Rinomata personalità della storia della geografia e del
pensiero politico, Elisée Reclus dovrebbe essere studiato come un pensatore vivente,
in quanto promotore di idee estremamente attuali. In primo luogo il geografo può
essere definito come il primo grande “teorico dell’ecologia sociale”, avendo trasformato
la geografia sociale in una complessiva visione del mondo, che individua gli stretti
legami esistenti fra società e ambiente naturale. La sua opera precorre i tempi
nell’analisi di diverse questioni ecologiche, come la deforestazione, la distruzione
del paesaggio, gli abusi dell’agricoltura industrializzata e il bisogno di una ricostituzione
ecologica dell’ambiente. Altrettanto pionieristica è la sua politica ecologica,
che lega la soluzione di problemi sociali ed ecologici alla necessità di una radicale
trasformazione politica ed economica della società. Reclus ci offre inoltre una
delle più complete analisi del problema del dominio nella storia del pensiero politico,
anticipando i risultati di studi successivi. Le sue convinzioni scaturiscono da
una filosofia della storia sottile e dialettica, che cerca di svelare sia gli elementi
di progresso sia quelli regressivi di ogni processo storico. Secondo Reclus ci si
muove verso una società libera e solidale, basata sull’amore per l’umanità, per
gli altri esseri viventi e per l’intero mondo naturale. Questa visione anarchica
esprime una prospettiva morale che prefigura sotto molti aspetti l’etica della cura
ed enfatizza l’importanza della trasformazione individuale per un più profondo cambiamento
della società.
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lunedì 21 agosto 2023
Elisée Reclus pensatore vivente
lunedì 27 marzo 2023
La geografia è la storia nello spazio, come la storia è la geografia nel tempo
Uno dei capisaldi del pensiero anarchico “classico” è dato dalla teorizzazione del carattere benefico della natura e della sua alterità rispetto alla storia. Mentre questa, a seguito delle lotte feroci condotte dagli uomini per avere il potere, presenta un’immagine di disordine e di cattiveria, la natura rivela invece, se giustamente interrogata, un’intrinseca armonia ed equilibro. La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e artificiali del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura, ovviamente, non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte sue manifestazioni esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se si instaura correttamente con essa un rapporto capace di cogliere l’intima razionalità che pervade la necessità del tutto. La premessa epistemologica reclusiana si fonda sull’idea di un nesso indissolubile che lega l’uomo all’ambiente, e dunque alla Terra. Vi è un rapporto simbiotico tra l’uno e l’altra perché l’Uomo ha le sue leggi come la Terra, leggi alle quali non può sottrarsi, anche se, ovviamente, ciò non implica che egli ne sia prigioniero. Senza cadere in alcuna forma di determinismo, l’uomo deve essere consapevole dei rapporti necessitanti che lo legano al tutto perché è solo grazie a tale consapevolezza che egli si emancipa dai lacci naturali. La geo-storia reclusiana, intenta soprattutto all’analisi delle strutture geografiche rinvenibili nei grandi spazi e nel rapporto fra evoluzione sociale e resistenze della struttura, vuole esaminare al rallentatore l’azione dell’uomo, al fine di cogliere la verità profonda della sua azione sul globo terraqueo, in quanto solo i grandi movimenti e le grandi strutture rivelano il senso generale della vita dei popoli e delle civiltà. Ciò non toglie, ovviamente, che in Reclus rimanga sempre centrale anche l’idea dei salti di qualità del processo evolutivo, salti che avvengono sia nella storia naturale, sia nella storia umana.
A suo giudizio alle lunghe e lente sequenze dell’evoluzione
seguono i brevi e intensi periodi delle rivoluzioni. Il rapporto tra evoluzione
e rivoluzione è un rapporto necessitante, nel senso che l’una è il complemento dell’altra.
L’evoluzione prepara la rivoluzione, questa, a sua volta, spiana la strada ad una
successiva evoluzione, attraverso una catena che non ha fine. L’infinita interazione
fra spazio e tempo, l’individuazione della processualità storica e di rotture, e
dunque il riconoscimento dell’impossibilità di un’esistenza strutturalmente gerarchica
della realtà a cui il mondo dovrebbe conformarsi, spingono Reclus al rifiuto di
ogni epistemologia altrettanto gerarchica e unidimensionale. L’indagine reclusiana
si situa nel più classico ambito metodologico anarchico secondo cui non esiste una
direzionalità univoca degli elementi della realtà, ma, appunto, un insieme assai
vasto e complesso di cause interagenti fra loro in una dialettica senza fine tra
natura e storia, tra natura e cultura.
L’analisi dell’interazione fra spazio e tempo porta Reclus alla formulazione di
una geografia globale che vuole essere un sapere volto alla delineazione di una
geograficità e di una geopoliticità. I termini ideologicamente anarchici del relativismo
e del pluralismo si traducono perciò nei cardini metodologici di un’indagine a tutto
campo. Questa sviluppa una scienza fisico-sociale che, tenendo conto dell’interazione
fra spazio e tempo, fra realtà naturale ed evoluzione umana, fra determinismo geografico
e relativismo storico, conclude che nei suoi rapporti con l’Uomo, la Geografia non
è altro che la Storia nello Spazio, così come la Storia è la Geografia nel tempo.
