Bookchin si
forma da un punto di vista culturale e politico in coincidenza con la crisi
economica del ’29, con la guerra di Spagna del ’36 e nel crogiuolo delle lotte
operaie che si sviluppano durante il New Deal statunitense prima della seconda
guerra mondiale. La sua formazione intellettuale, politica e sindacale è in
questo periodo profondamente influenzata dal marxismo militante di quegli anni.
Solo dopo la guerra, in corrispondenza con l’avvio della più grande fase di
espansione economica capitalistica della storia, Bookchin assume decisamente
dei punti di vista libertari, anarchici ed ecologici. Di fronte all’incapacità
della sinistra marxista, dei socialisti e dei comunisti - che durante gli anni
Trenta avevano conosciuto una vasta popolarità ed influenza sui settori di
classe più colpiti dalla crisi, influenza testimoniata dai quasi due milioni di
voti che complessivamente raccolgono alle elezioni del ’32 - di organizzarsi in
opposizione politica e sociale radicale in un periodo segnato, tra l’altro, dalla
famosa caccia alle streghe di McCarthy. Due sono i terreni di riflessione che
Bookchin individua a dimostrazione delle evidenti potenzialità distruttive
dello sviluppo capitalistico: la crisi della città e la degradazione
dell’ambiente naturale. La potente trasformazione della città avviatasi agli
inzi del ‘900, dalla quale hanno origine, come sostiene anche Mumford, le prime
metropoli - ambienti urbani che si strutturano attorno ai ghetti e che si
riproducono sulla base di separatezze, antagonismi e campanilismi - è il primo
evidente processo di dissoluzione di un’antica solidarietà che era
profondamente radicata tra le classi popolari, tra gli operai ed i proletari
dei quartieri storici cittadini, solidarietà basata essenzialmente su un agire
e su rapporti essenzialmente comunitari. L’utilitarismo ottocentesco, al quale
si rifanno in sostanza le dottrine neo-classiche dell’economia di mercato,
sosteneva che la società si fondava sulla messa in comune di scopi di utilità
economica, come il guadagno ed il profitto, che a loro volta fondavano un
sistema di rapporti contrattuali nei quali il principio del vantaggio reciproco
diveniva implicito. Bookchin, invece, sostiene con forza che la coesione dei
rapporti sociali si è fondata per lungo tempo sulla solidarietà, sul minimo
irriducibile e sull’ usufrutto, concetti che potrebbero sostituire ancor oggi
il nostro sacro concetto di possesso e di utilità. La fenomenologia della città
ben rappresenta la regressione della comunità umana da consociazione liberamente
scelta e fondata sul senso della socializzazione dell’agire politico, ad
associazione sociale basata sull’interesse, sull’utilità e sulla delega allo
stato della definizione della normatività sociale. Parallelamente all’analisi
della città, Bookchin avvia la sua prima riflessione sulla questione ecologica.
Per primo egli intuisce che la crisi ecologica è generata dai rapporti di
produzione capitalistici; in definitiva è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo
che giustifica ed organizza lo sfruttamento della natura Una società
gerarchica, sostiene Bookchin, ha una visione gerarchica anche della natura; ma
allo stesso tempo l’idea di una natura organizzata in modo autoritario,
gerarchico e competitivo rafforza gli istituti dominanti della stessa società.
Per questo, a suo avviso, occorre che si ritorni ad una visione diversa della
natura, ad una filosofia della natura oggettiva che ne riporti i preponderanti
caratteri di solidarietà, ricchezza, mutualismo ed abbondanza. Per Bookchin
diventa assolutamente necessario, per superare le secche in cui si dibatte il
movimento, mutare il luogo stesso del conflitto sociale, trasferendolo dalla
fabbrica alla società, cioè dal luogo della produzione, spazio che in realtà
non è mai stato momento di liberazione, al luogo della socializzazione politica
per eccellenza, la comunità cittadina.