Il processo di
mercificazione dell’acqua è diverso a seconda delle regioni climatiche e degli
usi ai quali, nel corso della storia, è stato destinato il liquido elemento
dagli esseri umani. In primo luogo, grazie al sole e all’acqua piovana la
fotosintesi colora di verde boschi e praterie, montagne e valli; tutte le
specie vegetali insomma sono di vitale importanza per l’alimentazione dei
mammiferi e degli uccelli che ossigenano il pianeta – non a caso la foresta
amazzonica è chiamata il polmone della Terra. Questa acqua che non conta come
fattore di produzione, nemmeno nelle più ingegnose contabilità ministeriali,
manca di prezzo; non è mai stata mercificata per il fatto che, fino ad oggi, la
pioggia è sfuggita al controllo della società tecnologica. L’acqua di qualità
non ha mai avuto un prezzo nelle regioni a clima mediterraneo. Nella penisola
iberica le leggi sull’acqua, cristiane e islamiche, tenevano conto dell’uso di
acqua potabile per le persone e per gli animali in modo che, per l’accesso alle
fonti e agli abbeveratoi anche quando si trovavano in terreni privati, i
signori della terra dovevano rispettare il diritto di passaggio affinché la
gente potesse saziare la sete e gli animali domestici abbeverarsi. D’altro
canto, l’acqua naturale immagazzinata in cisterne o estratta dalla fonte e da
pozzi vicini o all’interno dei nuclei urbani conservò nei secoli una buona
qualità per essere bevuta. Tutto ciò cambiò a partire dalla seconda metà del
XIX secolo con la rivoluzione industriale, la crescita delle città e,
successivamente, con l’industrializzazione dell’agricoltura che portarono alla
devalorizzazione dell’acqua naturale convertendola in un elemento scarso e
accessibile solo a prezzi alti. È bastato un secolo e mezzo perché la maggior
parte della popolazione delle regioni mediterranee (così come di quasi tutto il
mondo) dovesse pagare per l’acqua di qualità, della quale ha bisogno
obbligatoriamente per vivere.