A Torino il 27
ottobre 1906 si stipulava un contratto collettivo di lavoro fra la FIOM e la
fabbrica di automobili Itala e si istituiva, a dirimere le eventuali
controversie circa l’applicazione del contratto, un organismo aziendale chiamato
commissione interna: organismo strettamente aderente alla vita della fabbrica,
composto da operai della fabbrica, eletto dalle maestranze della fabbrica. La
C. I. si poneva dunque in una posizione autonoma in rapporto alle
organizzazioni orizzontali e verticali del sindacato, anche se talvolta
assumeva un ruolo ancor più collaborazionista del sindacato stesso.
Tuttavia proprio
la C.I. doveva rappresentare la base organica sulla quale si sarebbe poi
elevato il Consiglio di fabbrica.
Infatti
nell’immediato dopoguerra ed esattamente nell’agosto 1919, sempre a Torino, nel
maggior stabilimento della FIAT, alla FIAT-Centro, si dimette la commissione
interna in carica e si apre il problema della sua reintegrazione.
In sede di
discussione prevale la proposta di un allargamento di detta commissione
realizzabile attraverso l’elezione di un commissario per ogni reparto. Alla
FIAT-Centro vengono così eletti ben 42 commissari, pari ai 42 reparti in
attività. Questi 42 commissari costituiscono il primo Consiglio di fabbrica.
Il contributo
degli anarchici all’elaborazione della teoria dei Consigli si può compendiare
in queste due essenziali aggiunte teoriche:
Solo nel corso
di un periodo rivoluzionario i Consigli possono avere una efficienza
rivoluzionaria, possono costituirsi in mezzi validi per la lotta di classe e
non per la collaborazione di classe. In periodo controrivoluzionario i Consigli
finiscono per essere fagocitati dall’organizzazione capitalistica, non sempre
avversa ad una cogestione morale da parte dei lavoratori. Perciò avanzare dei
Consigli in un periodo controrivoluzionario significa lanciare degli inutili
diversivi e pregiudicare gravemente la formula stessa dei Consigli di Fabbrica,
come parola d’ordine rivoluzionaria;
I consigli
risolvono a metà il problema dello Stato: espropriano lo Stato delle sue
funzioni sociali, ma non ledono lo Stato nelle sue funzioni antisociali,
riducono lo Stato ad un pleonasmo ma non eliminano questo pleonasmo, svuotano
l’apparato statale del suo contenuto ma non lo distruggono. Ma poiché non si
può vincere lo Stato, ignorandolo, in quanto esso può far sentire in ogni
momento la sua presenza mettendo in moto il suo meccanismo di coazione e
sanzione, occorre distruggere anche questo meccanismo. I Consigli non possono
compiere questa operazione e perciò richiedono l’intervento di una forza
politica organizzata, il movimento specifico della classe, che porti a termine
tale missione. Solo così si può evitare che il borghese, cacciato dalla porta
nelle sue vesti da impresario, rientri dalla finestra travestito da poliziotto.