..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 30 agosto 2023

Perché continuare a delegare? (parte 2)

Non esistono governi buoni:

...e come sarà mai possibile che il destino di un Popolo stia in buone mani, quando la scelta de' ministri si farà da una corte o mediatamente o immediatamente! Sarà un prodigio o un mero azzardo se verrà scelto un uomo dabbene”. (Si è mai realizzato il prodigio? Quante altre ere storiche sareste disposti ad aspettare prima di veder compiuto questo prodigio, se mai si compirà? O lasciate che sia il caso a decidere per voi?)

Verri ragiona sulle varie possibilità di governo, anche quello eletto dal popolo, non esclude nulla, e dopo aver preso in considerazione persino l'utopia di un governo presieduto da un animo buono, dice:

ma gli uomini anche buoni talvolta cessano di essere tali, e il maggior pericolo di prevaricare è appunto quando sono rivestiti di un pubblico potere”. (Non circola forse quel proverbio che dice “l'occasione fa l'uomo ladro?”)

La cosa su cui insiste il Verri, in più punti del testo e persino nel titolo, è anche il fatto che su questi argomenti egli non abbia studiato alcun libro, come a dire che anche gli ignoranti sono capaci di decodificare questi concetti:

Queste sono le idee che non ho cavate dai libri ma nella solitudine, ragionando con me medesimo, e scavando, come dissi, nel mio cervello per trovarvi la verità”.

Alla fine del Settecento, l'idea di una “repubblica” era paragonabile a quella di un'anarchia. La repubblica, nel suo originario senso (oggi nascosto, cassato del tutto) veniva davvero considerata essenzialmente un'utopia. Ed è rimasta un'utopia, visto che oggi le repubbliche sono tali soltanto nominalmente (come le “democrazie”), sono cioè diventate custodie in ottone lucidato per contenervi subdole dittature. Ma il Verri adopera la parola “repubblica” nel senso vero e originario, nell'idea anarchica di una gestione diretta e popolare della società. E dopo aver stabilito che la forma migliore di governo è quella in cui il popolo detiene il controllo di tutto, termina il discorso in questo modo:

Se qualch’altro mi rimproverasse, perché nel mio scritto non vi sia civismo, io mi limiterò a invitarlo, perché dia in questi tempi alla Patria de’ consigli più opportuni de’ miei”.

Insomma, da allora sono passati 227 anni, ci sembra che di governi ne abbiamo visti e sopportati abbastanza. Aspettiamo ancora? E se non vi bastano 227 anni possiamo andare ancora indietro nella Storia, dove troveremo un grande Etienne de la Boétie (XVI secolo) che parla in merito alla condizione di “servitù volontaria” del popolo, troveremo Diogene (412 a.C.), fino a trovare le antichissime genti oppresse da quegli imperi che i media definiscono impropriamente, ma astutamente, “civiltà” (babilonesi, sumeri, egizi, ittiti, assiri, ecc.). Insomma, per dirla alla Verri, se scorriamo gli ultimi 3000 anni di Storia ci troveremo sempre di fronte a “una popolazione che sin ora non ha saputo far altro se non soffrire con sommessione”. Cosa vi fa illudere ancora che una vostra delegazione di vampiri possa darvi la libertà, la pace e la giustizia che meritate?

domenica 27 agosto 2023

Perché continuare a delegare? (parte 1)

 

Ci dicono: “ma come potete ottenere l'anarchia se viviamo circondati da gente mafiosa e profittatrice, aggressiva e malvagia? Siate realisti!” Così ci dicono. Intanto, tra parentesi, facciamo notare quel “potete” che è come dire: fate da soli che a noi non interessa (qualunquismo opportunista). Ma continuiamo.

La questione va ribaltata: quella stessa domanda che in molti ci pongono, in realtà siamo noi per primi a rivolgergliela, lo facciamo da sempre, e a ragion veduta. Quindi la ribadiamo ancora per tutti: “come potete voi, o elettori, continuare a credere di trovare un vostro rappresentante, quando siamo circondati da vampiri malvagi e profittatori?” Non sarete piuttosto voi gli utopisti, dal momento che non è mai esistito nella storia un solo governo che abbia garantito al popolo pace, giustizia, libertà? E come potrebbe? È un controsenso pretendere giustizia e libertà da un'istituzione preposta al comando e al controllo della massa. Siate voi i realisti, piuttosto.

