
Giorgiana Masi oggi avrebbe 58 anni.
Invece ne ha sempre 19.
Era il 12 maggio 1977; quel giorno sono
in tanti a Roma su Viale Trastevere, sul Lungo Tevere, in Piazza Gioacchino
Belli. C’era una manifestazione promossa dai radicali, per ricordare la
vittoria referendaria sul divorzio tenutosi il 12 e 13 maggio del 1974.
Dal Viminale (il ministro dell’Interno era
Francesco Cossiga) viene un perentorio divieto, assurdo, immotivato. Non c’era
alcuna minaccia all’ordine pubblico, i poliziotti per primi sapevano che quando
a manifestare erano i radicali si può star tranquilli, al massimo resistenza
passiva: ci rimettono sopratutto i vestiti dei manifestanti che vengono
trascinati al “cellulare” e condotti al vicino primo distretto.
Ma quella manifestazione, proibita,
divenne l’occasione per tanti per dire anche altro: un no proprio a quel
divieto, che era stato imposto dal governo a tutti i cortei. Ecco perché quella
manifestazione proibita e comunque confermata dal partito radicale divenne un
evento di eccezionale importanza per l’Italia del 1977.
I radicali avevano dato appuntamento
alla popolazione per un concerto a piazza Navona: si voleva far festa, e
raccogliere le firme per una raffica di referendum abrogativi di leggi
autoritarie e criminogene.

Quel giorno i veri Autonomi si
comportano da radicali nonviolenti, al massimo qualcuno, e dopo ore di
provocazioni, cominciò a lanciare qualche sanpietrino. Ma a sparare sono agenti
di polizia o carabinieri travestiti, come detto prima, da autonomi: agenti travestiti
da lupi che qualcuno voleva fossero lupi, denunciò Marco Pannella; non era una
presunzione, piuttosto una certezza: grazie a un filmato e decine di
testimonianze poi raccolte in un libro bianco curato e pubblicato dal Partito
Radicale, fu possibile provare che poliziotti infiltrati andavano a prendere
ordini e forse a rifornirsi di proiettili in mezzo a riconoscibili funzionari.
Giorgiana era una studentessa del liceo
Pasteur di Roma, una compagna del movimento e una femminista. Scendeva in
piazza per gli stessi valori per cui tuttora lottano migliaia di giovani, di
donne, di lavoratori: il diritto alla scuola pubblica, ad una casa, ad un
lavoro non precario, ad una società non omofoba e non razzista. Lottava per una
società in cui ci fossero uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale.
Quel 12 maggio 1977, su ponte Garibaldi,
mentre era in piazza nell’anniversario della vittoria del referendum sul
divorzio, le squadre speciali mandate dal ministro dell’Interno Francesco
Cossiga spararono e la uccisero.
La uccisero lì, vicino alla statua del
Belli, con un colpo di rivoltella. Cadde a terra come se fosse inciampata,
dissero i resoconti di allora.
Nonostante denunce, inchieste, processi
non si è riusciti a dare un nome a chi , quel pomeriggio, sparò ad altezza
d’uomo, per uccidere. E neppure i mandanti, chi volle quei lupi travestiti da
lupi. Anni dopo Cossiga, che aveva sempre puntato il dito contro i settori di
autonomia, ammise di essere stato ingannato. Da chi, come e perché sarebbe
stato ingannato, è uno dei tanti misteri italiani.
Ecco quanto ha dichiarato anni dopo quel
tragico evento l’ex presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino:
…”quel giorno ci possa essere stato un atto di strategia della tensione, un
omicidio deliberato per far precipitare una situazione e determinare una
soluzione involutiva dell’ordine democratico, quasi un tentativo di anticipare
un risultato al quale per via completamente diversa si arrivò nel 1992-1993″.
Il 23 ottobre 2008 Francesco Cossiga,
già ex Presidente della Repubblica, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni in
una intervista: «Maroni [nota: allora ministro dell’Interno] dovrebbe fare quel che feci io
quand’ero ministro dell’Interni. Ritirare le forze di polizia dalle strade e
dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto,
e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi,
diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti
del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare
quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine dovrebbero
massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non
arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli
a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto
i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì».