Il carattere
principale della nostra epoca è l’alta velocità che hanno assunto le merci,
siano esse prodotti industriali, informazioni o essere umani ridotti alla
condizione di lavoratori-consumatori. Le reti telematiche, telefoniche e
satellitari, le rotte del traffico aereo, automobilistico, ferroviario e
marittimo stanno ingabbiando in modo sempre più accelerato la quasi totalità
dello spazio e del tempo e con essi i sogni e i bisogni degli uomini: sembra
non esserci più via di uscita, un altrove, in un mondo ovunque uguale a se
stesso.
Per cambiare
questo mondo occorre costruire assieme la pratica del rifiuto unilaterale
dell’esistenza imposta dal capitalismo globale, attraverso l’autogestione delle
proprie vite e l’autoproduzione singola e collettiva di quanto ci chiedono
necessità e desideri, passando per l’autocostruzione dei luoghi in cui vogliamo
vivere e dei modi in cui vogliamo interagire. Abbandonare il proprio posto
nella catena ciclica del consumo di oggetti, spettacoli, per inventare nuovi
modi di produzione e distribuzione, di autogestione dei luoghi in cui si abita
attraverso decisioni minime, locali e condivise, sperimentare ognuno nei propri
mondi arti e mestieri, quello di vivere liberi. Le nostre accademie e
laboratori saranno palazzi e orti, boschi e acque. Anche se narcotizzata nella
drogheria mediatica, un’insofferenza al modello di vita imposto e propagandato
come democratico insorge nei modi più disparati, dappertutto: si aprono brecce,
scoppiano ire, sfoghi di violenza ma anche sommosse, rivoluzioni, senza
obiettivi né palazzi d’inverno. Sarà dura e toccherà a ciascuno, con le sue
ragioni e la sua sensibilità, rendere questa avventura appassionante.