
Negli Stati Uniti, o per relativo
paradosso in altri paesi a regime dittatoriale, dal 1894 non si celebra il 1°
Maggio. E’ stato sostituito dal Labor Day che si celebra invece il primo lunedì
di settembre ed è stato completamente ripulito da ogni valenza di
rivendicazione sindacale e dei diritti sociali.
Dal 1891, quindi, la ricorrenza fu resa
permanente e in Italia fu soppressa durante il ventennio fascista, quando fu
sostituita dal Natale di Roma, il 21 aprile, per poi essere ristabilita nel
1945. Il 1947 fu segnato dalla pagina più sanguinosa con la strage di Portella
della Ginestra, in provincia di Palermo, nel corso della manifestazione
organizzata da duemila lavoratori agricoli della zona di Piana degli Albanesi:
qui, per mano del bandito Salvatore Giuliano morirono undici manifestanti e
ventisette restarono feriti.
Da quasi vent'anni a questa parte, il
primo maggio nella capitale ha perso ogni connotato di giornata di lotta
e viene celebrato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, anche con il tradizionale
concertone che si tiene a piazza San Giovanni.
Tra le manifestazioni alternative al 1°
maggio “ufficiale” di Roma, ci sono storicamente la “Festa del non lavoro” che
si tiene dal 1983 al centro sociale Forte Prenestino di Roma e la May Day a
Milano che ci svolge dalla fine degli anni Novanta ponendo al centro le
questioni della precarietà e del reddito. Nelle città diverse da Roma, si
tengono invece manifestazioni per il 1 Maggio organizzate dai sindacati di base
Per ricordare i lavoratori uccisi nel 1886, per ricordare i
braccianti uccisi per mano di Salvatore Giuliano (ma come mandanti Stato e
mafia), per ricordare tutti i morti sul lavoro, il 1° Maggio non deve essere la
festa dei lavoratori, ma deve ritornare ad essere una giornata di lotta. Una
giornata di sciopero generale, dichiarato per la parità dei diritti di
tutti i lavoratori comunitari ed extracomunitari, uomini donne gay e lesbiche,
per il salario garantito, per la riduzione dell’orario, per il lavoro
assicurato a tutti, contro il lavoro nero e lo sfruttamento dei soliti pochi su
i sempre più numerosi molti.