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martedì 20 marzo 2018

Voto, cambiamento, prospettive.


La vittoria del Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche denota un voto di protesta sensibile alle sirene populiste, forse post-ideologico, ma che proviene sicuramente una richiesta di cambiamento. Dall’altro lato c’è un rafforzamento della Lega, che assorbe voti di Forza Italia e fascisti, e frena quelli delle frange più estreme interne od esterne alla coalizione.
Si può parlare di uno spostamento a destra in una situazione in cui da anni il liberismo ha cancellato buona parte dei diritti sociali, dalle pensioni alle norme sul lavoro, ridotto i servizi, dalla sanità alla scuola ai trasporti, rapinato i redditi più deboli in favore delle minoranze ricche, adottato politiche securitarie e sostanzialmente razziste in materia di immigrazione? Il PD, che ha assicurato queste politiche di destra, ora ne paga lo scotto poiché da questo partito gli elettori si attendevano “qualche parola di sinistra”.
Il fallimento della lista della sinistra in doppio petto di Liberi e Uguali ci indica come all’interno della macchina elettorale le posizioni che si richiamano al socialismo non trovano più sponda. L’astensionismo ha ulteriormente accresciuto la sua quota attestandosi sul 27% (37% in Sicilia), segno che, nonostante tutto, i tentativi di intercettarlo da parte sia dei 5 Stelle che del centro destra che, soprattutto da parte dei gruppi della cosiddetta sinistra antagonista (tutti assieme rastrellano l’1,5%), sono miseramente falliti.
Al momento in cui scriviamo le prospettive di formare un governo sono abbastanza nebulose; se non si attua una qualche ammucchiata difficilmente ci sarà un nuovo governo e si dovrà tornare a votare. E’ anche vero che, viste le dichiarazioni di responsabilità che in questi momenti tutti si affrettano a fare, l’ammucchiata PD-centro destra, o 5 Stelle-PD, o Lega-5 Stelle, o un governo di minoranza con appoggio esterno, potrà alla fine prevalere, con il pretesto della stabilità, o magari con lo scopo di modificare la legge elettorale.
Le due formazioni uscite comunque vincenti (5 Stelle e Lega) hanno adottato le posizioni più vicine alla pancia degli elettori, pur continuando a rassicurare banchieri e capitalisti sulla loro serietà e responsabilità. In materia di reddito di cittadinanza, di abolizione della legge Fornero, di lavoro, di tasse, si sono sbilanciati alquanto rincorrendo l’elettorato; i primi giocando sul fatto di essere ancora vergini di esperienza governativa; i secondi accentuando i toni canaglieschi e xenofobi facendo leva sulle difficoltà della gente in questi anni della crisi economica. Ciò però ci indica che, al di là dei risultati, la società mantiene una forte esigenza di riscatto, che emerge dalla crescente astensione e dai voti espressi, ma che questa esigenza non è raccolta dai partiti storici della sinistra, oramai in pieno naufragio. Nemmeno le forze che si muovono sul piano extraparlamentare ed extraistituzionale, tuttavia, riescono a offrire una prospettiva adeguata, se non in misura settoriale e localistica, e questo pone più di un interrogativo sulle strategie adottate, sulla capacità di tessitura sul territorio, sulla messa in pratica di percorsi di reale unità d’azione.
Lo abbiamo scritto in uno degli articoli sulla vicenda elettorale di Potere al Popolo: probabilmente il maggior disagio provato da questi settori è stato, nel tempo, quello di sentire che i propri sforzi nelle lotte quotidiane cozzassero con la difficoltà di potere incidere sulla società nel suo insieme; l’abbiamo definita una questione legittima e che sentiamo tutti come pregnante. Le soluzioni adottate per cercare di dare una risposta, però, ci sono sembrate inadeguate e fuorvianti. Con la voglia di cambiamento espressa dal voto; con l’enorme sfiducia che quasi un terzo della popolazione che non vota, esprime, c’è sicuramente molto spazio per agire dal basso, a partire da un collegamento di tutte le iniziative e le realtà sociali, unica via per dotarsi di prospettive autentiche di cambiamento.

Pippo Gurrieri