È inutile cercare nella memoria, per davvero non è mai esistito un solo governo che abbia restituito ai cittadini ciò che spetta loro, ciò che apparteneva a loro per diritto naturale. Semmai i governi tolgono, rubano alla gente, è il loro compito, sono servili strumenti dello Stato. Se invece di cercare nella memoria cercassimo negli archivi, nelle biblioteche, ci accorgeremmo che il lamento del popolo è antico quanto lo Stato e i governi, ci si lamenta praticamente da 3000 anni circa (prima vivevamo in florida anarchia). Ma guardateli bene i libri di storia scolastici, cercatene il sottotesto, non sono altro che la summa delle lotte per la sopravvivenza dei popoli che protestano contro tutti i governi e che, con l'inganno, vengono mandati a morire per conto dei sovrani (ma astutamente alla gente viene detto che si muore “in nome del popolo sovrano” e di una “libertà”che però rimane sempre un'utopia).

In Italia la storia dei lamenti del popolo va ben oltre il 1861. Se andiamo indietro nel tempo ci accorgiamo che i governi regionali, di qualsiasi natura e nome, hanno avuto le stesse caratteristiche dei governi attuali sedicenti “democratici”. Eletti o non eletti, i sovrani e i ministri non fanno altro che opprimere il popolo, derubandolo. E saremmo noi anarchici i sognatori e gli utopisti? In poco più di centocnquanta anni (dalla Comune di Parigi), nonostante tutti gli ostacoli, tutte le censure, tutti i soprusi che ci tocca subire, abbiamo dimostrato più volte cosa voglia dire governo del popolo, pace, giustizia e libertà. La stessa cosa non si può dimostrare in 3000 anni di sistema statale. Fate voi. (valga questo esempio per tutti).

Ma prendiamo soltanto il governo di Milano subito dopo gli anni della Rivoluzione francese, nel 1796, cioè 65 anni prima dell'unità d'Italia. È stato ritrovato un testo di quell'anno, scritto da Pietro Verri (filosofo, economista, storico, politico) per la rivista “Termometro politico della Lombardia”, dal titolo “Pensieri d'un buon vecchio, che non è letterato”, che è una raccomandazione al popolo milanese e in cui Verri evidenzia le stesse nefandezze che tutti noi denunciamo oggi circa i ministri e i loro governi.

Copiamo pari pari, anche la punteggiatura, partendo dall'inganno della rappresentatività. Dice Pietro Verri:

“...quando un sovrano pretende d'esser padrone d'uno stato, tutti gli abitanti di quello stato sono nelle mani dei ministri che nomina quel sovrano”. (Non è sempre stato così?)

Verri si sofferma ad analizzare questi ministri (“cortigiani”), ed emerge non solo la loro immoralità, ma anche il loro unico scopo che è quello di arricchirsi:

I cortigiani in massa son gente, o divorati dalla smania di figurare senz'alcun merito, ovvero sono pieni di debiti e non di raro di delitti; e questo miserabile stato dell'animo loro è quello che li costringe a starsene con faccia ridente e sommessa, nell'abituale adorazione del sovrano; a trangugiare con serenità i bocconi più amari, a non avere altra opinione fuori di quella che conduce alla fortuna”. (Non è sempre stato così?)

Segue il modo in cui, nel governo, ministri e privilegiati vari si autopercepiscono l'un con l'altro:

Ivi un animo fermo e robusto dee essere odiato: un animo candido e leale deve essere deriso: un animo sensibile vi passerà per imbecille. Vidi e conobbi anch'io le inique corti”. (Avete conosciuto nella Storia corti diverse da queste?).