Sulla base di tale prospettiva, Reclus approda ad una sorta di interpretazione articolata
di tutta l’evoluzione umana e naturale. Si devono, a suo giudizio, attivare tre
fondamentali direttrici di ricerca: delineare la divisione fra le classi, individuare
la spontanea tendenza a ricomporre l’equilibrio sociale spezzato da questa divisione,
decifrare il contributo dello sforzo individuale nell’evoluzione collettiva. Abbiamo
così, in sintesi, un compendio dell’epistemologia anarchica. Posto infatti, come
abbiamo visto, il rifiuto di ogni interpretazione fondata su monocause, siano esse
economiche, politiche, geografiche, etniche o culturali, egli pone sullo stesso
piano analitico e valoriale la lotta sociale, il valore individuale, la spontaneità
storico-naturale di una ricerca oggettiva verso l’equità e l’uguaglianza. Insomma,
la storia è il risultato contemporaneo di più fattori, riassumibili nell’emancipazione
collettiva, nell’azione del singolo, nella naturale tendenza verso la giustizia.
mercoledì 24 agosto 2022
Pazienza, etica e tolleranza nel pensiero di Eliseo Reclus
Tra il difensore della giustizia e il complice del crimine
non ci son vie di mezzo! In questo campo, come in tutte le altre questioni sociali,
si pone il grande problema che si discute tra Tolstoi e gli altri anarchici, quello
della non-resistenza o della resistenza al male. Da parte nostra, pensiamo che l'offeso
che non resiste consegna in anticipo gli umili ed i miseri agli oppressori ed ai
ricchi. Resistiamo senza odio, senza rancore né spirito di vendetta, con tutta la
dolcezza serena del filosofo e la sua volontà intima in ciascuno dei suoi atti,
ma resistiamo!" (...) "Dal punto di vista rivoluzionario, mi asterrò dal
preconizzare la violenza e sono desolato quando degli amici trasportati dalla passione
si lasciano andare all'idea della vendetta, tanto poco scientifica, sterile. Ma
la difesa armata di un diritto non significa violenza" (...) "Quotidianamente
si compiono tante ingiustizie, tante crudeltà individuali e collettive che non ci
si stupirebbe di vedere nascere continuamente tutta una messe di odii... e l'odio
è sempre cieco" (...) "Naturalmente, ammiro la nobile personalità di Ravachol,
come si è andata rivelando persino durante gli interrogatori di polizia. È pure
superfluo aggiungere che considero ogni rivolta contro l'oppressione come un atto
buono e giusto. "Contro l'iniquità la rivendicazione è eterna". Ma dire
che "i mezzi violenti sono gli unici davvero efficaci", oh no, sarebbe
come dire che la collera è il più efficace dei ragionamenti! Essa ha la sua ragion
d'essere, ha il suo giorno e la sua ora, ma la lenta penetrazione della parola e
dell'affetto nel pensiero ha tutt'altra potenza. Già per definizione, la violenza
impulsiva non vede che lo scopo; sollecita la giustizia con l'ingiustizia; vede
"rosso", ossia l'occhio ha perduto la sua chiarezza. Ciò non impedisce
affatto che il personaggio di Ravachol, così come lo vedo io e come lo tramanderà
la leggenda, non sia una figura grandissima.
