Verso la fine degli anni Sessanta, la società rurale
siciliana era caratterizzata da forti squilibri sociali e da un pesante sfruttamento
dei lavoratori agricoli. Da un lato la riforma agraria del 1950 aveva spezzato i
gruppi di potere economico e politico provocando la fuga della grande proprietà
latifondista; dall'altro però, solo enti statali e speculatori privati ne avevano
tratto giovamento.
Per diventare proprietari dei terreni a loro assegnati,
le famiglie dovevano pagare per trent'anni una rata mensile, che quasi sempre si
rivelava troppo onerosa.
Nel '68 – '69 le masse meridionali furono così coinvolte
nella più grande rivolta dell'intero paese che interessò scuole, fabbriche e campagne:
il suo obiettivo principale era la necessità di creare nuovi rapporti di produzione
non più basati sulla discriminazione di classe.
La lotta intrapresa dai lavoratori agrari della provincia
di Siracusa e a cui parteciparono anche i braccianti di Avola iniziò il 24 novembre
1968, e rivendicava l'aumento della paga giornaliera, l'eliminazione delle differenze
salariali e di orario fra le due zone nelle quali era divisa la provincia, l'introduzione
di una normativa atta a garantire il rispetto dei contratti e l'avvio delle commissioni
paritetiche di controllo.
Gli agrari rifiutarono di trattare con il Prefetto sull'orario
e sulle commissioni, non presentandosi alle diverse convocazioni e facendo così
proseguire lo sciopero in un clima di tensione sempre più alto. Il 2 dicembre Avola
partecipò in massa allo sciopero generale; i braccianti iniziarono dalla notte i
blocchi stradali sulla statale per Noto, con gli operai al loro fianco. Intorno
alle 14, il vicequestore Samperisi ordinò al reparto Celere giunto da Catania di
attaccare: la polizia cominciò quindi un fitto lancio di lacrimogeni, ma per effetto
del vento il fumo gli tornò contro, diventando così un ottimo bersaglio per una
fitta sassaiola.
Senza esitare, i militi cominciarono a sparare sulla
folla: il bilancio fu di due braccianti morti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia,
e 48 feriti, di cui 5 molto gravi.
Sul posto furono trovati quasi tre chili di bossoli.
Verso mezzanotte il ministro dell'Interno Restivo convocò una riunione fra agrari
e sindacalisti, che durò fino al giorno dopo. Il contratto venne firmato, le richieste
dei braccianti furono accolte.
La spontanea risposta all'eccidio di operai, lavoratori, studenti fu massiccia in tutto il paese. Il 4 dicembre le confederazioni sindacali indirono una giornata nazionale di lotta. Fabbriche, città e campagne si fermarono. Da più parti si chiese il disarmo degli agenti in servizio di ordine pubblico.
L'inchiesta giudiziaria fu archiviata nel novembre 1970, poi arrivò l'amnistia per i lavoratori. Nulla si è mai saputo degli esiti dell'inchiesta amministrativa.