giovedì 24 agosto 2023

Gli anarchici e l’emigrazione italiana in Brasile

L’esodo delle masse lavoratrici europee che nella seconda metà dell’800 emigrarono nelle Americhe portò con sé tutti quegli elementi culturali che contraddistinguevano le popolazioni che ne furono protagoniste, compresa quella serie di apparati filosofici e ideologici sorti dopo la Rivoluzione francese, fra cui spiccavano per importanza e diffusione il socialismo e l’anarchismo. Chi professava in patria queste dottrine era spesso soggetto alla persecuzione delle oligarchie dominanti e “l’esilio” nelle Americhe poteva rappresentare una valida alternativa al carcere. Questo esilio, più o meno volontario, degli attivisti anarchici europei era spesso visto di buon occhio dagli stessi governanti, che potevano considerare l’emigrazione come un’ottima valvola di sfogo per alleggerire la pressione sociale in Europa. Per quanto riguarda gli italiani, l’emigrazione di massa nei primi anni si diresse maggiormente verso l’America Latina, e in modo particolare verso il Brasile. Accadde così che numerosi piccoli intellettuali della penisola, militanti di ideologie ritenute sovversive o in qualche modo foriere di rinnovamento sociale, si ritrovassero nel Paese sudamericano a svolgere la propria propaganda in un contesto completamente nuovo, in cui le oligarchie dominanti erano costituite essenzialmente dalla nobiltà di origine coloniale (ma non solo), mentre gli strati socialmente più bassi della popolazione erano formati dai nativi, spesso ex schiavi neri, a cui si aggiungevano gli emigrati di origine europea. Nella città di São Paulo la propaganda anarchica veniva svolta tramite conferenze, dibattiti, rappresentazioni teatrali di carattere didattico (i testi più frequentemente rappresentati erano i drammi di Pietro Gori, benché anche i militanti locali producessero una discreta quantità di letteratura didascalica), ma soprattutto tramite la redazione di giornali e foglietti di propaganda. Nel periodo che va dal 1892 al 1920 si contano più di venti differenti testate italiane dichiaratamente anarchiche, alcune delle quali ebbero durata pluriennale, come a “La Birichina”, “La Battaglia” o “La Lotta Proletaria”. Il tentativo di coinvolgere il proletariato in forme di lotta collettiva si scontrava fondamentalmente con due difficoltà, una endogena e l’altra esogena rispetto alla società brasiliana. La prima era costituita dalle caratteristiche pre-moderne dei rapporti di lavoro nelle fazendas brasiliane (le piantagioni di caffè): la proprietà della terra era fortemente concentrata e i latifondisti, ancora in possesso di una mentalità schiavista (l’economia caffeicola brasiliana si era fondata sul lavoro servile fino alla sua definitiva abolizione, avvenuta solo nel 1888), esercitavano un potere assoluto di stampo feudale nei propri possedimenti.

La visione classista della società propugnata dagli anarchici veniva da questi additata come priva di fondamento, una “pianta esotica” portata da pochi agitatori europei in una realtà che non rispondeva a questa lettura. La seconda difficoltà era data dalle aspettative di arricchimento ed emancipazione individuale che gli immigrati in generale avevano, e la scarsa ricettività che un messaggio di rinnovamento sociale da attuare attraverso una lotta collettiva poteva avere presso di loro, per lo meno nei primi anni di emigrazione di massa. Per questo l’opera degli attivisti anarchici fu efficace quando riuscì a inserirsi nelle dinamiche più quotidiane del proletariato, sostituendo con la pratica collettiva dell’azione diretta (scioperi, boicottaggi, danneggiamento dei mezzi di produzione) le pratiche convenzionali con le quali il contadino (divenuto operaio nelle fabbriche di São Paulo) era solito affrontare le avversità dell’esistenza, in particolare le pratiche religiose, la ricerca di sicurezza nel clan familiare e le prospettive individuali di ascesa sociale.

lunedì 21 agosto 2023

Elisée Reclus pensatore vivente

 

