
Siamo di fronte a uno scontro tra la metropoli e il territorio che ha la pretesa di colonizzare e per ironia della storia la causa della libertà, la ragione e il desiderio hanno abbandonato le città, per rifugiarsi in campagna, e da lì lanciare il contrattacco alle forze antistoriche domiciliate nelle conurbazioni. Lontano dei centri del commercio, quindi lontano dalla mercificazione del vivere e dalla statalizzazione dell’esistenza, lo spazio e il tempo riacquistano un qualche significato e permettono agli individui di recuperare la memoria e cooperare contro l’ingiustizia capitalista costruendo, se si oltrepassa l’orizzonte delle piattaforme, una nuova identità di sfruttati ancorata al territorio, quindi alla loro condizione concreta di abitanti, non alla condizione astratta di cittadini. Tale identità non deve aspirare a fornire una cornice più regolata al mercato degli alloggi e dei terreni, ma ad abolire qualsiasi relazione mercantile; nemmeno pretenderà di integrare il regime tecnocratico, che ama chiamarsi “democrazia” quando altro non è che totalitarismo dissimulato, ma sostituirlo con una vera democrazia di base, orizzontale, diretta, comunitaria, auto gestionale.