Il cortile di una prigione, i reclusi che si devono spogliare davanti a tutti, irrorati con un tubo di benzoato di benzina. Le immagini trasmesse in prima serata dal TG2 hanno mostrato una realtà che non ha nulla di eccezionale. Per anni dai CIE e dai CARA, uscivano furtivamente riprese sfocate della brutalità della polizia, degli insulti, botte umiliazioni inflitti a immigrati, profughi, richiedenti asilo. Una devastante normalità.
I politici hanno fatto la loro parte mostrandosi indignati e pronti a reagire. La commissaria UE Cecilia Maelstrom ha minacciato di far perdere all’Italia il sostegno europeo.
Inevitabilmente ci si chiede perché proprio oggi la quotidianità dei CIE e dei CARA irrompe nelle case degli italiani all’ora di cena. Perché ora? Cosa sta cambiando? Bisogna credere a Letta, che sostiene il superamento della Turco-Napolitano-Bossi-Fini?
La situzione nei CIE e nei Cara del nostro paese è insostenibile da anni. Due giorni fa un immigrato eritreo, rinchiuso nel CARA di Mineo, un limbo in cui sono ammassati e dimenticati migliaia di richiedenti asilo, si è tolto la vita. Pochi giorni prima al CARA di Bari è nuovamente scoppiata la rivolta. La situazione dei CIE è nota: la metà sono chiusi, gli altri sono in buona parte inagibili. Le continue rivolte degli immigrati hanno demolito, pezzo a pezzo, i centri italiani.
Se si osserva con attenzione l’azione concreta del governo, al di là delle dichiarazioni di facciata, la trama sottesa a quelle immagini esposte allo sguardo di tutti, rivelano una realtà ben più cruda dell’agghiacciante metafora concentrazionaria che evocano nell’immediato.
Oggi il governo ha approvato il decreto svuota-carceri, l’ennesimo pannicello caldo sulla piaga purulenta delle carceri italiane.
Tra i provvedimenti adottati la possibilità di far scontare agli stranieri gli ultimi due anni di detenzione nei paesi di origine. Un modo brillante – sempre che l’Italia riesca a stipulare accordi soddisfacenti con i paesi d’origine – per ridurre il numero dei detenuti ed espellerli senza passare dal CIE. Una vecchia proposta dellla sinistra perbene, che ora potrebbe trovare applicazione.
Se a questo si aggiunge una politica di accordi bilaterali con i paesi africani per una gestione in loco della reclusione e del controllo, il gioco è fatto. Il governo potrebbe ripulirsi l’immagine, riducendo la detenzione nei CIE e applicando in modo meno restrittivo la direttiva europea sui rimpatri sì da tenere aperte poche strutture. Umane, pulite tranquille. Il lavoro sporco, i corpi violati, la dignità calpestata trasferiti altrove, appaltati ad altri.
Non per caso, il governo Letta, non solo ha confermato il trattato italo-libico che dal 2009 sino alla guerra del 2011 aveva garantito la chiusura della rotta tra i porti libici e la Sicilia, ma lo ha di recente rinforzato.
Il 29 novembre il ministro della difesa Mario Mauro e il suo omologo libico Al-Thinni hanno sottoscritto un accordo per “rafforzare la cooperazione tra i due Paesi”.
L’intesa, spiega una nota della Difesa, riguarda “l’impiego di mezzi aerei italiani a pilotaggio remoto in missioni a supporto delle autorità libiche per le attività di controllo del confine sud del Paese”. L’altro riguarda l’addestramento di personale libico”. Potrà essere effettuato in Italia o Libia e “migliorando la sicurezza comune contribuirà alla pace e alla stabilità internazionale”.
Droni italiani a guardia della frontiera sud della Libia, militari libici a bordo delle unità navali italiane impegnate nell’operazione “Mare Nostrum”.
Il fronte delle guerra ai poveri si sposta ma non è meno feroce.