..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 28 marzo 2022

Come fai ad essere Anarchico?

Potrei darti mille motivi del come faccio ad essere anarchico, più o meno personali. Ti potrei dire che la mia patria è il mondo intero, non mi riconosco in uno Stato, politico, bandiera, ideologia politica, religione soprattutto se imposti con la forza morale e fisica; ti potrei dire che non voglio essere etichettato né schiavizzato, né giustiziato, né giudicato per le mie scelte; ti potrei dire che non voglio sottostare a nessun Dio, nessuna patria, nessun partito perché il potere e l’autorità ci sono sia a sinistra che a destra, che un’ideologia per quanto nobile e giusta non potrà mai essere applicata tramite un qualsiasi potere; ti potrei dire che voglio disertare questa società perché questa società non mi appartiene; ti potrei dire che voglio essere io il mio Dio, la mia patria, il mio stato, il mio governo e riconoscere solo me come prima persona l’unica a poter dettare legge, giudizio e morale su me stesso; ti potrei dire che voglio, pretendo e devo essere valorizzato come essere umano, perché non voglio che nessuno mi possieda e mi comandi, non voglio continuare a vivere in una società gerarchica e piramidale dove chi più possiede più comanda a spese di chi sta in basso; ti potrei dire che che per me un uomo che non sogna un mondo diverso e giusto, qualcosa di più alto, di così irraggiungibile che in qualche modo lo sproni a vivere meglio è un morto che cammina; ti potrei dire che le leggi assecondano solo le brame dei ricchi e dei potenti e non le mie, non quelle di una persona la cui unica legge è la libertà ... estrema, pura, viva, totale.

Perché voglio morire come sono nato, libero in un mondo che lo è altrettanto. È la nostra aspirazione, inclinazione …. è la natura umana. 

Tu mi chiedi quindi come si fa ad essere anarchici e io ti rispondo … come si fa a non esserlo?

sabato 26 marzo 2022

L'ultima utopia

L'anarchia è l'utopia per antonomasia, un sogno meraviglioso, la visione di un futuro in cui l'umanità è unita e solidale, senza guerre, confini, violenza, povertà, costrizioni o coercizioni.

Noi anarchici abbiamo una fiducia sconfinata nell'essere umano, crediamo che un giorno, comunque vada, il nostro sogno si realizzerà e gli uomini saranno liberi e fratelli.

E sarà un mondo dove tutto sarà di tutti e nessuno potrà arrogarsi il diritto di recintare un pezzo di terra e dire "Questo è mio!", semplicemente perché non si può possedere qualcosa che non appartiene a nessuno o che appartiene a tutti.

Un mondo dove il denaro, come lo concepiamo adesso, non esisterà e nessuno potrà possedere più di ciò che gli è necessario, se altri nello stesso tempo non avranno di che sfamarsi. Dove i confini non esisteranno e ognuno sarà libero di andare dove desidera. Dove l'uomo sarà libero di fare ciò che vuole e nessuno verrà discriminato né per motivi razziali, né per le sue preferenze sessuali, né per nessun altro motivo. E al contrario di quelli che dicono che la libertà del singolo finisce dove inizia la libertà degli altri, noi affermiamo che la libertà del singolo continua con la libertà degli altri.

Sarà un mondo dove le religioni non esisteranno perché servono solo a dividere l'umanità, creare guerre ed essere sfruttate dal Potere per i suoi fini.

II Potere è il nemico di noi anarchici, che sia Stato o Chiesa, il Potere è la negazione della libertà, e non importa che sia democratico o monarchico, dittatoriale o socialista.

Le decisioni che esso prende vengono imposte con la violenza, tramite propaganda, esercito, polizia, forze di pubblica sicurezza, anche a chi non è d'accordo. Proprio questo è il punto: dallo Stato non è possibile uscire ed è questo quello che vogliamo noi anarchici. Semplicemente uscire.

Non vogliamo imporre un nuovo modello statale per sostituire quelli attuali, come ad esempio i socialisti, ma solo avere la libertà di applicare il sistema sociale che preferiamo, per noi stessi e per le persone che vogliono parteciparvi. Perché l'uomo dovrebbe essere libero di associarsi come meglio crede. Se qualcuno desidera vivere sotto una monarchia deve poterlo fare, l'importante è che non cerchi di imporlo agli altri.

Su questi presupposti quasi tutte le correnti del pensiero anarchico sono d'accordo. È la seguente questione a dividerle: come ottenere la libertà.

Secondo gran parte di noi anarchici l'unico modo è la rivoluzione, e la rivoluzione trascina quasi sempre con sé la violenza, ma una violenza momentanea, che dovrebbe servire solo a distruggere le fondamenta dello Stato per poter liberare tutti. Una volta abbattute queste, la violenza diverrà inutile.

In particolare dalla seconda metà dell'Ottocento fino alla prima metà del Novecento alcuni anarchici hanno compiuto attentati, ucciso monarchi, primi ministri, governanti vari, nella speranza che il caos conseguente avrebbe dato il via alla rivoluzione. Veniva chiamata «propaganda col fatto». 

Altri anarchici hanno invece sempre disprezzato la violenza, considerata prerogativa del Potere, e per combatterlo non si deve finire per assomigliargli, quindi l'unico modo per arrivare alla rivoluzione è la parola. Spiegare alle persone come lo Stato, per quanto democratico, imponga con la forza le sue decisioni, e spiegare perché il sistema sociale comunista (ovviamente non in senso sovietico o cinese), o comunque la libertà di aderire al sistema che si preferisce, siano infinitamente migliori di ciò che abbiamo ora. Una volta che le persone avranno capito, la rivoluzione verrà da sé, pacificamente. Per questo diventano fondamentali l'istruzione, la lettura, la cultura. Ma è un processo lungo, che potrebbe richiedere secoli o addirittura millenni.

Altri ancora, gli individualisti, tendono invece a cercare la libertà per se stessi prima di tutto, anche con la violenza. Alcuni di loro si allontaneranno il più possibile dalla civiltà rifugiandosi sulle montagne o nei boschi. Altri smetteranno di collaborare, di pagare le tasse, di seguire i mezzi di comunicazione. Perché la rivoluzione inizia dall'atto individuale.

Per quanto sembri irrealizzabile, l'ideale anarchico è il più puro, e, al contrario di quello che se ne dice, anche il meno violento. Noi anarchici non desideriamo imporre nulla a nessuno, solo non vogliamo che niente venga noi imposto. La violenza, anche per chi crede possa essere un mezzo necessario, è solo un male passeggero, una necessità contingente che sparirà non appena conquistata la libertà. Lo stesso non si può dire dello Stato, che impone le sue leggi con la violenza, che dichiara guerre, compie stragi, imprigiona persone. Nemmeno si può dire delle religioni, che impongono le proprie regole morali, si combattono fra loro e tentano di influenzare le istituzioni laiche perché obblighino anche chi non crede a rispettare i loro precetti.

A questo punto sorge spontanea una domanda: chi sono i veri violenti? Ogni lettore giudichi pure, in libert!

giovedì 24 marzo 2022

Per una società di liberi e uguali – Le proposte degli anarchici

Il sistema dei partiti da oltre un secolo ha portato al macello milioni di uomini con l’illusione di realizzare la libertà e la giustizia: quelli di destra promettendo regimi di ordine e disciplina; quelli di centro l’amore e la pace in Terra; quelli di sinistra, l’eguaglianza dei lavoratori e la giustizia sociale. In realtà, tutti i partiti hanno costituito un buon affare per le loro classi dirigenti, hanno rafforzato lo Stato e la società capitalistica e hanno preteso dal popolo solo voti e passività, consensi e rassegnazione. IL SISTEMA DEI PARTITI È FALLITO. Dietro ogni partito, al di là delle differenze di facciata, si è sempre nascosto l’autoritarismo, la burocrazia, l’interesse personale, il privilegio per pochi.

