Se la scienza è
una lotta, l’anarchia ne è il fronte più avanzato, e in questo senso
l’originalità dei geografi anarchici è che l’affermazione dei valori
solidaristici nella società non avviene a partire da una scissione che la
biologia, ma dalla applicazione alla società degli stessi metodi. “L’Anarchia è
una concezione dell’Universo, basata sull’interpretazione meccanica dei
fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita delle società. Il
suo metodo è quello delle scienze naturali; e secondo questo metodo ogni
conclusione scientifica dev’essere verificata.” Ma questo implica che cadano i
dogmi a causa dei quali una serie di pregiudizi impedisce, per gli scienziati
anarchici dell’Ottocento, di considerare la vera natura dell’uomo. Uno di
questi pregiudizi è legato alla presunta perversità naturale del genere umano,
ispirata all’idea dello stato di natura hobbesiano, ancora affermato ai tempi
di Kropotkin da vari scienziati positivisti: “Tutta la filosofia del secolo XIX
continuò a considerare i popoli primitivi come branchi di bestie feroci, che
vivevano in piccole famiglie isolate e si battevano contendendosi il cibo e le
femmine.” Secondo Kropotkin, questo pregiudizio non è altro che un retaggio
delle idee di peccato originale o colpa originaria propagandate dalle diverse
chiese, mentre lo studio delle società primitive, da parte dei geografi
anarchici, dimostra che contrariamente quanto insito nella nostra educazione
religiosa e giuridica, l’uomo lasciato a se stesso non diventa affatto una
bestia feroce pronta a sbranare i suoi simili, ma tenta di sviluppare strategie
di adattamento alla sua situazione anche e soprattutto tramite la cooperazione
coi medesimi.