Il cittadinismo
è l’ideologia che meglio si adatta agli agglomerati urbani, dato che non ha
realmente bisogno di uno spazio pubblico per riprodursi, ma di qualcosa che gli
assomigli, una sorta di spazio formale e simbolico in cui rappresentare un
dibattito apparente. Affinché possa aver luogo un dibattito reale deve esistere
un pubblico reale, una comunità di lotta; ma una comunità di questo tipo – un
soggetto collettivo – è tutto il contrario di un’assemblea cittadinista,
aggregazione volatile di individualità mutilate che imita i gesti della
discussione diretta senza per questo andare a finire nella direzione richiesta,
dato che evita accuratamente il rischio sfuggendo il combattimento. Le sue
battaglie non sono che semplice chiasso e il suo eroismo nient’altro che una
posa. Una comunità di lotta – una forza sociale storica – può formarsi solo a
partire da una volontà cosciente di separazione, da uno sforzo disertore figlio
dell’opposizione totale al sistema capitalista o, che è lo stesso, dalla messa
in discussione radicale dello stile di vita industriale, cioè dalla rottura con
la società urbana. Disoccupazione giovanile o tagli del budget, il punto di
partenza non ha molta importanza se gli animi che si scaldano vanno tutti nella
stessa direzione; la cosa più importante è la conquista di un’autonomia
sufficiente per discostarsi dai canali stabiliti andando al fondo della
questione – la libertà – senza mediatori “responsabili” né tutori vigilanti. E
ciò non si ottiene che prendendo chiaramente le distanze dalla fazione del
dominio e preparandosi a una lotta lunga e ardua contro di esso.