Gli anarchici hanno da sempre sostenuto che non si possono adottare mezzi autoritari per raggiungere la libertà. La storia ha dato ragione agli anarchici, anche se hanno pagato duramente l’espressione del loro pensiero, la loro pratica antiautoritaria, la loro coerenza rivoluzionaria. Dalla Russia bolscevica alla Spagna del ’36, al ’68, passando per il fascismo e il nazismo, i poteri di ogni colore hanno combattuto, tradito, colpito alle spalle i popoli in armi e i tentativi di affermare un socialismo dal basso, l’autogestione, l’abolizione della proprietà privata e dello Stato.

Oggi in Italia assistiamo all’omologazione del quadro politico dentro le compatibilità del sistema: cioè tutti i partiti che apparentemente si contrastano dentro e fuori il parlamento, in realtà agiscono senza mettere in discussione le basi dello sfruttamento e dei privilegi su cui si fonda la società.

C’è bisogno di percorrere un’altra strada: quella dell’organizzazione diretta dei lavoratori, dei cittadini tutti, senza capi, dirigenti e strutture organizzative autoritarie; la strada dell’azione diretta, cioè della lotta senza intermediazioni, senza illusioni parlamentari, portata avanti dai diretti interessati.

Dopo anni e anni di sacrifici, di lotte, di morti causati dal potere, oggi ci ritroviamo nella nostra terra senza prospettive di lavoro, con l’emigrazione quale unica prospettiva, con i vecchi ricatti occupazionali, con salari e pensioni di fame, con l’acqua che scarseggia, con strade e ferrovie obsolete, con il territorio rovinato dalla speculazione, con una sanità arretrata, con una scuola distrutta e inutile, con la precarietà padrona delle nostre vite, con la mafia sempre più potente, con  i ricchi sempre più ricchi e una popolazione sempre più povera.

A tutto questo si può e si deve rispondere senza dar più credito ai venditori di fumo dei partiti, ai preti a caccia di pecore da tosare, ai mezzi di comunicazione loro asserviti.

Si può rispondere solo con l’organizzazione dal basso, con la lotta continua e unitaria, con la presa nelle mani dei diretti interessati, del proprio destino.

Gli anarchici sostengono che ognuno debba ragionare con la propria testa, vivere da individuo libero, senza più fidarsi dei falsi amici: politicanti, burocrati, preti, sindacalisti e tutta la casta degli arrivisti, dei borghesi, dei privilegiati che spacciano soluzioni per tutti ma badano solo al loro tornaconto personale e di casta. I falsi amici, così come i nemici (Stato, Capitalismo, Chiesa, Mafia…) sono i veri ostacoli alla costruzione di una società basata sull’autogestione e sulla libertà. Per questo vanno combattuti e sconfitti.

martedì 22 marzo 2022

Quando il manicomio chiuso era un'utopia

È sbagliato attribuire soltanto a Franco Basaglia il merito di aver fatto chiudere i manicomi. In realtà lo psichiatra della “180” ha applicato nel 1978 quello che dieci anni prima gli anarchici dichiaravano come fattibile e auspicabile. Eppure, ancora nel 1978 molti sostenevano che la chiusura dei manicomi fosse un'utopia, una cosa impensabile, un'eresia, addirittura un'operazione criminale. Dopo 10 anni di lotte e di discussioni, è bastata una legge di Stato, un'autorità, per convincere il popolino che la chiusura dei manicomi fosse possibile e cosa giusta, questo ci dà la misura di quanto servile sia il popolo delegante, unito a doppio filo con l'idea di “autorità” davanti alla quale esso china sempre il capo. Certo, se lo dice un ministro... evviva! Se lo dice un anarchico... giammai! Già, ma nel 1978 chi si ricordava più della chiusura del manicomio di Gorizia da parte degli anarchici? Colpi di spugna si susseguono nella Storia a cancellare fatti, azioni, parole, studi di anarchici, con tanto di prove! Sì perché, sempre riguardo ai manicomi, proprio nel '68 uno dei primi atti concreti degli anarchici (forse il primo, di quell'anno s'intende) fu quello di aprire i cancelli del manicomio di Gorizia (dove ha lavorato Basaglia), quale simbolo negativo del potere costituito che si fa coercizione attiva sotto mentite spoglie (“luogo di cura”), dove gli internati finivano di essere considerati persone e iniziavano il calvario in qualità di “scarti della società civile”. Fu quello un atto importante per tutto il movimento sessantottino italiano, e costituì il vero punto di partenza per la chiusura successiva di tutti i manicomi. Oggi lo abbiamo dimenticato, ce lo hanno fatto dimenticare. Oggi si ricorda solo la “legge Basaglia”, perché, è logico, lo Stato non potrebbe mai ammettere che una tale conquista sia partita dagli anarchici. Gli anarchici vanno solo denigrati e perseguiti.

Allo stesso modo, l'anarchia, che viene oggi additata come “realtà impossibile”, “utopia”, a volte persino “eresia”, domani potrebbe invece essere quel sistema che renderà finalmente pace e giustizia a tutti i popoli. L'uso o il non uso del condizionale dipende solo dalla volontà o dalla non volontà delle persone. Se oggi gli anarchici vogliono abbattere tutte le prigioni, è stupido rifugiarsi dietro l'accusa di eresia (come è stato nel '68), chi pensa per pregiudizi farebbe meglio ad approfondire le questioni, anziché evitarle “per partito preso”. Quando gli anarchici lanciano un grido che denuncia un'urgenza, come nel caso delle prigioni e dei CIE, non lo fanno certo per dissennatezza. Alla base dell'ideale anarchico e di quel grido c'è sempre un'indagine profondissima della società, ci sono studi di settore volti a far capire che un altro sistema è doveroso, oltrechè possibile e urgente. Di fronte a un sistema statale che rinnega storicamente ogni sua teoria e promessa, come possiamo ancora dargli credito e, anzi, screditare chi invece propone un modello sociale basato anche sugli studi di eruditi pensatori e su prove concrete? Di fronte al fallimento storico dello Stato, quale argomento potremo mai portare ancora a suo sostegno? Come si può, ad esempio, sostenere ancora la democrazia rappresentativa, il voto, quale metodo (dicono) responsabile di gestione della cosa pubblica? Ma se neppure la cosa pubblica è mai esistita, come anche la sovranità popolare!

Il “modello” anarchico invece è vivo, palpabile, concreto, è applicato in molte comunità, vibra in ogni dove a dispetto delle autorità costituite, nonostante queste. Chi non vuol vedere non vede, ma si rende profondamente colpevole, oltreché sciocco. E a fronte di cotante dimostrazioni di pace, di giustizia e di libertà, si pone invece l'illusione della gente, un'illusione millenaria ormai, dove il sistema gerarchico e capitalista non ha fatto altro che generare crimini, guerre, ingiustizie, sfruttamento, morte. Sono dati di fatto.

