La lettera di
alcuni insegnanti francesi sui fatti di Parigi è lo spunto per una riflessione
sull’immaterialità della libertà repubblicana, una beffa per chi abita le
banlieue e sente il fascino dell’ondata jihaidista che investe le periferie
francesi. Le banlieue ideate da un architetto famoso, e di sinistra, come Le
Courboiser, sono diventate discariche sociali, ghetti, luoghi fisici e
simbolici del nuovo apartheid neocoloniale.
Di seguito la
lettera.
“Siamo
professori del Dipartimento della Senna Saint Denis. Intellettuali, studiosi,
adulti, libertari, abbiamo imparato a prescindere da Dio e a detestare il
potere ed il suo godimento perverso. Non abbiamo altro padrone che il sapere.
Questo discorso ci rassicura, grazie alla sua coerenza presunta razionale ed il
nostro status sociale lo legittima. Quelli di Charlie Hebdo ci facevano ridere;
condividevamo i loro valori. Pertanto, anche noi siamo stati oggetto di questo
attentato. Anche se nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di tanta insolenza,
siamo feriti. Per questo, siamo Charlie.
Ma facciamo
lo sforzo di cambiare punto di vista e cerchiamo di vederci come ci vedono i
nostri alunni. Siamo ben vestiti, ben pettinati, comodamente calzati o, in ogni
caso, chiaramente al di là di queste contingenze materiali, il che fa sì che
non bramiamo quegli oggetti di consumo che fanno sognare i nostri alunni: se
non li possediamo, forse è perché abbiamo i mezzi che ce lo consentirebbero.
Andiamo in
vacanza, viviamo in mezzo ai libri, frequentiamo persone educate e raffinate,
eleganti e colte. Consideriamo come un fatto acquisito che “La Libertà che
guida il popolo” (celebre quadro di Eugène Delacroix, 1830) e Candido di
Voltaire siano parte del patrimonio dell’umanità. Ci diranno che l’universale è
tale di diritto, non di fatto e che moltissimi abitanti del pianeta non
conoscono Voltaire?
Che banda di
ignoranti… È tempo che entrino nella Storia: il discorso di Dakar glielo ha già
spiegato (discorso del presidente francese Nicolas Sarkozy all’Università di
Dakar, Senegal, luglio 2007, nel quale dichiarò che il dramma dell’Africa è che
l’uomo africano non è entrato a sufficienza nella Storia).
Quanto a
coloro che vengono in Francia da altre parti e vivono fra noi, che tacciano e
si adeguino. Se i crimini perpetrati da questi assassini sono abominevoli, ad
essere terribile è che essi parlino francese e con l’accento dei giovani delle
banlieue. Questi due assassini sono come i nostri alunni. Il trauma, per noi, è
anche sentire queste voci, questo accento, queste parole. Ecco cosa ci ha fatti
sentire responsabili. Ovviamente, non noi personalmente: ecco cosa diranno
i nostri amici, che ammirano il nostro impegno quotidiano. Ma che nessuno venga
a dirci che, con tutto quello che facciamo, noi siamo esenti da questa
responsabilità.
Noi, vale a
dire i funzionari di uno Stato che non assolve ai suoi obblighi; noi, i
professori di una scuola che ha lasciato quei due e tanti altri al margine
della via dei valori repubblicani; noi, cittadini francesi che ci lamentiamo
costantemente per l’aumento delle tasse; noi, contribuenti che approfittiamo
ogni volta che è possibile delle esenzioni fiscali; noi, che abbiamo permesso
che l’individuo prevalga sul collettivo; noi, che non facciamo politica o
deridiamo coloro che la fanno: noi siamo responsabili di questa situazione.
Quelli di
Charlie Hebdo erano nostri fratelli: noi li piangiamo come tali. I loro
assassini erano orfani, cresciuti in orfanatrofi sotto tutela della nazione,
figli di Francia. I nostri figli hanno dunque ucciso i nostri fratelli.
Tragedia. In qualsiasi cultura, questo fatto provoca un sentimento mai citato
in questi ultimi giorni: la vergogna.
Allora, noi
diciamo la nostra vergogna. Vergogna e collera: ecco una situazione psicologica
molto più scomoda che dolore e collera. Se si provano dolore e collera è
possibile accusare qualcun altro; ma che fare quando ci si vergogna e si è in
collera con gli assassini, ma anche con sé stessi?
Nessuno, nei
media, parla di questa vergogna. Nessuno pare volersene prendere la
responsabilità.
Quella di uno
Stato che lascia che degli imbecilli e degli psicotici marciscano in carcere e
si trasformino in giocattoli di perversi manipolatori, quella di una scuola
alla quale si tolgono i mezzi di sostentamento, quella di una politica
urbanistica che parcheggia gli schiavi (i senza documenti, coloro che non hanno
il certificato elettorale, i senza nome, i senza denti) nelle cloache delle
banlieue. La responsabilità di una classe politica che non ha mai compreso che
la virtù s’insegna solo con l’esempio. Intellettuali, pensatori, universitari,
artisti, giornalisti: abbiamo visto morire uomini che erano dei nostri.
Coloro che li
hanno ammazzati sono figli di Francia. Apriamo, allora, gli occhi sulla
situazione, per comprendere come ci siamo arrivati, per agire e costruire una
società laica e colta, più giusta, più libera, più uguale, più fraterna.
“Noi siamo
Charlie”, lo possiamo portare su una spilla al bavero. Ma ribadire la
solidarietà alle vittime non ci esenterà dalla responsabilità collettiva di
questo assassinio. Siamo anche i padri dei tre assassini”.
Catherine Robert,
Isabelle Richer,
Valérie Louys
Damien Boussard