..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

giovedì 1 dicembre 2016

Fidel Castro: quando i miti son duri a morire

In una certa parte della sinistra circolano, su Cuba, alcuni miti e alcuni luoghi comuni difficili non dico da rimuovere ma perlomeno da scalfire. Si tratta, perlopiù, di idee preconcette e pesantemente inquinate dall’ideologia, che si manifestano anche in altri ambiti: quando, per esempio, si parla degli Stati Uniti o del conflitto arabo-israeliano. Questi pregiudizi e queste gabbie mentali entrano in gioco anche quando si parla di Cuba. Occorre pertanto, a mio avviso, sgombrare il terreno dagli equivoci e affrontare, punto per punto, le principali obiezioni che vengono comunemente mosse a chi si permette di criticare il regime dispotico di Fidel Castro.
Una prima obiezione che viene avanzata consiste nel ritenere poco opportuno affrontare problemi come la violazione dei diritti umani a Cuba, mentre nel mondo imperversano ben altrimenti gravi violazioni di diritti umani. Resta nondimeno vero che tali violazioni sono effettivamente commesse a Cuba, e a chi, ancora oggi, nello Stato cubano, subisce la mano pesante della repressione del regime credo sia di poca consolazione sapere che in altre parti del mondo si stiano usando, nei riguardi di altri popoli, gli stessi sistemi o anche peggiori. Qualunque violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei cittadini merita a mio giudizio di essere denunciata: a Cuba come in Turchia, in Italia come in qualunque altro paese.
Una seconda obiezione consiste nel ritenere gli Stati Uniti e il loro embargo la causa principale delle sofferenze del popolo cubano. Di fronte all’embargo, sostengono i difensori della dittatura rossa, ben poca cosa risultano le misure di polizia prese da Fidel Castro contro i suoi oppositori. A questo proposito rispondo con le parole scritte dallo scrittore Mario Vargas Llosa: «qualunque embargo economico, da parte di un solo paese, sebbene tanto potente come gli Stati Uniti, è una burla. Se Cuba fosse in condizioni di farlo, potrebbe comprare tutti i prodotti manifatturieri (...) di cui necessita dalla Francia, dalla Spagna, dal Canada, dalla Germania, dall’Italia, dal Giappone, dalla Corea del Sud e da dozzine di altri paesi ansiosi di vendergliele e, molti di essi, a prezzi più competitivi di quelli delle industrie nordamericane», se ciò non avviene, continua poco oltre Vargas Llosa, «ciò accade solo perché la penuria economica dell’isola la rende priva di denaro per pagare le merci in contanti e priva di qualsivoglia credibilità per ottenere prestiti di qualunque specie. Il motivo principale del collasso economico di Cuba non ha nulla a che vedere con l’imperialismo nordamericano, ma con il socialismo cubano».
Un’altra obiezione può essere sintetizzata dall’idea che, nonostante i suoi “difetti”, la rivoluzione cubana (cioè la dittatura di Fidel Castro) debba essere comunque difesa per le conquiste sociali che essa ha conseguito; tali conquiste sociali (si citano, di solito, soprattutto l’istruzione e la sanità) porrebbero Cuba all’avanguardia rispetto a molti altri paesi dell’America centro-meridionale, governati anch’essi da dittature ma mancanti di quel minimo di servizi pubblici essenziali di cui invece godrebbero i sudditi di Fidel Castro. Come anarchico e come libertario, sono dell’idea che le dittature debbano essere condannate senza se e senza ma: senza alcuna reticenza. Nessuna conquista sociale può giustificare la privazione delle libertà fondamentali dei cittadini e la violazione sistematica dei loro più elementari diritti. Se io dico: «a Cuba non c’è libertà» non è una risposta dire «a Cuba ci sono molti laureati». Vale a dire: può darsi che a Cuba ci siano molti laureati, o molti ospedali, o molte scuole, ma questa non è un’obiezione alla constatazione che a Cuba manchi la libertà. Con questo, non voglio naturalmente sostenere che scuole, ospedali e altri servizi sociali siano elementi accessori o poco importanti per una società che voglia dirsi civile: tuttavia è del tutto evidente che non è necessario impiantare dittature o Stati totalitari per far funzionare i servizi pubblici.
La recente scomparsa di Fidel Castro non è detto che provochi automaticamente la caduta del regime. Il controllo dell’economia e della struttura militare è saldamente in mano al fratello Raúl. Già da tempo, c’è una parte consistente dell’apparato che è preoccupata e pensa seriamente al da farsi nel caso in cui le cose si mettano male. Gli anarchici di tutto il mondo possono dare il proprio contributo ad accelerare l’agonia del regime e a restituire al popolo cubano una libertà che gli spetta, come spetta a qualunque altro popolo del mondo. In un recente comunicato, il Movimento Libertario Cubano, esule negli Stati Uniti, «reclama, dai suoi compagni anarchici a livello mondiale, la solidarietà e la richiesta di libertà del nostro popolo e che coloro che ancora lo mantengono rompano finalmente il mutismo complice con la dittatura castrista. Il potere non lo sostiene un solo uomo. Sicari della repressione, eunuchi intellettuali e collaboratori silenziosi fuori e dentro Cuba sono i complici colpevoli di mantenere in catene un popolo da più di cinquant’anni. È ora che come anarchici reclamiamo e proclamiamo la libertà e la giustizia. Speriamo che tutti i compagni di tutti i paesi che non lo hanno ancora fatto si uniscano a questa protesta collettiva contro il dispotismo castrista e occupino il loro posto tra gli esseri umani liberi del mondo».
Che dire alla fine, posso comunque piangere il Fidel rivoluzionario che è riuscito a far sollevare un popolo, ma quel Fidel è morto il 2 gennaio del 1959, il giorno successivo alla vittoriosa rivoluzione; ma non piango assolutamente l’altro Fidel Castro, quello nato lo stesso 2 gennaio 1959, vale a dire quello che si è fatto Stato, quello che ha tradito la rivoluzione in cui credevano tutti i cubani, quello che si è trasformato in un sanguinoso dittatore. A tal proposito porto l’esempio di Che Guevara che, da perfetto rivoluzionario, non sentendosi a suo agio nelle vesti di uomo di governo, si dimise dalle cariche ricevute dopo la rivoluzione, quella di Ministro dell’industria e di presidente della Banca Nazionale di Cuba, per continuare a fare la rivoluzione nel resto del mondo fino a trovare la morte.