Insomma, se da un lato la censura di Stato colpisce soprattutto gli anarchici e il loro ideale, dall'altro lato è evidente ormai che questo sistema non ha più motivo di esistere (per gli anarchici non lo ha mai avuto). Lo Stato è fallito, ha fatto il suo brutto tempo ed è ora che le persone comincino ad abbandonare i pregiudizi sull'anarchia e a sposare il sistema cooperativo, federale-libertario.

 

Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione (Franco Basaglia) ”. La stessa cosa dicevano e dicono gli anarchici.

domenica 20 marzo 2022

Solo uno sciocco si sciocca

Solo uno sciocco si sciocca

A vederli passare.

Di mestiere raccolgono fucili che cadono dalle mani dei cadenti e se lo passano.

Diteci voi i vostri, di mestieri, se ne avete il coraggio!

Fu così che arrivai dopo in piazza e chiesi a un vigile

“il corteo dov’è”

“già andati” – mi rispose

“erano tanti?”

“uh, centomila …”

“ma violenze, sussulti, casini, turpitudini?”

“macché, tutta gente che lavora”.

E corsi alla rincorsa giù dal corso – lì li vidi passare belli e torvi, riconobbi Fosco e Ludmilla (bellissima lei, le bandoliere incrociate sul petto, urlava: “non è una tetta è una Berretta”) sciolta le trecce morbide scandiva il passo ognuno esibendo la cosa tra le dita, mia figlia cantilenò

“44 magnum in fila per tre col resto di due …”

(Dario ha colpito ancora scrivendo sul diario: “andai per amarli e li trovai che cospiravano”).

Cospirate, cospirate, qualcosa resterà..

Io cospiro col respiro – per controllare e sviluppare le mie emozioni – tu cospiri e non respiri egli respira e non cospira – ahimè – volevo tremare al vibrare delle tue ciglia e invece NON POSSUMUS

“cossiga ridendo mores”

Dove sei finito Totò, ora che abbiamo bisogno di te.

(Wow, Milano aprile 1977)

venerdì 18 marzo 2022

Ancora su Ucraina

Non bisogna dimenticare che una guerra civile a bassa intensità è in corso in Ucraina dal 2014, quando il governo allora filorusso del presidente Yanukovych è stato rovesciato da una “rivoluzione arancione” che ha portato al potere un regime filo-occidentale disposto a schierarsi con l’asse euro-atlantico. L’Euromaidan, di cui beneficia il blocco imperialista occidentale, ha portato l’Ucraina fuori dalla sfera d’influenza della Russia. Ha anche rafforzato l’estrema destra ucraina, che ha guadagnato seggi in parlamento e sviluppato unità paramilitari che hanno commesso atrocità contro i russofoni e i membri dei sindacati.

La Russia, d’altra parte, non era preparata fin dall’inizio a perdere il suo punto d’appoggio imperialista in Ucraina e specialmente nella regione della Crimea, indipendentemente dalla volontà del popolo ucraino. La rivolta di Euromaidan può anche aver portato a un regime neoconservatore, ma non c’è nessuno che si illuda che la non accettazione di quel regime sia nata dal sentimento “antifascista” della Russia o dalla sua “necessità di proteggere i cittadini russi”. Dopo tutto, il regime autoritario di Putin in Russia ha premiato i nazisti e i fascisti all’interno del paese imprigionando e uccidendo gli antifascisti, mentre i numerosi interventi dell’imperialismo russo nelle zone dell’ex URSS non avevano bisogno di tale giustificazione. La Russia voleva e vuole ancora una cosa: imporre le proprie condizioni negli antagonismi imperialisti in evoluzione. Non tollererà l’accerchiamento militare a cui sostiene di essere sottoposta dalla NATO, l’installazione di armi nucleari alle sue porte, l’incitamento occidentale dell’Ucraina ad unirsi alla NATO, il tentato blocco energetico delle sue forniture di gas ai paesi dell’UE e la riduzione del suo controllo sulla periferia ex sovietica. Un altro fattore è il palese nazionalismo all’interno della classe dirigente russa – l’Ucraina è il luogo d’origine dello stato russo (la Rus’ di Kiev) e la parte orientale dell’Ucraina è abitata da Ucraini di lingua russa. In pratica se non dalla dottrina irredentista della nazione tutta russa, gli Ucraini (insieme ai Bielorussi) sono visti come parte della nazione russa.

Dall’altra parte, gli Stati Uniti e il campo euro-atlantico, con il Regno Unito in primo piano, stanno spingendo in violazione degli accordi internazionali per l’espansione orientale della NATO, l’esercizio della pressione economica ed energetica sulla Russia a favore del gas naturale liquefatto (GNL) statunitense e il controllo della rotta commerciale artica, che si sta aprendo con lo scioglimento dei ghiacci a causa dell’effetto distruttivo del capitalismo sull’ambiente naturale e sull’ecosistema. Sia la Russia che gli Stati Uniti stanno cercando di esportare la loro crisi interna all’estero, mentre tentano di causare spostamenti nella gerarchia imperialista globale.

La Russia ha ammassato circa 200.000 truppe al confine con l’Ucraina. L’esercito russo sta martellando l’intero territorio ucraino con bombardamenti. Al momento di scrivere questo comunicato, sta attaccando principalmente dalla Crimea, Lugansk e Kharkiv. Le prime vittime della guerra imperialista sono un fatto. Si parla già di vittime civili. Il governo ucraino, che, non dimentichiamolo, è un amalgama di neoliberali e neoconservatori, ha dichiarato la legge marziale in tutto il paese. Siamo ancora all’inizio degli orrori della guerra…

Gli unici perdenti della guerra saranno le classi lavoratrici mondiali, specialmente i proletari dell’Ucraina e della Russia. Sono quelli destinati ad essere la carne da cannone degli stati e dei capitalisti.

La guerra imperialista viene condotta per la spartizione delle sfere d’influenza, delle rotte energetiche e per il riassetto del potere geopolitico. Non abbiamo interesse a combattere per gli interessi dei potenti, per gli interessi del capitale. Inoltre, lo scoppio della guerra dovrebbe portare ulteriori aumenti di prezzo e inflazione sia per l’energia che per i beni di prima necessità, mettendo ancora più a dura prova le tasche di coloro che già non sono in grado di soddisfare i loro bisogni primari. Non dobbiamo dimenticare che la guerra è una soluzione del capitale per superare le crisi strutturali di sovraccumulazione da cui il capitalismo è periodicamente afflitto. La distruzione del capitale fisso (mezzi di produzione) e variabile (forza lavoro) apre la strada alla ricostruzione e allo sviluppo capitalistico.

Il nostro dovere rivoluzionario e di classe impone l’organizzazione e il rafforzamento del movimento internazionalista, pacifista e antimperialista della classe lavoratrice. La logica di un imperialismo più aggressivo o più progressivo è una logica che porta alla sconfitta della classe lavoratrice. Non può esistere una strada imperialista favorevole al popolo. Gli interessi della classe lavoratrice non possono essere identificati con quelli dei capitalisti e delle potenze imperialiste. Il sabotaggio della macchina da guerra, l’organizzazione del movimento di classe e internazionalista contro la guerra e il rafforzamento delle lotte sociali e di classe in direzione della rivoluzione sociale mondiale per la costruzione di una società comunista libertaria sono i compiti urgenti e storici degli oppressi e degli sfruttati ovunque. Non possiamo e non dobbiamo accontentarci di accordi mediocri e dannosi.

