
Trump aveva annunciato il ritiro delle truppe
statunitensi dal Nord della Siria. Di fatto un via libera alla Turchia, che non
ha mai fatto mistero delle proprie mire espansionistiche nelle zone controllate
dalle milizie YPG e JPG a difesa della rivoluzione confederale, femminista ed
ecologista, cominciata nel luglio del 2012.
Il piano è chiaro: ripetere l’operazione che due
anni fa ha condotto all’occupazione di Afrin, dopo aver ottenuto il via libera
dalla Russia, la potenza egemone in quel cantone del Rojava. Ad Afrin, dopo
l’invasione, è in atto un’occupazione militare durissima. Pulizia etnica e
reinsediamento di jhaidisti, nei territori, che proprio le milizie del Rojava
avevano liberato dall’Isis.
L’annessione alla Turchia di Afrin è ormai un dato
di fatto, mentre si allungano le fila della diaspora curda.
Nelle città del Rojava confederale Erdogan intende
dispiegare tutte le sue armi, per poi fare il via alla colata di cemento con la
quale da quasi vent’anni si garantisce una vasta rete clientelare.
L’accordo tra Erdogan e Trump prevede che i
prigionieri di Daesh vengano consegnati alle autorità turche: in questo modo
migliaia di miliziani dello Stato Islamico potrebbero riacquistare la libertà e
riorganizzarsi. Il cerchio si chiude: la Turchia in questi anni ha aiutato
economicamente e sostenuto sul campo di battaglia le varie formazioni salafite
in Siria.
Una nuova guerra di espansione serve al raiss
turco per mantenere un consenso che mostra le prime vistose crepe. L’elezione
di un suo oppositore alla guida di Istanbul, la principale metropoli turca, due
volte ribadita dalle urne, è una grossa spina nel fianco del padre e padrone
della Turchia.
Da tre giorni c’è un bombardamento aereo turco al
confine tra Iraq e Siria, nella zona di Semalka.
Ci sono informazioni discordanti rispetto alla
possibile chiusura dello spazio aereo del Nord Est della Siria nei confronti
della Turchia da parte degli Stati Uniti.
Il raiss di Damasco non si pronuncia, ma è facile
immaginare che il prezzo per un suo intervento, sarebbbe lo stesso chiesto e
non ottenuto dai curdi prima dell’invasione di Afrin. Una variabile importante
è però il fatto che il via libera ad Afrin venne concesso alla Turchia dal
potente alleato russo, mentre ora il Grande Gioco vede una diversa disposizione
delle pedine. Non per caso l’Iran ha già condannato l’operazione militare
turca.
Negli Stati Uniti scoppia il caos tanto nel
partito democratico quanto in quello repubblicano con molti esponenti della
politica USA che contestano la mossa di Trump sulla Siria.
L’info di Blackout ne ha parlato con Paolo
Pachino, già volontario in Rojava per due anni.
Contro di lui ed altri due miliziani torinesi, la
Procura ha richiesto la sorveglianza speciale. Il prossimo 15 ottobre ci sarà
udienza e presidio al tribunale di Torino.