
L’interesse ad
educare la propria prole è antico ma si è dovuto attendere l’età moderna per
vedere un sistema razionale di repressione, controllo e ridimensione del Sapere.
L’idea di fondo della scolarizzazione istituzionale è che gli uomini non
nascono uguali, ma lo diventano grazie ad un periodo di gestazione nel ventre
della scuola, che guida a staccarsi dal proprio ambiente naturale, per
approdare nella società civile come idonei cittadini-consumatori.
La
scuola-istituzione, oltre a trasformare il sapere in merce e le attività umane
in prestazioni professionali, è riuscita a legittimare la gerarchia del
privilegio e del potere – nel medioevo affidata al favore del re o del papa –
attraverso l’istituto liberale dell’istruzione obbligatoria che autorizza colui
che è ben scolarizzato a considerare colpevole chi resta indietro nel consumo
di sapere, in quanto dispone di un titolo inferiore.
Si è compiuto il
paradosso del servo che non riesce più a vivere senza l’obbedienza al padrone
e, con una adeguata colonizzazione dell’immaginario fornita dai media, nemmeno
più immaginarsi senza catene. Né l’alchimia né la magia sono in grado di
risolvere il problema dell’attuale crisi, che non sta nell’Aula bensì
nell’Istruzione-Istituzione.
Occorre
descolarizzare la nostra visione del mondo, e per arrivare a questo dobbiamo
riconoscere il carattere illegittimo e religioso dell’impresa scolastica in se
stessa. La sua hubris sta nel proposito di fare dell’uomo un essere sociale
sottoponendolo a un trattamento entro un processo predeterminato.