Nel mondo delle
macchine, stiamo diventano macchine a nostra volta. Come tanti automi
telecomandati siamo chiamati soltanto a seguire le istruzioni che ci vengono
impartite e ad adempiere ai comandi imposti.
Non c’è un
dittatore umano che ci costringa a trasformarci in congegni dal rendimento
utile, è la mentalità che abbiamo acquisito che ci dirige: la nostra
educazione, la nostra istruzione, la nostra accettata libertà vigilata, i
nostri sbrigativi rapporti con gli altri (e con noi stessi), la nostra indotta
convinzione di non poter fare altrimenti. L’inganno che ci confina al ruolo di
cinghie di trasmissione del Grande Motore, trova nell’ideologia della Macchina
la sua stessa natura svelata, persino etimologicamente.
Se nel mondo
delle macchine stiamo diventando macchine è anche perché nel mondo delle
macchine noi non esistiamo più. E questa progressiva espulsione dell’umano dal
mondo degli umani è semplicemente inarrestabile, se non fermando la tecnologia
per intero. La tecnica, infatti, può solo correre verso la via di una sempre
maggiore invasione della tecnica, è nella sua logica. Conseguentemente, più
aumenterà l’uso di ritrovati di tecnologia, più saranno questi ultimi a
prendere il sopravvento sulla vita, incrementando ogni nostra distanza
emozionale verso le sorti del mondo. Figlia della logica stessa che la produce
(logica della perfezione meccanica, dell’efficienza operativa, della velocità
di esercizio, dell’ordine e dell’obbedienza), la tecnologia è l’incarnazione
del mondo che la promuove e la diffonde. Ne supporta dunque tutti i valori,
tutte le categorie, tutte le forme di alienazione. Parlare di tecnologia
significa parlare di divisione del lavoro, di specializzazione, di efficienza e
competitività, di produttività, di sviluppo, di dominio sulla Natura. Significa
parlare di accentramento delle funzioni, di dipendenza dal mercato, di
freddezza ed operatività, di distanza emozionale, d’inflessibilità,
d’irresponsabilità, appunto. Che sono, guarda caso, valori opposti a quelli
portati dall’attrezzo: e cioè flessibilità, decentramento, relazione,
eguaglianza, responsabilità, autonomia (autonomia dagli esperti, dal mercato,
dal lavoro produttivo). Insomma, la tecnologia è tutt’altro che neutrale, e
l’idea che essa sia soltanto un fenomeno neutro non è un’idea diffusa a caso:
serve a convincere. Ci spinge cioè a sottovalutare il potere invasivo e
pervasivo della tecnologia, la sua capacità manipolativa (dell’ambiente ma
anche della percezione umana) e quindi ci induce a credere che essa non sia un
problema ma un’opportunità. La tecnologia, invece, è un problema. Un grosso
problema!
Quello che si
dovrebbe aver chiaro è che quando si parla di “tecnologia”, si parla di
schiavitù. Una simile chiarificazione, peraltro, consente di rispondere da sola
al quesito che qualche favoreggiatore di un eco-mondo-tecnologico non manca mai
di porre per cercare un conforto alla propria visione ideologica: è possibile
fare un uso sostenibile di tecnologia? Basta mettere le parole giuste al loro
posto e la risposta viene da sé: è forse possibile fare un uso sostenibile
della schiavitù?