamente al crimine e più specificamente al reato di appropriazione indebita. Il ladro è l’usurpatore di beni che non gli appartengono, colui che contro la legge sottrae un bene mobile in danno del suo legittimo proprietario. Ma non è stato sempre o necessariamente così, almeno non per Alexandre Jacob, l’anarchico francese che ha fatto del furto uno strumento per dare dignità a tutti coloro che la società dell’opulenza aveva negato, mettendoli al margine e privandoli dei mezzi per il semplice sostentamento, riducendoli alla miseria ederubandoli secondo Jacob stesso.
Alexandre Marius Jacob nasce a Marsiglia nel settembre del 1879 da una famiglia umile, il padre marinaio di professione li trasmette da subito la passione per i viaggi e le avventure, a 11 anni si imbarca come mozzo sul bastimento Thibet, a 13 si ritrova in Australia dove impara l’inglese e per fame anche a rubare. Qualche anno dopo parte da Sidney con una baleniera che subito dopo si rivela una nave pirata, il cui equipaggio assalta mercantili uccidendo chi oppone resistenza. Al primo scalo scappa e rientra a Marsiglia. Jacob ancora giovane comincia ad interessarsi al pensiero anarchico, legge Proudhon, Kropotkin, Reclus, Malatesta, avvicinandosi così ai circoli anarchici e operai francesi. A 20 anni convinto definitivamente dell’ingiustizia del mondo dichiara la sua personale guerra alla società borghese, e con alcuni suoi compagni fonda il gruppo Les travailleurs de la nuit (I lavoratori della notte). In soli tre anni, dal 1900 al 1903 Jacob e la sua banda mettono a segno oltre 150 colpi, tra furti e rapine. La banda colpisce in particolar modo baroni, industriali, banchieri, sfruttatori delle classi meno abbienti e i proventi vengono utilizzati per finanziare i circoli anarchici e operai, i disoccupati, gli emarginati. Jacob era un ladro con le sue illusioni egualitarie. Un anarchico con i suoi sogni, ma con una particolarità: "quest’uomo, insieme ai suoi compagni apriva veramente le casseforti dei ricchi e con questo semplice fatto dimostrava realizzabile un attacco, sia pure parziale, alla ricchezza sociale”. Jacob oltre ad essere un vero artista del furto, sperimentando nuove tecniche, nuovi travestimenti e compiendo azioni a dir poco spettacolari, proponeva sottraendo ai ricchi una nuovo modello di lotta politica. Un’azione diretta contro l’avidità umana e le ingiustizie sociali da essa generate, un’azione però che risparmiava chi avesse una qualche utilità sociale. Non è un caso che tra le sue vittime non comparissero mai medici, insegnanti o scrittori: le persone utili alla società non devono essere derubate, ripeteva ai suoi, i nostri obbiettivi sono immancabilmente i pasciuti parassiti che questa società dissanguano e depredano.
Dopo centinaia di imprese rocambolesche e furti leggendari, - togliere ai ricchi per dare ai poveri - nel 1903 Jacob e la sua banda vengono arrestati.

martedì 2 giugno 2020

2 giugno. Cosa c’è da festeggiare?



Ogni 2 giugno, nell’anniversario del referendum che nel 1946 sancì finalmente la fine della monarchia, si celebra la nascita della repubblica italiana. Ma come ogni stato che celebra se stesso quel giorno è in realtà la festa delle forze armate. A Roma il presidente della repubblica depone la solita corona d’alloro all’altare della patria e la parata militare invade i Fori e non risparmia neppure il cielo. Un po’ ovunque parate, marce e marcette fanno sfoggio di simboli e retoriche militari. Uomini e donne in divisa, armi e mezzi ostentano il monopolio della violenza, ammorbando l’aria di retorica patriottica, mentre chi riceve le commesse si sfrega le mani ingrassando gli ingranaggi della perdurante rapina e gli esecutori continuano a eliminare essere umani per mezzo mondo seminando terrore e distruzione. La guerra è guerra, ovvero distruzione e morte, a meno che non si voglia credere alla retorica del peace keeping o delle cosiddette ‘guerre umanitarie.
E allora il 2 giugno cosa ci sarebbe da festeggiare? Il fatto che l’esercito italiano contribuisca ad ammazzare civili in Medio Oriente, Africa, Afghanistan ecc., per terra, per mare e per cielo? Il fatto che risorse pubbliche vengano sottratte a tutti noi per utilizzarle al fine di accrescere una grandeur italiana fatta di armi e mezzi sempre più tecnologicamente avanzati, non ultimi automi e droni che sono in grado di ammazzare con ancora più freddezza e precisione? Il fatto che intere porzioni di territorio, dal Friuli alla Sicilia, dal Veneto alla Campania, alla Sardegna, siano state sottratte per essere utilizzate come caserme, poligoni e basi militari? Il fatto che la popolazione di questi territori subisca sovente effetti mortali sulla propria salute per l’utilizzo di urano impoverito durante le esercitazioni, come avviene ad esempio a Salto di Quirra (Ogliastra) e a Capo Teulada (cagliaritano)? Il fatto che, nonostante la contrarietà della popolazione locale, sia stato finalmente installato il sistema di comunicazioni satellitari militari ad alta frequenza Muos (Mobile User Objective System) a Niscemi, per meglio permettere all’esercito americano di perpetuare il proprio dominio globale? Il fatto che le potenze mondiali, Stati Uniti e Russia in testa, ci stiano regalando una nuova, precipitosa corsa agli armamenti nucleari in cui anche lo stato italiano fa la sua parte, ad esempio con i nuovi siti predisposti per missioni nucleari “tattiche” o con i suoi porti sempre più nucleari? Il fatto che la propaganda militarista si stia dispiegando in maniera sempre più diffusa, insinuandosi nelle università, nelle scuole e nei vari ambiti educativi anche attraverso percorsi di alternanza scuola-lavoro, corsi formativi e stage che vedono la presenza più o meno manifesta delle forze armate?
Il 2 giugno non c’è niente da festeggiare; c’è da far sentire il dissenso nei confronti dell’ostentazione di quella violenza che lo stato italiano mette in opera continuamente fuori e dentro i propri confini. C’è da dire ad alta voce che se vogliamo fermare le guerre bisogna farla finita con gli stati nazionali, eliminare le frontiere e gli eserciti. Altra via d’uscita non c’è”.