I lavoratori, i disoccupati e i giovani non hanno motivo di andare in guerra per gli interessi della classe dominante. Prendiamo coscienza della nostra posizione sociale e dei nostri interessi di classe. Lasciamo che questi siano gli indicatori del nostro atteggiamento e della nostra azione e non la retorica bellicosa, ordinatrice e nazionalista promossa dai padroni e dai mezzi di propaganda che controllano. Non pagheremo la crisi del sistema capitalista con il nostro sangue. Non ci uccideremo con i poveri diavoli degli altri paesi. Al contrario, è nostro dovere bloccare la macchina della guerra e ricostruire le resistenze sociali e di classe, avendo come principio guida la promozione degli interessi di classe e dei bisogni materiali della base sociale. Organizzarci nelle formazioni sociali e di classe dei lavoratori e delle lavoratrici, organizzando il contrattacco della nostra classe in termini di massa e militanti. Questo sistema fa nascere le guerre ed è responsabile della povertà, dell’ingiustizia, dello sfruttamento e dell’oppressione. È dunque il momento di sfidarlo in modo organizzato e dinamico, organizzando il suo rovesciamento su scala internazionale.

 

NESSUNA GUERRA MA LOTTA DI CLASSE!

NÉ CON LA NATO NÉ CON MOSCA!

SABOTAGGIO DI CLASSE E INTERNAZIONALISTA DELLA MACCHINA DA GUERRA!

CONTRO IL MILITARISMO E LA GUERRA: PER L’AUTOGESTIONE DELLE LOTTE E LA RIVOLUZIONE SOCIALE! 


Tratto da



giovedì 17 marzo 2022

Quale rivoluzione?

La rivoluzione? O è del popolo, per il popolo, orizzontale, e senza delegati politici, oppure non è rivoluzione, ma mero passaggio di potere da un governo a un altro per il mantenimento dell'identico sistema. A dirlo è la Storia, a dirlo sono ad esempio le rivoluzioni francese e russa, là dove il popolo, abituato a consegnarsi nelle mani di un'autorità, ha concesso spazi, meriti e decisioni alle élites borghesi che, opportunisticamente, hanno calvalcato l'onda rivoluzionaria, inizialmente spontanea, fino a rimodellare il sistema gerarchico autoritario, rimettendo sul trono i despoti. Chi, nel passaggio tra monarchia e repubblica, continua ancora adesso a vederci un vero cambiamento è già spacciato, sarà ben pronto ad accettare come buona soluzione un altro cambio di forma nominale, ma non di sostanza. E dal momento che non sono poche le persone che credono ancora di risolvere le questioni affidando il destino della rivoluzione nelle mani di qualche rappresentante politico, ci sembra evidente che la non conoscenza tra rivoluzione sociale e rivoluzione tout-court (aggettivata nei modi più vari) sfoci nel catastrofico e storico nulla di fatto.

Una rivoluzione di popolo, profondamente sociale, che ribalti l'intero sistema gerarchico e autoritario, sembra comunemente un'utopia. Eppure di queste rivoluzioni sociali ne sono esistite (Parigi, Ucraina, Spagna, Messico...) ancorché disintegrate dai cannoni di Stato. Il modello quindi esiste, ma non compare sui libri di scuola, al suo posto viene sempre presentato ed elogiato il modello della rivoluzione delegata. Riteniamo grave, in questo preciso momento storico, non conoscere ad esempio quel che accadde a Kronstadt nel 1921, o in Spagna nel 1936.

Molte persone credono nell'impossibilità dell'autogestione. Ma se dovessimo prendere in considerazione quello che gli storici prezzolati, volontariamente o no, evitano di scrivere, allora ci troveremmo di fronte a centinaia di esempi in tutto il mondo dove l'autogestione, l'auto organizzazione, l'anarchia, non sono state (e non sono) soltanto parole. Di questi esempi ce ne dà conto anche Colin Ward (architetto, insegnante, giornalista, scrittore) nel suo libro “Anarchia come organizzazione”. Ed è da questo libro che estraiamo le righe seguenti, dove la testimonianza diretta dell'economista Peter Wiles, di fronte alla sua breve esperienza rivoluzionaria sociale in Ungheria nel 1956, così afferma:

[Siamo di fronte a] 'una straordinaria purezza morale, dove per alcune settimane si visse senza che fosse presente alcuna autorità. In un'esplosione di autodisciplina anarchica la gente, compresi i criminali, si guardò bene dal rubare alcunché, dal picchiare gli ebrei e dall'ubriacarsi. Addirittura, gli unici casi di linciaggio riguardarono la polizia segreta (AVH), mentre gli altri esponenti del Partito comunista restarono incolumi...'

Un testimone ungherese di quegli eventi dichiarò:

'Numerosi sono gli esempi di buon senso cui assistetti per le strade in quei primi giorni della rivoluzione. C'erano code per il pane che duravano ore senza che si verificassero litigi di sorta. Un giorno stavo facendo la coda e arrivò un camion con due ragazzi armati di mitra che chiesero se avevamo del danaro perché potessero comprare del pane per i combattenti. Tra la gente accodata si riuscì a raccogliere danaro sufficiente per riempire di pane almeno la metà del loro camion. E' solo un esempio. Dopo un po' un uomo ci chiese di tenergli il posto nella coda perché aveva dato tutto quello che aveva e doveva tornare a casa a prendere altri soldi; la gente gli diede tutti i soldi di cui aveva bisogno. Un altro esempio: naturalmente, durante il primo giorno di scontri, tutte le vetrine dei negozi erano state distrutte, ma nessuno ne approfittò per rubare [...] Il terzo e il quarto giorno le vetrine furono svuotate, ma cartelli annunciavano che la merce era stata rimossa dai commessi o che si trovava in questo o in quell'altro appartamento'.

Nelle rivoluzioni sociali, il popolo che si autogestisce acquista spontaneamente la fiducia in se stesso e in quella degli altri, poiché matura in sé una coscienza atavica volta alla responsabilità e alla cooperazione tra gli individui. Anche durante la Comune di Parigi, dove nessuno era delegato di/da nessuno, si era creata quella che viene definita la teoria dell'ordine spontaneo.

Così scrive Kropotkin in merito a tale teoria, nel suo libro “La conquista del pane”:

 

 “I gruppi di volontari, organizzatisi in ogni caseggiato, in ogni strada, in ogni quartiere, non avranno difficoltà a mantenersi in contatto e ad agire all'unisono ... se i sedicenti teorici ‘scientifici' si asterranno dal ficcare il naso ... Anzi, spieghino pure le loro teorie confusionarie, purché non venga loro concessa alcuna autorità, alcun potere! E le meravigliose capacità organizzative di cui dispone il popolo (che così raramente gli viene concesso di mettere in pratica) consentiranno di dar vita, anche in una città grande come Parigi, e nel bel mezzo di una rivoluzione, a una gigantesca associazione di liberi lavoratori, pronti a fornire a se stessi e alla popolazione i generi di prima necessità. Date mano libera al popolo, e in dieci giorni il rifornimento alimentare funzionerà con la precisione di un orologio. Solo coloro che non hanno mai visto la gente lavorar sodo, solo quelli che hanno passato la vita tra montagne di documenti, possono dubitarne”.

 

La teoria dell'ordine spontaneo nasce dalla constatazione, dalla messa in pratica dell'anarchia attraverso la rivoluzione sociale. E se le esperienze rivoluzionarie anarchiche (senza autorità e deleghe) hanno immediatamente, come prima cosa, garantito al popolo cibo e generi di prima necessità, oggi possiamo quantomeno fare i dovuti paragoni.

martedì 15 marzo 2022

Quando togliamo qualcosa alla terra

Quando togliamo qualcosa alla terra,

dobbiamo anche restituirle qualcosa.