Rinomata personalità della storia della geografia e del pensiero politico, Elisée Reclus dovrebbe essere studiato come un pensatore vivente, in quanto promotore di idee estremamente attuali. In primo luogo il geografo può essere definito come il primo grande “teorico dell’ecologia sociale”, avendo trasformato la geografia sociale in una complessiva visione del mondo, che individua gli stretti legami esistenti fra società e ambiente naturale. La sua opera precorre i tempi nell’analisi di diverse questioni ecologiche, come la deforestazione, la distruzione del paesaggio, gli abusi dell’agricoltura industrializzata e il bisogno di una ricostituzione ecologica dell’ambiente. Altrettanto pionieristica è la sua politica ecologica, che lega la soluzione di problemi sociali ed ecologici alla necessità di una radicale trasformazione politica ed economica della società. Reclus ci offre inoltre una delle più complete analisi del problema del dominio nella storia del pensiero politico, anticipando i risultati di studi successivi. Le sue convinzioni scaturiscono da una filosofia della storia sottile e dialettica, che cerca di svelare sia gli elementi di progresso sia quelli regressivi di ogni processo storico. Secondo Reclus ci si muove verso una società libera e solidale, basata sull’amore per l’umanità, per gli altri esseri viventi e per l’intero mondo naturale. Questa visione anarchica esprime una prospettiva morale che prefigura sotto molti aspetti l’etica della cura ed enfatizza l’importanza della trasformazione individuale per un più profondo cambiamento della società.

venerdì 18 agosto 2023

L’utilizzo del consenso come abdicazione della libertà

La società dei consumi interiorizza semplicemente la costrizione sociale, trasformando la paura della repressione in vergogna della emarginazione. Il paradosso è che la libertà circolante nella democrazia dei consumi “libera” tutte le forme di licenza corruttrice ed oltretutto miope e contraddittoria in funzione di un unico scopo, quello dell’interesse esclusivamente individuale che, per corrispondenza all’abrasione sociale dell’individualità, elimina semplicemente la relazionalità come condizione e partecipazione all’umanità. Contestare le istituzioni significa, contestare questo monopolio espropriante che mantiene in uno stato di inferiorità e di dipendenza permanente anzi progressiva, gli individui che compongono la società e che invece di maturare attraverso e grazie ad essa sono costretti sempre più e in ogni campo ad obbedire a chi comanda con una giustificazione che riduce di molto la differenza tra metodi violenti e metodi democratici, quando questi si avvalgono di mezzi di persuasione che fanno del consenso una vera e propria abdicazione alla libertà di giudizio e cioè all’esercizio effettivo della coscienza.

martedì 15 agosto 2023

Eroi o disertori nella prima guerra mondiale

Al Festival di Spoleto del 1964 la presentazione della canzone “disfattista” Gorizia suscita scandalo e le proteste ufficiali di varie associazioni d’arma, nonché alcune interrogazioni parlamentari e l’incriminazione dei responsabili per vilipendio delle Forze Armate (la strofa incriminata recitava: “Traditori signori ufficiali/ questa guerra l’avete voluta/ scannatori di carne venduta (e rovina della gioventù)”.

Il gruppo dei grufoli

Il giorno 25 giugno del 1915, mentre il Caporal Maggiore passeggiava in via Cavour in Verona fu avvicinato da un soldato di Cavalleria che gli introdusse nella bottoniera della giubba un foglio di carta piegato. Apertolo e accortosi che si trattava di uno stampato “sovversivo” inseguì il distributore il quale, in compagnia di altri due soldati, proseguiva la via continuando a distribuire altri foglietti identici ai militari che incontrava. Insieme a M. L. era il sergente L. e vi si unì anche l’ufficiale di picchetto di Castelvecchio. I tre soldati, accortisi dell’inseguimento, si diedero alla fuga. Due furono raggiunti e identificati nelle persone dei soldati di Cavalleria F. P. e S. F., il terzo si dileguò né fu rintracciato. Iniziatesi le indagini e dopo una perquisizione furono identificati altri nuovi soldati del reggimento, i quali avevano “relazioni fra di loro ed erano collegati in opera criminosa tendente a scalzare la disciplina dell’esercito”. Come elementi a carico degli imputati, furono rinvenute delle lettere contenenti numerose espressioni di indole sovversiva e inneggianti a ideali rivoluzionari; tra le frasi più salienti furono notate: “Carissimo Grufolo saluta tutto il gruppo dei Grufoli” e l’indirizzo al soldato Grufolo Grufoletti, quinto Grufolini, all’interno frasi auguranti il trionfo dell’internazionale anarchica; in un’altra lettera, diretta ai “Carissimi Grufolini”, fu rinvenuto un articolo scritto per un giornale “sovversivo”; due fogli supplemento al “Libertario” intitolati Mentre la tragedia precipita; una foto di gruppo dove S. F. appariva con una fascia a bandoliera su cui si leggeva la parola “ANARCHIA”. Tutti i soldati incriminati furono giudicati colpevoli di propaganda sovversiva e condannati a pene variabili dai dieci ai venti anni di carcere.

