In questo blog abbiamo già parlato della “strage di Bronte” avvenuta nel 1860 da parte dei garibaldini comandati da Nino Bixio nei confronti dei contadini che, forti della promessa (mai mantenuta) di Garibaldi di distribuire terreni ai contadini, avevano occupato le terre appartenenti alla chiesa e ai nobili. Ma quella di Bronte non fu la sola fatta in nome dell’Unità d’Italia, un’altra strage è stata fatta a Gaeta tra il 1860 e il 1861 da parte dell’esercito piemontese.
Il Re borbone Francesco II aveva abbandonato Napoli il 6 settembre 1860, il giorno prima che vi entrassero i garibaldini, rifugiandosi in una fortezza a Gaeta dove resteranno 6 mesi, tre dei quali sotto i bombardamenti dell’esercito sabaudo. I cannoni piemontesi iniziarono a sparare dal 13 novembre. Ai primi di dicembre scoppiò un’epidemia di tifo che aggiunse vittime a quelle provocate dai proiettili. A metà mese, dopo che Francesco II aveva permesso ad un terzo dei suoi uomini di mettersi in salvo via mare, i bombardamenti aumentarono e, per abbattere il morale dei difensori, il Generale piemontese Cialdini fece cannoneggiare anche chiese, ospedali, case. A metà gennaio 1861 Cavour si accorda con Napoleone III per il ritiro delle navi francesi, che fino a quel momento avevano impedito l’assedio via mare. La flotta piemontese blocca così l’arrivo di rinforzi e di cibo.
L’artiglieria sabauda, il 6 febbraio, centra un magazzino di munizioni facendo esplodere 7 tonnellate di polvere da sparo e 42000 cartucce: muoiono 316 artiglieri napoletani e 100 civili. Cinque giorni dopo Francesco II, per risparmiare ai suoi uomini ulteriori lutti e sofferenze, incarica il governatore della piazzaforte di negoziare la resa. Cialdini continua a bombardare. La capitolazione avviene il 13 febbraio 1861: l’assedio era costato 367 caduti ai piemontesi e migliaia ai napoletani.
Quasi un secolo e mezzo dopo, nel 2008, a Gaeta vinsero le elezioni comunali una lista civica e il Partito del Sud fondato da Antonio Ciano.
Ciano ha chiesto ai Savoia, come risarcimento per la città, la stessa cifra che i Savoia pretendevano dallo Stato italiano per l’esilio subito: 270 milioni di euro. Naturalmente Gaeta non li vedrà mai, come non ebbe mai i risarcimenti chiesti allo Stato dal 1861 al 1914.
La città non si risollevò più, perché i danni peggiori vennero dopo i bombardamenti. Per scaldarsi dal freddo, i piemontesi avevano abbattuto centomila olivi e carrubi, patrimonio della zona. Poi visto che non c’erano più olivi, smontarono i frantoi per portarli al nord. Il commercio marittimo venne disfatto: dalle partenze dei pescatori, ai bastimenti, ai cantieri navali. Gran parte della popolazione fu costretta ad emigrare e oggi, sostiene il sindaco, ci sono più gaetani in Massachusetts che a Gaeta.