Noi e la Terra dovremmo essere

compagni con uguali diritti.

Quello che noi rendiamo alla Terra

può essere una cosa così semplice

e allo stesso tempo così difficile

come il rispetto.

 

Indiani Navajo

domenica 13 marzo 2022

Punti fermi e suggerimenti per una rivoluzione

Dal 1848 circa ad oggi, tutte le caste che hanno gestito i popoli e l'amministrazione degli Stati, hanno inserito tra i loro obiettivi l'insabbiamento sistematico delle informazioni che riguardano le idee anarchiche e le loro esperienze. In sostanza, tutti gli Stati impediscono agli anarchici di dimostrare liberamente che l'autogestione e la cooperazione sono realizzabili e perfettamente aderenti alle esigenze umane.

Là dove nasce e prospera un'autogestione, lo Stato interviene per distruggerla in tre modi:

1) con la censura

2) con la criminalizzazione

3) con la forza

 

Ciò non impedisce alle realtà anarchiche di esistere. Di fatto, solo in Italia, e senza rifarci agli esempi storici, una trentina di comunità più o meno grandi vivono in autogestione e in cooperazione, senza perciò nessun capo e nessun sottoposto, nessun sindaco e nessuna polizia, nessuna gerarchia e nessun tutore della legge. Per conseguenza, in queste comunità non esistono reati. Il modello della comunità autogestita è una realtà che dimostra energicamente;

1) che il sistema gerarchico statale e le sue leggi producono ingiustizie e crimini.

2) che l'essere umano è in grado di autogestirsi senza bisogno di delegare.

3) che la politica anarchica non è un'utopia.

4) che l'anarchia non è caos e violenza.

5) che in una comunità libera esistono regole, non scritte, mutevoli a seconda delle necessità e dei casi. Tali regole (leggi morali e naturali) nascono spontaneamente e sono tutte volte al benessere collettivo, alla vita, poiché unico scopo della vita è l'espansione della vita stessa; e scopo dell'essere umano non è l'autodistruzione, ma la propria sussistenza, garantita dalla cooperazione.

6) che libertà non vuol dire disordine, licenza, aggressività.

Se oggi siamo giunti a questo grado di aggressività, questo non lo si deve imputare alla natura dell'Uomo, ma al suo carattere che è stato viziato (E. Fromm), deformato da un sistema in cui l'aggressività e la competizione (propagandata in mille modi) si è resa necessaria per scalare le gerarchie e farsi strada anche a costo di ammazzare, per un benessere esclusivamente individuale (egoistico).

Sta a noi decidere se tornare ad essere Uomini liberi o se rimanere prigionieri della violenza. Gli anarchici dimostrano anche che:

1) utopia è credere che questo sistema statale porti giustizia e pace.

2) utopia è illudersi ogni volta che un nuovo governo risolva i problemi.

3) utopia è pensare di essere liberi in una società dove impera la morale borghese e clericale.

4) utopia è credere che uno Stato sedicente democratico sia basato sulla sovranità del popolo.

5) utopia è aspettarsi che la legge sia davvero uguale per tutti e che renda più giusti gli uomini.

6) utopia è credere ai mass-media.

7) utopia è dare fiducia alle supposte autorità di cui siamo circondati.

Eccetera

Gli storici sono colpevoli di non aver trattato in maniera completa e adeguata i capitoli riguardanti le esperienze di autogestione e di autogoverno anarchico (Colin Ward), questo perché tutti gli storici ben conoscono le regole dettate dal sistema: 'tu parli di anarchia? E noi non ti facciamo pubblicare i tuoi studi'.

Esiste un programma anarchico? Sì, lo ha scritto nel 1919 Errico Malatesta, lo potete trovare tra i banners della colonna di sinistra. È un programma vecchio vista la sua età? L'idea di libertà non è mai vecchia, anzi, proprio in un periodo in cui i popoli del mondo sono assetati di giustizia, l'anarchia si presenta in tutta la sua giovane potenza innovativa. Nel vostro modo di concepire le cose, cioè per gerarchie e autorità, vi aspettate sicuramente dei nomi 'illustri' di anarchici ai quali appendere le vostre eventuali ammirazioni. Potremo stupirvi, e non poco. I 'nomi illustri' sono troppi da elencare, si tratta di un universo parallelo tenuto ben nascosto per i motivi di cui sopra. Nessun libro di scuola vi racconterà, ad esempio, dell'anarchismo di Tolstoj.

La censura si è abbattuta anche in occasione di questi 150 anni di unità d'Italia (150 anni di servitù), dove il primo anarchico italiano, Carlo Pisacane, amico di Mazzini, proponeva un'unità d'Italia diversa da come si è realizzata, un'unità solidale e cooperativa, un federalismo egualitario che apre al prossimo, non propone confini e odii. Stop, non se ne deve parlare, neanche a scuola, neanche leggendo la seppur celebre 'La spigolatrice di Sapri' (dedicata alla sua coraggiosa impresa). E mille altri nomi 'noti'. Vi sono poi un'infinità di nomi che non sono conosciuti (sempre a causa della censura), ma che sono stati -e continuano ad essere- le pietre angolari della cultura filosofica, pedagogica, sociologica, letteraria, artistica, scientifica, politica, ecc. mondiale.

Da dove iniziare per capire l'anarchismo? Più che 'capire' sarebbe meglio dire 'togliere i pregiudizi'. L'anarchismo ce lo abbiamo tutti dentro, lo portiamo come bagaglio morale naturale. Scoprirete da soli che qualsiasi testo sull'anarchia vi rispecchia e riassume perfettamente la vostra coscienza, vi ci ritroverete in pieno. Qualche autore? Va bene. Noi consigliamo il già citato Colin Ward ('Anarchia come organizzazione'). Iniziate con lui, se non volete rifarvi direttamente ai padri dell'anarchismo e se cercate un intellettuale contemporaneo. Il libro si legge molto bene, è scorrevole e vi stupirà alla grande.

venerdì 11 marzo 2022

Né con la Russia nè con la NATO, il nemico di sempre è lo Stato

Di fronte al conflitto in corso in Ucraina, che vede attualmente la Federazione Russa in fase d’attacco, riaffermiamo il nostro totale rifiuto degli imperialismi degli Stati e delle coalizioni contendenti, NATO e OTSC.

Le politiche di potenza degli Stati, i nazionalismi, le piccole patrie, sono solo paraventi per nascondere lo sfruttamento delle classi lavoratrici, delle risorse, dei territori. Le ricadute di questa guerra sono estremamente gravi, in primis per le popolazioni civili delle zone interessate che si trovano da anni in una situazione di conflitto e privazione materiale.

Ma questo conflitto riguarda anche lavoratori e lavoratrici di tutta Europa, che stanno già vedendo i loro redditi falcidiati dagli aumenti dei costi dell’energia e dei beni di prima necessità, nonché dal taglio della spesa pubblica sociale a beneficio dell’aumento delle spese militari.

La guerra in corso si inserisce in uno scenario mondiale di crescente disordine a livello politico e militare. Gli Stati Uniti, sebbene rimangano ancora la prima potenza mondiale, da anni sono in evidente difficoltà tanto sul piano esterno, come dimostra la fuga precipitosa dall’Afganistan, che su quello interno come mostrato dall’insorgenza sociale del 2020 e la ripresa del conflitto di classe.

