Occorre di
mettersi di taglio alla costellazione della miseria delle democrazie formali.
Infrangere lo spettacolo delle ideologie nelle teste di legno della società
opulenta. Bisogna tenere sempre presente che le istituzioni non sono sorte per
caso, ma per compensare la debolezza di chi vi partecipa. E in questo assolvono
una funzione storica. Ma ogni istituzione si fonda sul sacrificio dei suoi
membri, si nutre di vita umana. Si tratta quindi di porgere un invito a
mordere, incamminarsi verso i giorni della gioia dove ogni individuo potrà
sfoderare il proprio sogno nei colpi di ritorno contro i potentati che tengono
le briglie e i giochi del proletariato arreso. Occorre muoversi nei percorsi
accidentati del contrasto e andare a produrre un disordine linguistico/figurale
dell’ordine apparente.
Diventare il
produttore del film della propria vita.
Il rifiuto di
essere schiavo è ciò che veramente cambia il mondo.
Né dei né miti.
La persona che si ribella e che poi tende al rivoluzionamento lo fa, come causa
prima, in risposta ad esigenze ed emozioni in origine del tutto personali e di
stretta contingenza alla sua condizione. Solo in un successivo, secondo tempo le
sue medesime esigenze ed emozioni, incontrandosi, integrandosi, completandosi
con analoghe situazioni reclamanti altre necessità e scaturenti da altrettante
motivazioni, daranno luogo alla collettivizzazione dell’atto, che da rivoltoso
si tramuterà così in rivoluzionario. È un discorso che si sviluppa contro il
certo, l’ideale, l’alchimia della politica e il terrorismo della Borsa. Il
gesto estremo, a volte disperato dei ribelli, coglie nel coraggio di minoranze
bastonate, carcerate, uccise, le tracce di una differente esistenza. La rivolta
si apre al rischio di vivere pericolosamente il rapporto tra idea e azione.