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sabato 13 gennaio 2018

La nascita del sistema rappresentativo

«[…] Il sistema rappresentativo fu cosa ignota alle antiche civilizzazioni. Le sue origini rimontano all’oscura epoca del medioevo, allorché il cristianesimo e la feudalità si dividevano la direzione del gregge umano. La posizione dei “villani” diventava alle volte impossibile, essi delegavano a qualcuno dei loro a presentare la lista delle loro lamentele al signore. Questi poveri paria personificavano allora, di fronte al diritto assoluto e divino, la miserabile esistenza della gleba governata. Era la prima rappresentanza; l’Inghilterra ne fu la culla. Appena terminata la sua missione (ammesso che ne fossero tornati vivi uscendo indenne all’ira a volte omicida del signore del feudo, aggiungiamo noi), questa misera delegazione si scioglieva; e non si sa precisamente per quale oscuro lavoro dei secoli, si sia trasformata nelle potenti assemblee parlamentari odierne […]» (Tratto da Cronaca Sovversiva, Barre U.S.A., 7 ottobre 1905).
Negli archivi della monarchia inglese, si trovano le documentazioni di più umili e tutt’altro che democratiche origini del sistema rappresentativo. Vi si trova, per esempio, un’ordinanza  del re Enrico III, che risale al 1254.
I nobili –i Lords temporali e spirituali- vanno ancor oggi personalmente e di diritto a sedere in parlamento, dove rappresentano se stessi e la classe che insieme costituiscono. Col documento su citato, Enrico III invitava il Lords a prendere il loro posto nel Parlamento e, inoltre impartiva agli sceriffi di tutte le contee del regno, l'ordine di provvedere a che «si presentino davanti al Consiglio del Re due buoni e discreti Cavalieri che gli uomini della contea avranno scelto a questo scopo, in luogo e vece di tutti loro, onde esaminare insieme a i cavalieri delle altre contee quali aiuti dare al re». (Da Enciclopedia Britannica, voce: Representation).
Qui si trova già l'essenza del sistema rappresentativo in regime di privilegi economici e politici. Non sono i "villani" che prendono l'iniziativa di mandare i propri rappresentanti al re, ma è il re che ordina, per mezzo dello sceriffo, l'invio dei rappresentanti al Consiglio, e non vuole che siano villani, prescrive che siano "buoni e discreti cavalieri". Il re vuole che i fondi che saranno stanziati in suo favore, abbiano il consenso dei rappresentanti del popolo, ma lo sceriffo deve vigilare a che tali rappresentanti siano persone perbene, cioè ligie al re. In altre parole, il re si preoccupa non già che i rappresentanti eletti dalle contee rappresentino gli uomini delle contee stesse; si preoccupa, invece, rappresentino gli interessi del re.
La finzione della rappresentanza politica è già trasparente in quel vecchio documento. Nella generalizzazione attuale del sistema rappresentativo cambiano i nomi, ma la sostanza è la stessa.
Provate a sostituire le seguenti parole con queste altre:
il re con lo Stato (cioè banchieri, assicuratori, imprenditori, petrolieri, i padroni e i poteri forti insomma);
il Consiglio del Re con Camere Deputati e Senato;
gli sceriffi del re con i partitir politici o con i sindacati;
i buoni e discreti cavalieri con i candidati delle liste elettorali o sindacali;
i villani con gli elettori (operai, contadini, pescatori, impiegati, precari, cassintegrati, disoccupati, licenziati, casalinghe, pensionati, studenti … ecc)
aiuti da dare al re con tasse o più ore di lavoro per il padrone;
portate adesso la scena dal 1254 al 2018 … Cosa c’è di diverso?
Il popolo sovrano elegge i suoi rappresentanti, ma i suoi rappresentanti (come i buoni e discreti cavalieri di Enrico III d’Inghilterra) devono essere innanzitutto buoni cittadini, devoti all’ordine costituito, cioè rispettosi del diritto della proprietà privata, dei monopoli capitalistici della ricchezza sociale, dell’autorità dello Stato, vale a dire devono rappresentare non la volontà, le aspirazioni o gli interessi di coloro che li eleggono, ma il dominio, l’autorità e i privilegi che l’ordine costituito consacra e protegge.
Il sistema rappresentativo è, in ultima analisi, un congegno ideato per dare ai governanti, privati  dall'investitura divina, le apparenze di un'investitura popolare. Il potere politico ha le sue radici nel potere economico e, finché questo rimanga monopolio di piccole minoranze onnipotenti, è fatale che sia utopico sperare nel trionfo di una vera democrazia, dove la gestione della cosa pubblica sia veramente opera del popolo e beneficio del popolo stesso. Con la rappresentanza il popolo si crede libero, ma si sbaglia molto; lo è solamente durante le elezioni dei membri del Parlamento, finite le elezioni ritorna ad essere schiavo, ritorna a non essere più nulla.