Dal canto suo, la Federazione Russa si trova in una posizione difensiva che la costringe ad attaccare per rimanere in piedi. La crisi apertasi nella sfera d’influenza russa, risultata evidente con la mobilitazione sociale in Bielorussia nell’estate del 2020 e con le proteste in Russia nel gennaio 2021, mostra la fragilità dello Stato Russo tanto sul piano esterno che su quello interno. Fragilità che potrebbe essere fatale nel caso in cui anche solo uno degli Stati alleati possa collassare, come dimostra la brutale e sbrigativa repressione della rivolta in Kazakhstan del gennaio 2022 e il sostegno incondizionato al dittatore bielorusso Lukashenko.

L’Italia è pesantemente coinvolta nel confronto, con le basi militari USA e Nato in tutto il paese, e in particolare con le installazioni in Sicilia utilizzate per il controllo della flotta russa nel Mediterraneo e l’invio di droni nello scenario bellico. Inoltre lo Stato Italiano è presente direttamente in Europa orientale con proprie truppe,e prende quindi parte concretamente alla spirale di guerra. In Lettonia sono dislocate truppe con carri armati e cingolati da neve, nell’ambito della missione “Baltic Guardian” della NATO; in Romania, nei pressi di Costanza, è presente una squadriglia di 4 caccia Typhoon nell’ambito della missione “Air Black Storm”; nel Mar Nero sono presenti la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”, oltre alla portaerei “Cavour” con gli F-35.

Questo spiegamento di forze è stato autorizzato con uno stanziamento di 78 milioni di euro, che sicuramente il governo dovrà incrementare. Già è stata annunciata l’intenzione di inviare nell’area altri 2000 soldati italiani. Le crescenti spese militari sono giustificate con la nostra sicurezza, ma nessuno dice che sicurezza è soprattutto educazione e sanità, reddito per tutti e non certo la guerra.

Come anarchici, intendiamo innalzare la bandiera della solidarietà tra le classi sfruttate, al di là ed al di fuori di qualunque nazione.

Per questo facciamo appello a tutti coloro che si oppongono alla guerra a rafforzare e rilanciare la lotta contro la politica guerrafondaia del governo italiano, per creare un ampio movimento antimilitarista che sappia imporre il ritiro delle missioni militari all’estero.

La nostra posizione è quella del disfattismo rivoluzionario, della solidarietà, della fraternizzazione e della ribellione contro gli Alti Comandi di ciascuno Stato.


Federazione Anarchica Italiana

Commissione di Corrispondenza


giovedì 10 marzo 2022

10 Marzo 1948: Placido Rizzotto

Placido Rizzotto nacque a Corleone da Giovanna Moschitta e Carmelo Rizzotto. Primo di sette figli, perse la madre quando era ancora bambino. In seguito all'arresto del padre, con l'accusa di far parte di un'associazione mafiosa, fu costretto ad abbandonare la scuola per occuparsi della famiglia.

Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio nel Regio Esercito sui monti della Carnia, in Friuli Venezia Giulia, con il grado di caporale prima, di caporal maggiore poi e infine di sergente, dopo l'armistizio dell'8 settembre si unì ai partigiani delle Brigate Garibaldi come militante socialista.

Rientrato a Corleone al termine della guerra, iniziò la sua attività politica e sindacale, ricoprì l'incarico di Presidente dei reduci e combattenti dell'ANPI di Palermo e quello di segretario della Camera del lavoro di Corleone.

Fu esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della CGIL.

Tutto era iniziato il 19 ottobre 1944, quando il ministro dell’Agricoltura del governo Badoglio, il comunista Pietro Gullo, firmò un decreto in cui si stabiliva che le terre incolte o mal coltivate dagli agrari, dai latifondisti, venissero assegnate alle cooperative di contadini.

Una legge valida nel resto d’Italia, un po’ meno in Sicilia. Quello stesso giorno a Palermo, mentre il decreto Gullo entrava in vigore, un plotone del 139° Reggimento fanteria della Divisione “Sabaudia” sparò sulla folla che protestava per la mancanza di pane: 24 morti e ben 158 feriti, tra cui donne e bambini, in Sicilia i contadini si trovarono fra due fuochi: da una parte la nobiltà e il baronato latifondista, che avevano nella mafia il custode dello status quo, ovvero delle loro proprietà, i mafiosi si opponevano con violenza all’applicazione della legge Gullo. E quando i contadini riuscivano comunque a occupare un pezzo di terra, arrivavano le forze dell’ordine ad arrestarli per “invasione di terre”, perché per essere assegnate dovevano essere dichiarate ufficialmente “incolte”. Contadini, sindacalisti e militanti erano fra il martello della lupara e l’incudine delle manette.

Politico e sindacalista fermamente impegnato nella difesa degli ideali di democrazia e giustizia, consacrò la sua esistenza alla lotta contro la mafia e lo sfruttamento dei contadini, perdendo tragicamente la vita in giovane età ad opera degli esponenti mafiosi corleonesi in un vile agguato, venne rapito nella serata del 10 marzo 1948, mentre andava da alcuni compagni di partito, e ucciso dalla mafia per il suo impegno a favore del movimento contadino per l'occupazione delle terre.

Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio. Grazie alla testimonianza di Collura fu possibile ritrovare alcune tracce del sindacalista, ma non il corpo.

Il 9 marzo 2012 l'esame del DNA, comparato con quello estratto dal padre Carmelo Rizzotto, morto da tempo e riesumato per questo scopo, ha confermato che i resti trovati il 7 luglio 2009 all'interno di una foiba di Rocca Busambra a Corleone appartengono a Placido. I resti sono stati recuperati da personale specializzato per interventi speleologici del Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Palermo.

Placido Rizzotto oggi sarebbe stato meno solo, forse, è senz’altro doveroso rendere omaggio, facendone conoscere la biografia e l’operato alle giovani generazioni, affinché comprendano l’importanza della lotta.


mercoledì 9 marzo 2022

9 Marzo 1306: Fra Dolcino verso il biellese

«Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi, tu che forse vedrà il sole in breve, s'ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, che altrimenti acquistar non saria leve».

Anche Dante Alighieri volle ammonire Dolcino: l'inverno nelle Alpi è terribile, ricorda di armarti di cibo; sarai bloccato dalla neve. Dolcino ricordalo altrimenti raggiungerai tutti gli eretici che bruciano all'inferno. Gli apostolici vissero nelle balme e nelle grotte messe a disposizione dalla comunità montanara. L'inquisizione sembrò giocata, battuta. Arrivò l'inverno sulle montagne, e con esso il freddo e il gelo che tutto blocca e tutto distrugge. Devastò il morale degli uomini ancor prima che la loro resistenza fisica. Il cibo non bastò, troppe bocche da sfamare. Dolcino decise di scendere a valle con alcuni uomini. La parte finale dell'avventura apostolica ebbe così inizio. Il capo dei guerriglieri decise di scendere a Varallo per rastrellare risorse, soldi. Quale migliore occasione che catturare il Podestà del piccolo borgo ai piedi della Valsesia e chiedere denaro per il riscatto? L'inverno inesorabile avanzò ghiacciando i torrenti e distruggendo i ponti di collegamento tra le valli. Troppe persone erano giunte al Forte della Speranza e tra essi una moltitudine di donne e bambini. Il 9 marzo del 1306 il rifugio di Parete Calva fu abbandonato. Con esso i cadaveri di coloro che non avevano resistito al lungo inverno. La direzione del nuovo pellegrinaggio della speranza furono le montagne del Biellese. Un cronista del tempo definì impensabili le vie battute dai fuggitivi, tra ghiaccio e neve. Alla fine dell'inverno del 1306 la carità umana fu irrimediabilmente abbandonata.

