![]() |
Carcere Pietroburgo |
Il trattamento che ricevette qui avrebbe distrutto una
fibra meno solida della sua. Gli vennero negati
ogni assistenza legale e il permesso di scrivere e ricevere lettere. Poteva
disporre soltanto di mezz'ora di “aria” al giorno, durante la quale passeggiava
su e giù per il corridoio guardato a vista da sei uomini armati di fucile. Non poteva
neppure raggiungere il cortile per l'aria, perché le autorità temevano che con la
sua oratoria ormai leggendaria egli potesse
convincere gli animi e suscitare sommosse. Ma neppure queste inumane persecuzioni
tranquillizzano le autorità. Dopo nove mesi di questo trattamento si sparge la voce
che gli amici del rivoluzionario hanno un piano per liberarlo. Di conseguenza Bakunin
viene trasferito alla fortezza di Olmiitz e incatenato al muro. Due mesi dopo, un
tribunale militare Io condanna per alto tradimento. Ancora una volta il potere cerca
di disfarsi di Mikhail Bakunin: la condanna è all'impiccagione. Ma ancora una volta
avviene qualcosa che rimanda l'appuntamento
con la morte. Bakunin era un ufficiale russo: e lo zar lo richiese perché voleva
ammazzarlo lui. Gli austriaci lo accompagnarono alla frontiera e lo consegnarono ai russi, che lo caricarono di catene
ancora più pesanti. L'eroe giovanile e romantico si avvia a diventare un martire.
Lo zar lo fece rinchiudere nella fortezza Pietro e Paolo di Pietrogrado, e la tortura
gli estorse una di quelle «confessioni» di cui sono specialiste le polizie segrete
e di cui il potere si serve per umiliare gli avversari politici. Verso il 1840,
Bakunin aveva scoperto il socialismo e l'anarchismo francesi, all'incirca un paio
d'anni prima di Marx; e come Marx, a contatto delle idee francesi aveva ripudiato
l'ideologia tedesca. Ora vuole «la Chiesa universale e autenticamente democratica
della libertà», paradigma dell'aspirazione
rivoluzionaria del suo secolo. Ma dopo l'isolamento, la catena, la tortura, la galera,
tutto ciò, insomma, che gli ha fatto cadere i capelli e i denti, ha un solo problema:
riacquistare la libertà personale per continuare la lotta. Non vuole più marcire
nell'umida gabbia che non gli consente neppure di stare diritto in piedi. La sua
confessione allo zar Nicola I ha dunque un carattere strumentale: ingannare il tiranno,
uscire di galera. Ma Bakunin non è un uomo capace di mentire: in lui anche il calcolo,
il cinismo politico si colorano di una patetica vena di autenticità, come quando
ammette che aveva potuto credere alla rivoluzione finale «solo con uno sforzo sovrannaturale
e doloroso, soffocando a forza la voce intima
che mi sussurrava l'assurdità delle mie speranze».
«Ora auspico una dittatura illuminata ma
impietosa, esercitata per il popolo».
Davanti allo zar
Bakunin evoca il sogno di un impero slavo rivoluzionario. Il tono è ossequiente
in modo palese, ostentato. Ma si tratta solo di doppio gioco per ingannare lo zar
e riavere quella libertà che serve al rivoluzionario per ordire la caduta dello
zarismo? Questa è la molla contingente e forse la fondamentale, ma Bakunin è un
russo, e i suoi modelli politici sono quelli panslavi ereditati dalla tradizione,
e rafforzati dalla forza di convincimento della galera e della tortura. Quando la
sorella più amata andò a trovarlo, Bakunin le fece passare un biglietto disperato: «Non potrai mai capire che
cosa significa sentirsi sepolto vivo, dire a se stesso a ogni momento del giorno e della notte: sono uno
schiavo, sono annientato, ridotto all'impotenza a vita, udire nella propria cella
i prodromi della prossima lotta che deciderà gli interessi più vitali del genere
umano ed essere forzato a rimanere inattivo e silenzioso, essere ricco di idee,
alcune delle quali, almeno, potrebbero essere belle, e non poterne attuare nemmeno
una; sentire l'amore in petto, si, l'amore, a dispetto della pietrificazione esteriore,
e non poterlo spendere per niente e per nessuno, sentirsi pieno di devozione e di
eroismo verso una causa sacra e vedere il proprio entusiasmo che s'infrange contro
quattro mura nude, uniche mie confidenti». Il doppio gioco, le suppliche della famiglia
Bakunin non servirono. Lo zar aveva deciso: il rivoluzionario doveva morire.