mercoledì 23 febbraio 2022
Il candidato visto da Eliseo Reclus
Reclus è sempre
stato anarchico sia per temperamento sia per principio, ma il suo anarchismo ha
acquistato in coerenza man mano che la sua analisi sociale si è ampliata
diventando una critica puntuale a ogni forma di dominio. Di questa critica, uno
degli aspetti più sviluppati è l’attacco devastante allo Stato, cui egli si oppone
in tutte le sue espressioni, non esclusa la finzione ideologica dello Stato
rappresentativo. Sebbene ancora nel 1871 sia disposto a presentarsi come
candidato all’Assemblea Nazionale, già da tempo è arrivato a opporsi al sistema
parlamentare nel suo insieme e per il resto della sua esistenza si rifiuterà di
votare alle elezioni nazionali, anche nella proverbiale ipotesi del minore dei
mali. Secondo lui, tutti coloro che cercano di esercitare il potere in uno
Stato-nazione centralizzato si espongono al rischio di essere assorbiti
all’interno di quel sistema di dominio. A suo dire, chiunque aspiri a una
carica pubblica, innalzato al di sopra della folla che ben presto impara a
disprezzare, finisce per considerarsi un essere sostanzialmente superiore;
sollecitato in mille forme dall’ambizione, dalla vanità, dall’avidità e dal
capriccio, diventa a maggior ragione facile da corrompere. Questa parabola,
egli nota, è favorita da un codazzo di adulatori interessati che è sempre in
caccia per approfittarsi dei vizi del potente. Le osservazioni di Reclus sul
processo di selezione dei candidati alle elezioni sono acutissime e si adattano
perfettamente alla cosiddetta democrazia rappresentativa dei nostri
giorni. Per conquistarsi un seguito, egli nota, il candidato a una carica
pubblica deve compiacere una molteplicità di fazioni, per cui inevitabilmente
le ambizioni vengono a galla, le manovre, le gare di promesse, le menzogne
hanno buon gioco: non è il più onesto di quelli che si propongono ai suffragi
che ha più probabilità di successo. In linea di principio il legislatore deve
essere specialista in ogni campo, per prendere decisioni in nome di tutti su
ogni argomento immaginabile. Ovviamente nessun candidato possiede tali capacità
in misura maggiore degli elettori. In pratica, ai candidati si chiede di essere
esperti nella scienza di essere eletti e nessuna capacità specifica raccomanda
il candidato agli elettori. Caratteristiche del tutto irrilevanti o arbitrarie
diventano essenziali per la vittoria elettorale: L’eletto dovrà il suo successo
a una certa popolarità locale, al carattere cordiale, alla capacità oratoria,
al talento organizzativo, ma frequentemente anche alla ricchezza, alle
relazioni familiari e persino, se grande industriale o grosso proprietario, al
timore che incute. I prodotti di questo sistema corrotto sono una serie di
persone mediocri, senza alcuna concezione del bene comune. Il politico di
successo più spesso sarà un uomo di partito: non gli si chiederà di
operare per il pubblico bene, né di facilitare i rapporti fra gli uomini, ma di
combattere questa o quella fazione. Il rischio più grave non è l’incompetenza
del corpo legislativo, ma il fatto che esso sia moralmente abbietto in
quanto dominato da politici di professione. I rappresentanti del
popolo prenderanno di sicuro decisioni di gran lunga peggiori, per il
popolo, di quelle che il popolo prenderebbe direttamente, senza il problema di
organizzare le elezioni. Dopo che sono stati eletti, questi sedicenti
rappresentanti sono ancor più liberi di agire al di fuori di ogni controllo
popolare.
Sapendo di non
dovere effettivamente rispondere a nessuno tra un’elezione e l’altra e ben
consapevole della propria impunità, l’eletto si trova immediatamente esposto a
ogni sorta di allettamenti da parte delle classi dominanti. I legislatori si
ritrovano in un mondo dominato dal potere e dalla ricchezza che è del tutto
estraneo alla vita reale del proprio elettorato. La forza di questo ambiente è
tale da travalicare tutti gli scrupoli che potrebbero frapporsi sulla via della
totale identificazione con l’élite politica, in quanto il nuovo arrivato
s’inizia alla tradizione legislativa sotto la guida di veterani del
parlamentarismo, adotta lo spirito di corpo, riceve le sollecitazioni della
grande industria, degli alti funzionari e, in modo particolare, della finanza
internazionale.
martedì 10 agosto 2021
Un'altra geografia possibile
Liberare lo spazio da questa innaturale sovrapposizione è il compito
di una geografia che voglia essere anarchica. Natura contro storia significa spazio
contro Stato, armonia tra uomo e natura significa, invece, spazio riconciliato con
la storia. E questa è esattamente, per Reclus, la società anarchica: la riorganizzazione.
senza autorità, dello spazio. La disarticolazione della logica gerarchica che irregimenta
il territorio statale deve avvenire individuando i gangli politici, militari ed
economici che costituiscono le basi stesse del "sistema nervoso" del dominio.
Liberato lo spazio dalla sovrapposizione autoritaria dello Stato, e quindi dai suoi
rapporti di forza del tutto innaturali, gli uomini dovranno organizzare la società
secondo quella unica "legge" che legittima un'osservanza universale: la
legge di natura.
Ma poiché. come abbiamo visto, la natura si modifica nel tempo a causa
dell' azione umana (è, appunto, la Storia che interviene sullo spazio), allora occorre
trovare una sintesi tra queste due istanze, sintesi capace di riportare il sociale
all' interno del naturale.
La via indicata da Reclus parte dall' idea federalistica della aggregazione
spontanea delle comunità umane.
In altri termini, lo spazio viene riorganizzato senza l'intervento dell'
autorità perché gli uomini che vi abitano non hanno bisogno di coercizioni per vivere,
visto che, «ad onta della violenza, la natura tende a rimettere ciascun popolo dentro
i confini naturali». Confini, beninteso, che non hanno nulla a che fare con quelli
rivendicati dalle varie culture nazionalistiche e patriottiche; questi confini,
infatti non esistono in natura, come invece pretendono tali ideologie.
La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e
artificiali del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura,
ovviamente,non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte
sue manifestazioni esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se
si instaura correttamente con essa un rapporto capace di cogliere l'intima razionalità
che pervade la necessità del tutto.