Alcuni giorni dopo i fuggitivi s'insediarono a Monte Rubello. Dolcino ringhiava nella valle sottostante tutto il suo odio, il suo disprezzo per quelle gerarchie che, secondo lui, l'avevano portato in quella parte del mondo. Saccheggiarono dapprima Trivero e in seguito i paesi limitrofi. Necessitavano di cibo per resistere. Gli eserciti schierati per la sua cattura furono nuovamente giocati. Ma la Chiesa ha mille risorse, non solo economiche. Trasformò la guerriglia in guerra a viso aperto. Dolcino, ringhiante, decise d'attendere le milizie vescovili. Monte Rubello si trasformò. Le grotte e le balme divennero case; furono scavati pozzi e gallerie sotterranee. Le vette limitrofe furono dotate di piccoli fortilizi di difesa, ma soprattutto di guardia. All'interno della contesa si affacciò l'uomo forte che la Chiesa tanto desiderava: il vescovo di Vercelli Raniero Avogadro. L'uomo di chiesa, trasformato in combattente, decise di guidare personalmente le milizie vescovili, inquisitoriali e comunali. Raniero Avogadro decise di chiedere l'aiuto del Papa, degli inquisitori lombardi, del Duca di Savoia e dell'arcivescovo di Milano. La battaglia finale ebbe inizio. Dolcino e i suoi si muovono come cani rabbiosi. Il primo scontro avvenne presso Mosso, dove l'esercito di Avogadro fu duramente sconfitto. Ma giunse un altro inverno. Il freddo bussava, i denti battevano. Gli uomini di Dolcino arrivarono ad un tale punto di miseria che una volta morto un loro compagno, gli prendevano le carni, le mettevano a bollire e le mangiavano a causa della penuria di cibo. Malgrado quest'ultimo disperato tentativo di salvezza i ribelli cedettero, nella mente prima ancora che nel fisico. Tra il dicembre del 1306 e il marzo del 1307 si consumarono le ultime tragedie. L'esercito del vescovo Avogadro partì all'attacco. Erano organizzati e ben nutriti. Dolcino e i suoi uomini, disperati, scesero a valle ricordando le bestie selvatiche affamate di sangue. Il 23 marzo del 1307 fu l'ultimo giorno da uomo libero del predicatore divenuto combattente. Si consumò una sola giornata di guerra. La Chiesa vinse. Furono catturati vivi oltre 140 apostolici, tra cui Dolcino e Margherita Boninsegna. Furono tradotti nelle carceri vescovili di Biella. 

martedì 8 marzo 2022

Le donne nella Comune di Parigi

 

La barricata della Place Blanche tenuta dalle donne,

maggio 1871.

Louise Michel è certamente una figura emblematica della Comune di Parigi, di questo episodio storico e sociale che è tra i meno citati nei libri di storia.

Ma che dire delle altre donne montate nel 1871 sulle barricate di Parigi? Quasi certamente rimarranno immerse nell'anonimato.

André Léo

Perché sì, c'erano donne che si impadronirono dei fucili Chassepot nella primavera del 1871, per sparare agli scagnozzi di Thiers, per sfamare gli insorti a rischio della loro vita, per essere giustiziate quando la repressione cadde su questo bellissimo ideale che sprofondò nel sangue. Alla fine molte furono giustiziate, mandate in prigione e deportate.

Anna Babick

«L'atteggiamento delle donne durante la Comune era ammirato dagli stranieri ed esasperava la ferocia dei Versaillesi», affermava Prosper-Olivier Lissagaray nella sua Histoire de la Commune du 1871. «Giovedì 25 maggio 1871, quando le Guardie Nazionali stavano abbandonando la barricata di rue du Château-d'eau, un battaglione di donne accorse per sostituirle. Queste donne, armate di fucili, combatterono mirabilmente al grido di "Vive la Commune!". Molte nei loro ranghi erano ragazze. Una di loro, di diciannove anni, vestita da fuciliere della marina, ha combattuto come un demone ed è stata uccisa da una pallottola in fronte. Quando furono circondate e disarmate dai Versaillesi, le cinquantadue sopravvissute furono fucilate».

Anna Jaclard

I seguenti due commenti di stampa illustrano perfettamente il ruolo che ebbero le donne nella Comune:

«Se la nazione francese fosse composta solo da donne, che nazione terribile sarebbe!»

The times, aprile 1871

«Ho visto una ragazza vestita da guardia nazionale che camminava a testa alta tra i prigionieri che avevano gli occhi bassi. Questa donna alta, i suoi lunghi capelli biondi che le scendevano sulle spalle, sfidava tutti con il suo sguardo. La folla l'ha sopraffatta con i suoi oltraggi, lei non ha sussultato e ha fatto arrossire gli uomini con il suo stoicismo».

The Times 29 maggio 1871

Anne-Marie Menand

Erano sarte, lavandaie, operaie tessili, vivandiere, ma anche della piccola borghesia artigiana e commerciale, o esercitavano professioni intellettuali (maestre, giornaliste). Alcune erano belghe, polacche, russe. Durante la Comune, come tutte le rivoluzioni o tutte le sollevazioni popolari, le donne ebbero un ruolo importante ma poco conosciuto.

Élisabeth Dmitrieff

In quei settantadue giorni di lotta, tra il 18 marzo e il 28 maggio 1871, non si accontentarono di garantire l'amministrazione o di restare indietro: presero le armi, unendo le esigenze sociali e femministe in un approccio moderno alla lotta per la loro emancipazione.

Eulalie Papavoine

Quel 18 marzo, il giorno dell’inizio della Comune, all'alba, erano scese nelle strade di Montmartre per esortare i soldati inviati da Adolphe Thiers a non usare la forza, i cannoni. In mezzo a loro, Louise Michel, insegnante anarchica, figura del comitato di vigilanza di Montmartre, testimonia nelle sue Memorie il ruolo svolto dalle sue compagne.

Herminie Cadolle

Cita in particolare la fraternizzazione della truppa con il popolo quel giorno: «Il 18 marzo, sul colle di Montmartre immerso in questa prima luce del giorno che ti fa vedere come attraverso il velo dell'acqua, è sorto un formicaio di donne e uomini; il tumulo era appena stato sorpreso; quando ci salivi pensavi di morire (…) I soldati alzarono il calcio dei loro fucili in aria invece di strappare i cannoni francesi alle guardie nazionali e soprattutto alle donne che li coprivano con i loro corpi».

Hortense Machu

Nella sua Storia della Comune del 1871, il giornalista comunardo Prosper-Olivier Lissagaray, che ha vissuto giorno per giorno gli eventi insieme agli insorti, descrive l'attivismo delle communarde: «Non tiene il suo uomo, al contrario, lo spinge in battaglia, lo porta in trincea, sono lavandaie, cantiere. Molte non vogliono tornare a casa, prendono la pistola. (…) Si offrono alla Comune, chiedono armi, posti di combattimento, si indignano contro i codardi (…)».

Le comunarde fecero parte di alcuni comitati, come il comitato di vigilanza dei cittadini del 18° arrondissement, presieduto da una sarta, Sophie Doctrinal, si distinse per la sua grande attività.

