In questo
scritto breve pubblicato nella rubrica Rilievi del giornale L’Adunata dei
Refrattari del 12 Ottobre 1935 sotto la firma L’Orso, Berneri mette in luce la
stupidità di taluni pseudo-anarchici che prendono l’anarchia come mezzo per
coprire il loro menefreghismo nei confronti di tutti e come scusa per imporre
agli altri il loro comportamento da “cafone cretino”, per usare le parole
stesse dell’autore.
“Benché urti
associare le due parole, bisogna riconoscere che esiste un cretinismo
anarchico. Ne sono esponenti non soltanto dei cretini che non hanno capito
un'acca dell'anarchia e dell'anarchismo, ma anche dei compagni autentici che in
esso sono irretiti non per miseria di sostanza grigia bensì per certe bizzarrie
di conformazione celebrale. Questi cretini dell'anarchismo hanno la fobia del
voto anche se si tratti di approvare o disapprovare una decisione strettamente
circoscritta e connessa alle cose del nostro movimento, hanno la fobia del
presidente di assemblea anche se sia reso necessario dal cattivo funzionamento
dei freni inibitori degli individui liberi che di quell'assemblea costituiscono
l'urlante maggioranza, ed hanno altre fobie che meriterebbero un lungo
discorso, se non fosse, quest'argomento, troppo scottante di umiliazione. Il
problema della libertà, che dovrebbe essere sviscerato da ogni anarchico
essendo il problema basilare della nostra impostazione spirituale della
questione sociale, non è stato sufficientemente impostato e delucidato. Quando,
in una riunione, mi capita di trovare il tipo che vuole fumare anche se
l'ambiente è angusto e senza ventilazione, infischiandosene delle compagne
presenti e dei deboli di bronchi che sembrano in preda alla tosse canina, e
quando questo tipo alle osservazioni, anche se cordiali, risponde rivendicando
la "libertà dell'io", ebbene, io che sono fumatore e per giunta un poco
tolstoiano per carattere, vorrei avere i muscoli di un boxeur negro per far
volare l'unico in questione fuori dal locale o la pazienza di Giobbe per
spiegargli che è un cafone cretino.
Se la libertà anarchica è la libertà che non viola quella altrui, il
parlare due ore di seguito per dire delle fesserie costituisce una violazione
della libertà del pubblico di non perdere il proprio tempo e di annoiarsi
mortalmente. Nelle nostre riunioni bisognerebbe stabilire la regola della
condizionale libertà di parola: rinnovabile ogni circa dieci minuti. In dieci
minuti, a meno che non si voglia spiegare i rapporti tra le macchie solari e la
necessità dei sindacati o quella tra la monere haeckeliana e la filosofia di
Max Stirner, si può, a meno che si voglia far sfoggio di erudizione o di
eloquenza, esporre la propria opinione su una questione relativa al movimento,
quando questa questione non sia di... importanza capitale. Il guaio è che molti
vogliono cercare le molte, numerose, svariate, molteplici, innumerevoli ragioni,
come diceva uno di questi oratori a lungo metraggio, invece di cercare e di
esporre quelle poche e comprensibili ragioni che trova e sa comunicare chiunque
abbia l'abito a pensare prima di parlare. Disgraziatamente accade che siano
necessarie delle riunioni di ore ed ore per risolvere questioni che con un po'
di riflessione e di semplicità di spirito si risolverebbero in una mezz'ora. E
se qualcuno propone, estremo rimedio alla babele vociferante, un presidente, in
quel regolatore della riunione che ha ancor minore autorità di quello che abbia
l'arbitro in una partita di foot-ball, certe vestali dell'Anarchia vedono... un
duce. Per chi questo discorso? I compagni della regione parigina che hanno,
recentemente, affrontato la spesa e la fatica di recarsi ad una riunione da non
vicine località per assistere allo spettacolo di gente che urlava
contemporaneamente intrecciando dialoghi che diventavano monologhi per la
confusione imperante e delirante, si sono trovati, ritornando mogi mogi verso
le loro case, concordi nel pensare che la gabbia dei pappagalli dello zoo
parigino è uno spettacolo più interessante.
Quando degli
anarchici non riescono ad organizzare quel problema meno difficile di quello
della quadratura del circolo, di esporre a turno il proprio pensiero, un
regolatore diventa indispensabile.
Questa è quella
che io chiamo l'auto-critica. Ed è diretta a tutti coloro che rendono
necessario un regolatore di riunioni anarchiche. Cosa che è ancora più buffa di
quello che pensino coloro che se ne scandalizzano. Molto buffa e molto grave. E
grave perché resa, molte volte, necessaria proprio là dove dovrebbe essere
superflua.”
Camillo Berneri