sabato 12 agosto 2023

Spoliticizzazione delle masse

Il dominio, il potere, nella politica e nella strada, in pace come in guerra, appartiene a chi è meglio equipaggiato tecnicamente. La borghesia è stata sostituita da una classe tecnocratica che non è nata da una rivoluzione antiborghese ma dalla crescente complessità sociale provocata dalla lotta di classe e dall’intervento statale. Sul cammino verso una nuova società basata sull’alta produttività procurata dall’automazione e sull’economia dei servizi, la borghesia si è trasformata in una nuova classe dominante. Questa non si basa sulla proprietà privata o sul denaro, ma sulla competenza e la capacità di gestione; la proprietà e il denaro sono necessari ma non determinanti. La forza della classe dominante non proviene esclusivamente dall’economia, né dalla politica e nemmeno dalla tecnica, ma dalla fusione delle tre in un complesso tecnologico di potere che Mumford chiamò “megamacchina”. Se la tecnica, diventata l’unica forza produttiva, ha permesso il trionfo dell’economia, ora l’economia, creando il mercato mondiale, ha spianato il cammino alla tecnica, e questa impone la dinamica espansiva della produzione di massa al mondo intero. A modo suo ha ridicolizzato la figura dello Stato, degradando la sua storia e il suo ruolo dopo che l’economia lo ha convertito nel padrone più grande e la tecnica lo ha trasformato in un macchinario di governo e di controllo delle masse. Dalla fine del XIX secolo la stabilità del sistema capitalista è stata ottenuta grazie all’intervento dello Stato, che ha messo in atto una politica economica e sociale correttrice. Lo Stato ha smesso di essere una sovrastruttura autonoma per fondersi con l’economia e presentarsi come un terreno neutrale in cui il confronto tra le classi poteva trovare soluzioni. Lo Stato diventava il garante dei miglioramenti sociali, della sicurezza e delle opportunità. Lo Stato “del benessere” fu un’invenzione che assicurava al tempo stesso la rivalorizzazione del capitale e l’acquiescenza delle masse. Al suo interno la politica si trasformava progressivamente in amministrazione, si professionalizzava, si orientava verso la soluzione di questioni tecniche. Quand’anche il regime politico fosse una democrazia, la politica non poteva essere oggetto di discussione pubblica: in quanto esposizione e risoluzione di problemi tecnici richiedeva da un lato un sapere specializzato – era una tecno politica – nelle mani di una burocrazia professionista, e dall’altro un allontanamento – una spoliticizzazione – delle masse. Il progresso tecnico ha ottenuto questa spoliticizzazione. Ha avuto la capacità di isolare l’individuo nella società, circondandolo di marchingegni domestici e immergendolo nella vita privata. D’altra parte, ciascuna tappa del cosiddetto progresso annulla la precedente, sviluppando un dinamismo compulsivo in cui la novità è accettata semplicemente per il fatto di essere una novità e il passato viene relegato all’archeologia. In questo modo crea un continuo presente in cui non succede niente dato che niente ha importanza e in cui gli uomini sono indifferenti.

mercoledì 9 agosto 2023

L’economia al posto di comando

L’economia al posto di comando significa inesorabilmente disarmonia e conflitto, perché ogni volta che essa funziona, funziona soltanto per un settore o per una parte (se poi non funziona non funziona per nessuno se non per LORO). Bilanci, fatturati, e indici di produzione appartengono a una grande bugia, perché nel mondo sottomesso all’economia, in testa a tutte le classifiche c’è la produzione di infelicità. Questa è la merce definitiva, il prodotto dei prodotti.