Jeanne Desdoit

Tra i membri di questo comitato c'erano Louise Michel e una russa, moglie di Victor Jaclard, membro dell'internazionale, colonnello della XVII a legione federata, Anna Jaclard nata Korvine Krouskovskaïa a San Pietroburgo, era a Parigi con la sorella Sonia che divenne un'eminente matematica e che, durante la comune, lavorò negli ospedali parigini. Victorine Brochet André Léo (al secolo Léodile Champeix) parteciparono ad altri Comitati di Vigilanza.

Queste donne comunarde avevano origini molto diverse ed è difficile farne un ritratto modello. La presenza di un numero molto elevato di donne della classe operaia in una lotta politica e sociale è una caratteristica forte della Comune.

Erano di tutte le età: la più giovane aveva 14 anni, la più anziana 71 anni.

Joséphine Marchais

Venivano da ogni parte, erano per lo più provinciali.

Il 12% erano straniere, principalmente belghe. Anche russe e polacche formavano un buon contingente. Erano spesso molto politicizzate.

Erano prima di tutto donne del popolo: le comunarde lavoravano in maniera massiccia. Solo il 15% erano disoccupate. Oltre il 53% di sarte e lavandaie. Erano rappresentate tutte le categorie di lavoro femminile, anche le più miserabili. Tra loro era rappresentata anche la piccola borghesia artigianale e commerciale, soprattutto le piccolissime imprese. Le professioni intellettuali (insegnanti, lettere, giornalisti) erano numerose. Le più note erano in particolare: André Léo, Victorine Eudes, Louise Michel, Marguerite Tinayre...

Le donne erano associate, in alcuni quartieri, alla gestione comunale.

Léontine Suétens

L’11 aprile 1671, è stata creata l’“Unione delle donne per la difesa di Parigi e la cura dei feriti”. Quel giorno l'Unione pubblicò a mezzo manifesti, sui muri di Parigi, un testo che diceva: «La lotta per la difesa della Comune, è la lotta per il diritto delle donne».

Louise Michel

Scrivevano: «I nostri nemici sono i privilegi dell'attuale ordine sociale, tutti coloro che hanno vissuto del nostro sudore, che sono sempre ingrassati delle nostre miserie (…) vogliamo lavorare per mantenere il prodotto, più sfruttatori, più padroni (…) ogni disuguaglianza e ogni antagonismo tra i sessi costituiscono una delle basi del potere delle classi dirigenti».

Le due principali leader dell'Unione erano Nathalie Lemel ed Élisabeth Dmitrieff. C’erano anche Marceline Leloup, Aline Jacquier, Thérèse Collin, Aglaé Jarry e Blanche Lefevre.

Nathalie Le Mel dichiarava: «Per tutta la vita ho lavorato per migliorare il lavoro delle donne».

Louise, Léonie,

Henriette Laffitte

Cosa volevano?

  Il diritto a lavorare per loro e la parità di retribuzione.

Scuola secolare gratuita per ragazze e ragazzi.

Piena partecipazione alla lotta della Comune, anche nella Guardia Nazionale: il circolo di rue d'Arras raccolse 300 iscrizioni per "le legioni di donne".

Pensioni per le vedove dei federati uccise in combattimento, sposate o meno, ma anche per figli legittimi o naturali.

Le donne lavoreranno con le varie commissioni della Comune per ottenere questi profondi cambiamenti e partecipare attivamente alla loro attuazione.

Marguerite Tinayre

Laicità

Erano in prima linea nella lotta per la secolarizzazione di scuole e ospedali.

Le donne erano impegnate nell'azione educativa e culturale della Comune.

Hanno creato scuole professionali per ragazze.

Agirono per la creazione di asili nido popolari.

Marie Laverdure, che partecipava al movimento Nuova Educazione, presentò una tesi per la creazione di asili nido. Cominciava con questa affermazione: «L'educazione inizia il giorno della nascita. Chiede giardini, fiori e giocattoli per i bambini …».

Marie Alexandrine

Leroy

Victoire Tynaire , conseguita l'abilitazione all'insegnamento, organizzò scuole libere e laiche.

Una commissione per organizzare e supervisionare l'insegnamento nelle scuole femminili era composta dalle cittadine André Léo, Jaclard, Périer, Reclus, Sapia.

Le comunarde guidarono la lotta alla prostituzione, che consideravano «come una forma di sfruttamento commerciale di esseri umani da parte di altri esseri umani».

Le donne furono all'origine dell'organizzazione di laboratori cooperativi. Su loro richiesta, Léo Fränkel adottò il 16 aprile un decreto per la requisizione delle officine abbandonate. Incaricò ufficialmente le donne di organizzare laboratori di lavoro cooperativo.

Nathalie Lemel

Paule Minck

Erano gli inizi dell'autogestione, si trattava di produrre beni di prima necessità destinati ai produttori senza intermediari.

Durante quell’ultima settimana, passata alla storia come la “Settimana sanguinante”, le donne continuarono a tenere la strada contro i Versaillesi, difendendo le barricate:

André Léo era sulla barricata di Batignolles

Louise Michel sulla Chaussée Clignancourt con Marguerite Diblanc

Pétronille Kindermans

Rosalie

Kosakowska-Niemec

Elisabeth Retiffe cantiniera al 135° battaglione, Eulalie Papavoine, Léontine Suetens, Joséphine Marchais erano in quella di rue de Lille

Adèle Chignon, già combattente del 1848, su quella del Panthéon

Blanche Lefèvre, combattente sulla barricata di rue des Dames venne uccisa il 23 maggio

la barricata di place Blanche fu difesa ferocemente da una compagnia di 120 donne.

Alla fine, diverse dozzine di donne furono selvaggiamente giustiziate dai Versaillesi. In genere rimangono sconosciute.

Victoire Tynaire

Sofia Kovalevskaïa

Il carcere è il destino più comune (70%) ma le pene variarono ampiamente da sei giorni all'ergastolo, con il caso più frequente a 5 anni, ma anche deportate in Nuova Caledonia, come Louise Michel.

Tuttavia, oltre a tutti coloro che furono giustiziate durante la Settimana sanguinante, furono arrestate 1051 donne per partecipazione alla Comune.

Dopo l’amnistia, alcune di loro continuarono la loro militanza politica. Al ritorno dalla deportazione, Nathalie Le Mel ha ripreso le sue attività sindacali e politiche. Ricevette una pensione da Rochefort ma la rifiutò quando lui si avvicinò al boulangismo. Morì all'ospizio del Bicêtre l'8 maggio 1921.

Victorine Brocher

Victorine Eudes

Louise Michel, divenuta anarchica, tenne conferenze in Francia e all'estero per incoraggiare il popolo a difendere i propri diritti e lottare per una società di giustizia fino alla sua morte, avvenuta il 9 gennaio 1905.

Joséphine Marchais era una vivandiera nel battaglione di Lost Children. Il 22 e 23 maggio era su una barricata in rue de Lille, con indosso un cappello tirolese e una pistola. Venne presa con le armi in mano. Condannato a morte dal 3° consiglio di guerra, la pena è stata commutata 2 mesi dopo in lavori forzati a vita. Venne deportata a Caienna.

Victorine Gorget


Sulle donne della Comune ci sarebbe tanto, tantissimo altro da dire e per questo vi rimando al blog:


https://lacomunediparigi.blogspot.com/ 



VIVA LE DONNE DELLA COMUNE!

VIVA LA COMUNE!