La rivoluzione? O è del popolo, per il popolo,
orizzontale, e senza delegati politici, oppure non è rivoluzione, ma mero
passaggio di potere da un governo a un altro per il mantenimento dell'identico
sistema. A dirlo è la Storia, a dirlo sono ad esempio le rivoluzioni francese e
russa, là dove il popolo, abituato a consegnarsi nelle mani di un'autorità, ha
concesso spazi, meriti e decisioni alle élites borghesi che,
opportunisticamente, hanno calvalcato l'onda rivoluzionaria, inizialmente
spontanea, fino a rimodellare il sistema gerarchico autoritario, rimettendo sul
trono i despoti. Chi, nel passaggio tra monarchia e repubblica, continua ancora
adesso a vederci un vero cambiamento è già spacciato, sarà ben pronto ad
accettare come buona soluzione un altro cambio di forma nominale, ma non di
sostanza. E dal momento che non sono poche le persone che credono ancora di
risolvere le questioni affidando il destino della rivoluzione nelle mani di
qualche rappresentante politico, ci sembra evidente che la non conoscenza tra rivoluzione sociale e rivoluzione
tout-court (aggettivata nei modi più vari) sfoci nel catastrofico e storico
nulla di fatto.
Una rivoluzione di popolo, profondamente sociale,
che ribalti l'intero sistema gerarchico e autoritario, sembra comunemente
un'utopia. Eppure di queste rivoluzioni sociali ne sono esistite (Parigi,
Ucraina, Spagna, Messico...) ancorché disintegrate dai cannoni di Stato. Il
modello quindi esiste, ma non compare sui libri di scuola, al suo posto viene
sempre presentato ed elogiato il modello della rivoluzione delegata. Riteniamo grave, in questo preciso momento
storico, non conoscere ad esempio quel che accadde a Kronstadt nel 1921, o in Spagna
nel 1936.
Molte persone credono nell'impossibilità
dell'autogestione. Ma se dovessimo prendere in considerazione quello che gli
storici prezzolati, volontariamente o no, evitano di scrivere, allora ci
troveremmo di fronte a centinaia di esempi in tutto il mondo dove
l'autogestione, l'auto organizzazione, l'anarchia, non sono state (e non sono)
soltanto parole. Di questi esempi ce ne dà conto anche Colin
Ward (architetto, insegnante, giornalista, scrittore) nel suo libro “Anarchia come organizzazione”. Ed è da
questo libro che estraiamo le righe seguenti, dove la testimonianza diretta
dell'economista Peter Wiles, di
fronte alla sua breve esperienza rivoluzionaria sociale in Ungheria nel 1956,
così afferma:
[Siamo di fronte a] 'una straordinaria purezza
morale, dove per alcune settimane si visse senza che fosse presente alcuna
autorità. In un'esplosione di autodisciplina anarchica la gente, compresi i
criminali, si guardò bene dal rubare alcunché, dal picchiare gli ebrei e
dall'ubriacarsi. Addirittura, gli unici casi di linciaggio riguardarono la
polizia segreta (AVH), mentre gli altri esponenti del Partito comunista
restarono incolumi...'
Un testimone
ungherese di quegli eventi dichiarò:
'Numerosi sono gli esempi di buon senso cui
assistetti per le strade in quei primi giorni della rivoluzione. C'erano code
per il pane che duravano ore senza che si verificassero litigi di sorta. Un
giorno stavo facendo la coda e arrivò un camion con due ragazzi armati di mitra
che chiesero se avevamo del danaro perché potessero comprare del pane per i
combattenti. Tra la gente accodata si riuscì a raccogliere danaro sufficiente
per riempire di pane almeno la metà del loro camion. E' solo un esempio. Dopo
un po' un uomo ci chiese di tenergli il posto nella coda perché aveva dato
tutto quello che aveva e doveva tornare a casa a prendere altri soldi; la gente
gli diede tutti i soldi di cui aveva bisogno. Un altro esempio: naturalmente, durante
il primo giorno di scontri, tutte le vetrine dei negozi erano state distrutte,
ma nessuno ne approfittò per rubare [...] Il terzo e il quarto giorno le
vetrine furono svuotate, ma cartelli annunciavano che la merce era stata
rimossa dai commessi o che si trovava in questo o in quell'altro appartamento'.
Nelle rivoluzioni sociali, il popolo che si
autogestisce acquista spontaneamente la fiducia in se stesso e in quella degli
altri, poiché matura in sé una coscienza
atavica volta alla responsabilità e alla cooperazione tra gli individui.
Anche durante la
Comune di Parigi, dove nessuno era delegato di/da nessuno, si era
creata quella che viene definita la
teoria dell'ordine spontaneo.
Così scrive Kropotkin in merito a
tale teoria, nel suo libro “La
conquista del pane”:
“I gruppi di volontari, organizzatisi in ogni
caseggiato, in ogni strada, in ogni quartiere, non avranno difficoltà a
mantenersi in contatto e ad agire all'unisono ... se i sedicenti teorici
‘scientifici' si asterranno dal ficcare il naso ... Anzi, spieghino pure le
loro teorie confusionarie, purché non venga loro concessa alcuna autorità,
alcun potere! E le meravigliose capacità organizzative di cui dispone il popolo
(che così raramente gli viene concesso di mettere in pratica) consentiranno di
dar vita, anche in una città grande come Parigi, e nel bel mezzo di una
rivoluzione, a una gigantesca associazione di liberi lavoratori, pronti a
fornire a se stessi e alla popolazione i generi di prima necessità. Date mano
libera al popolo, e in dieci giorni il rifornimento alimentare funzionerà con
la precisione di un orologio. Solo coloro che non hanno mai visto la gente
lavorar sodo, solo quelli che hanno passato la vita tra montagne di documenti,
possono dubitarne”.
La teoria dell'ordine spontaneo nasce dalla
constatazione, dalla messa in pratica dell'anarchia attraverso la rivoluzione
sociale. E se le esperienze rivoluzionarie anarchiche (senza autorità e deleghe)
hanno immediatamente, come prima cosa, garantito al popolo cibo e generi di
prima necessità, oggi possiamo quantomeno fare i dovuti paragoni.