Perché l’economia non domina SOLTANTO l’esistenza sociale, ma è scivolata ben dentro le menti, i comportamenti, le relazioni personali: guadagno, risparmio, investimenti, ricavi e costi, sono categorie che l’umanità è arrivata ad applicare a ogni circostanza; in questo senso l’economia è la più diffusa e micidiale delle sostanze inquinanti, la vera droga pesante con miliardi di tossicodipendenti. Il prezzo antropologico che l’umanità paga per qualche dose/bustina di benessere economico è lo sterminio e la depressione delle ricchezze vitali.

Non è certo nelle mani degli economisti che c’è un futuro per l’economia. Perché come tutti coloro che pretendono di seguire una fredda oggettività, gli economisti costruiscono una disciplina estranea alla ricchezza vitale. E ormai sempre più una disciplina separata, specializzata, freddamente oggettiva e razionale, non è soltanto odiosa, è anche profondamente stupida.

Alleggerire l’economia da ogni primato e da ogni privilegio è il solo modo per riservarle una possibilità di salvezza (sempre se vale la pena salvarla). Alla borsa, nelle banche e nelle menti andrebbe messo un cartello con scritto: senza espansione della felicità niente sviluppo economico.

domenica 6 agosto 2023

Kropotkin, Scienza e Anarchia

Scrive Kropotkin: «L’Anarchia è il risultato inevitabile del movimento intellettuale nelle scienze naturali movimento che cominciò verso la fine del XVIII secolo». La identificazione kropotkiniana fra scienza e progresso sociale e fra scienza e anarchismo, stabilisce così il primato assoluto della conoscenza e della ragione nel processo dell’emancipazione umana, un processo quindi strettamente condizionato dallo sviluppo scientifico. Specificamente l’identificazione è fra il metodo dell’anarchia e quello induttivo delle scienze naturali. Lo scopo è quello di evidenziare, nell’accostamento metodologico, la sostanziale analogia fra natura e anarchia. Scrive infatti Kropotkin: «studiando i progressi recenti delle scienze naturali e riconoscendo in ogni nuova scoperta una nuova applicazione del metodo induttivo, vedevo nello stesso tempo, come le idee anarchiche, formulate da Godwin e Proudhon e sviluppate dai loro continuatori, rappresentavano pure l’applicazione di questo stesso metodo alle scienze che studiano la vita delle società umane». Kropotkin però non si limita a una identificazione attinente al campo metodologico, ma amplia tale identificazione al campo più vasto della concezione anarchica e della concezione della natura, fondendo così Scienza e Anarchia in una weltanschauung di forte significato: «l’Anarchia è una concezione dell’universo, basata sulla interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita della società». Addirittura essa si delinea come strumento generale di comprensione scientifica in grado «d’elaborare la filosofia sintetica, ossia la comprensione dell’Universo nel suo insieme». Per Kropotkin, dunque, si può assegnare alla scienza non solo una funzione ideologica in senso progressista e libertario, ma anche, per converso, assegnare all’anarchismo il compito di una comprensione scientifica che si identifichi con quella delle scienze naturali. Natura, spontaneità, libertà, ecco i tre termini delineati sopra qui uniti dal filo della spiegazione scientifica come giustificazione della loro duplice sequenza progressiva, perché se si può arrivare all’anarchia partendo dalla natura, si può ritornare a spiegare questa partendo dall’anarchia. E ciò per il particolare significato che Kropotkin assegna alle scienze naturali, quelle scienze, appunto, in grado di operare l’accostamento fra natura e cultura, fra scienza e valori. L’accostamento è spiegato da Kropotkin in questo modo. Dopo la rivoluzione copernicana – che ha dato un colpo mortale al geocentrismo – ogni scoperta scientifica confermerebbe il fatto che la struttura dell’universo non ha un centro specifico di forza e di direzione della forza. Spingendo in questa direzione è possibile trovare un riscontro obiettivo il quale confermi che la struttura oggettiva della natura, della materia e dell’intero universo è costituzionalmente non gerarchica: «il centro, l’origine della forza, trasferito una volta dalla terra al sole, si trova ora sparpagliato, disseminato: è dappertutto e in nessun luogo». Pertanto la struttura dell’universo è costituzionalmente non gerarchica perché si basa su un’armonia «che è la risultante degli innumerevoli sciami di materia, che si muovono ognuno dinnanzi a sé tenendosi l’un l’altro in equilibrio». Il significato ideologico che Kropotkin dà a questa scoperta scientifica è evidente: è cioè una spiegazione descrittiva tesa a giustificare un valore normativo. Basti pensare al concetto di federalismo anarchico così come, ad esempio, è definito da Proudhon: «il centro politico è ovunque, la circonferenza in nessun punto». Il passaggio dalle scienze della natura alle scienze umane non trova quindi ostacoli per Kropotkin, perché questa costituzionale non gerarchia della materia è confermata non solo dall’astronomia, ma da «tutte le scienze senza eccezione quelle che trattano della natura, .. quelle che si occupano dei rapporti umani». Esse si informano al criterio che non esistono leggi naturali prestabilite, che l’armonia della natura è la risultante fortuita e temporanea di un processo di scontri e incontri all’interno della struttura materiale. Ciò che chiama legge non è altro che un rapporto fra certi fenomeni, i quali hanno un carattere condizionale di causalità: se un certo fenomeno si verifica in certe condizioni ne seguirà un altro e così via. Se un tale fenomeno dura dei secoli, «è perché ha impiegato secoli per stabilirsi; un altro non durerà che un attimo, se la sua forma di equilibrio è nata in un attimo». Pertanto non c’è «nessuna legge, ma il fenomeno: ogni fenomeno governa quello che gli succede, non la legge». Possiamo osservare anche qui una continuità fra il pensiero kropotkiniano e il pensiero anarchico in questa interpretazione antigerarchica della natura. Bakunin aveva scritto che in essa «non esiste alcun governo e quelle che si chiamano leggi naturali non sono altro che il normale svolgersi dei fenomeni e delle cose che si producono in modo a noi ignoto nel seno della causalità universale» La sostanziale supposta analogia fra l’anti-gerarchia della natura e l’anti-gerarchia della società umana è da realizzare, è per Kropotkin imposta dallo sviluppo scientifico, precisamente dalla sua metodologia che tende a costruirsi non attraverso sistemi generali precostituiti, ma secondo una continua analisi di divisione della materia in cellule autonome sempre più piccole e interdipendenti. Per cui se un tempo «la scienza studiava i grandi risultati e le grandi somme (gli integrali direbbe il matematico), oggi studia gli infinitamente piccoli, gli individui che compongono le somme e di cui ha finito per riconoscere l’indipendenza e l’individualità, contemporaneamente alla loro stessa intima aggregazione».

