Il filone reazionario della presenza contadina nella storia russa è spezzato dalla makhnovcina, la rivoluzione libertaria ucraina che prende nome da Nestor Makhno e che affonda le sue radici nella tradizione dei ribelli e della comune agricola. Nato a Gulae-Pole nel 1889, da poverissima famiglia contadina, Nestor Makhno era stato successivamente custode di vacche, lavoratore agricolo e operaio. Nella prigione Butirky di Mosca divenne amico di Piotr Arsinov, un vecchio operaio metallurgico ed ex bolscevico convertitosi all’anarchismo, il quale fece conoscere al giovanissimo ribelle le idee di Kropotkin e Bakunin. Liberato nel febbraio 1917, Nestor ritornò al paese natale per organizzare un’associazione di contadini di Gulae-Pole.
Gulae-pole era allora una cittadina di circa 30.000 abitanti, con diverse fabbriche. Un certo sviluppo della produzione e del commercio dei cereali aveva fatto sì che in questa zona scarsamente popolata si affermasse l’uso di manodopera salariata e di macchine al posto dei servi.
L’associazione dei contadini di Gulae-Pole s’impadronì delle terre dei latifondisti locali e le distribuì tra i contadini poveri. Vennero fondate comuni a partecipazione volontaria con 100-300 membri. Gli operai gestirono le piccole fabbriche e i cereali vennero scambiati con i manufatti delle città.
Per difendere questa piccola società anarchica, Makhno organizzò unita guerrigliere a cavallo capaci di grande mobilità e dotate di mitragliatrici montate su piccoli carri trainati da cavalli (tacanki). Si trattava di guerriglieri che potevano riunirsi con grande rapidità e disperdersi altrettanto rapidamente tra i contadini che li avvertivano in caso di attacchi controrivoluzionari. I comandanti erano in maggioranza contadini, ma non mancavano gli operai.
Alla fine del 1919, momento di maggior diffusione del movimento makhnovista, gli effettivi qi questa armata anarchica superarono le cinquantamila unità, che disponevano di armi strappate al nemico, compresi cannoni, treni e autoblinde. Dal 1917 al 1921 la bandiera nera dell’anarchia sventolò libera al vento proteggendo i lavoratori liberati dal lavoro salariato: la makhnovcina, forza di combattimento autonoma, funzionava come una repubblica di tacanki. Essa si rifiutò di accettare la cessione dell’Ucraina all’Austria - Ungheria e ai suoi alleati ucraini, che i bolscevichi avevano dovuto subire col trattato capestro di Brest – Litovsk.
In diverse occasioni Makhno aveva collaborato con i bolscevichi per respingere l’invasione dei russi bianchi, e nell’autunno del 1919 aveva dato un contributo fondamentale alla sconfitta del generale Denikin che avanzava al nord. Ma profonde restavano le differenze di metodo, di ideologia, di pratica politica e sociale. Trotzki, il fondatore e capo dell’Armata Rossa, era impegnato nella costruzione di un saldo potere rivoluzionario centrale, e aveva definito banditi i seguaci di Makhno. Né Trotzki né Lenin potevano ammettere l’esistenza di una forza alternativa organizzata. Il governo aveva messo in giro informazioni deformate su Makhno e nell’intera URSS bastava essere tacciato di makhnovista per rischiare la fucilazione.
Nel 1921 al primo congresso dei Sindacati Rossi, il leader bolscevico Bukharin intervenne per difendere le misure repressive del governo, accusando tutti gli anarchici di essere dei banditi che avevano lottato armi alla mano contro il governo di Mosca.
(continua)