giovedì 3 agosto 2023

Vivere o sopravvivere

Deve essere sempre chiara la differenza tra sopravvivere e vivere.

Dobbiamo portare a termine un capovolgimento di prospettiva nella nostra vita e nel mondo. Niente deve essere giusto per noi, al di fuori dei nostri desideri, della nostra volontà di esistere. Rifiutiamo ogni ideologia di potere legata alla macchina ed ai suoi addentellati, con le loro miserabili relazioni sociali cardine di questa ultramoderna società computerizzata a nuovo ordine mondiale: il sogno è di capovolgere questo paesaggio teatrale della merce feticcio, delle proiezioni mentali, delle separazioni e delle ideologie, arte, urbanistica, etica, cibernetica, spille da attaccare all’occhiello, stazioni radio o messaggi televisivi che dicono di amarti e detersivi che hanno compassione delle tue mani.

Ogni giorno la gente è privata di una vita autentica, ed in cambio le viene venduta la sua rappresentazione.

Perché non liberare una volta tanto ciò che nella maggior parte della giornata sentiamo continuamente dentro di noi, la spinta a distruggere il sistema che ogni giorno con mezzi diversi ci schiaccia il cervello? Bisogna far esplodere dal loro ruolo la nostra maniacale resistenza passiva, la rabbia soggettiva del suicida, i bamboccioni sul divano, l’omicida solitario, il teppista vandalo di strada, l’automobilista pirata, il neo-dadaista, il malato senza il letto, l’alienato di professione; in modo che tutti possano, che tutti possiamo partecipare alla distruzione come progetto rivoluzionario, per poter cambiare poi la sostanza stessa della nostra vita attraverso la trasformazione delle macerie rimaste.