É il 7 Luglio
del 1960 e a Reggio Emilia ormai da diversi mesi l'insofferenza verso il
governo Tambroni si sta traducendo in un crescendo di scioperi e
manifestazioni, puntualmente caricati dalla polizia che altrettanto
puntualmente viene respinta dalla rabbia popolare.
Non fa eccezione
la manifestazione antifascista del giorno precedente a Porta San Paolo, al
termine della quale, però, alcuni agenti lanciano un funesto messaggio: "La
prossima volta, invece di farci picchiare, gli spareremo in faccia".
Il clima di
tensione viene ulteriormente confermato da alcune indiscrezioni riferite al
segretario emiliano del Pci, Renato Nicolai, a cui viene comunicato che la
Questura di Reggio Emilia ha ricevuto precise disposizioni da Roma in merito
all'atteggiamento da tenere durante lo sciopero generale indetto per il 7 Luglio
in seguito ai fatti di Licata (dove due giorni prima la linea dura imposta da
Tambroni ha già ucciso il venticinquenne Vincenzo Napoli) e Porta San Paolo:
per i poliziotti l'ordine è di arrivare in assetto da guerra e di "dare
una lezione" ai manifestanti.
Il comizio del
Pci previsto per quel giorno in una sala di Piazza della Libertà si trasforma
così in una manifestazione di massa a cui affluiscono decine di migliaia di
persone; mentre molti stazionano al di fuori della sala straripante di gente,
alcune motociclette sfilano per il centro con cartelli che recitano
"Abbasso il fascismo", "Viva la Resistenza", "Via il
governo Tambroni".
La polizia
assedia a lungo la piazza e le vie adiacenti, in attesa di un pretesto
qualsiasi per iniziare le violenze ma il momento sembra non arrivare; così,
quando sono ormai le 16, la Questura decide di attaccare e dà ordine di
disperdere gli scooteristi coi cartelli: nel giro di pochi secondi partono
cariche e lacrimogeni e nella piazza invasa dal fumo la gente corre tra idranti
e caroselli, riparando nelle strade circostanti.
Dopo un primo
momento di smarrimento, però, i manifestanti si organizzano e rientrano nella
piazza respingendo polizia e blindati con una fitta sassaiola.
Ma ecco che ad
un tratto nel fragore della lotta si sente un rumore inusuale, inaspettato, un
colpo secco: la polizia spara sui manifestanti.
Il primo a
cadere è Lauro Ferioli, muratore di 22 anni, colpito in pieno petto mentre si
lancia incredulo verso la polizia in un disperato tentativo di fermarli.
Marino Serri, 40
anni, operaio ed ex partigiano, ha assistito alla scena e col volto rigato da
lacrime di rabbia si espone gridando "Assassini, assassini!" ma non
fa in tempo a concludere perché una nuova raffica colpisce a morte anche lui.
Ovidio Franchi,
operaio di 19 anni, è ferito all'addome; si aggrappa ad una serranda mentre un
compagno cerca di soccorrerlo ma un agente sopraggiunge e con disgustosa
freddezza spara su entrambi, uccidendo Ovidio.
Segue Emilio
Reverberi, 39 anni, anche lui operaio ed ex partigiano; ed infine Afro
Tondelli, operaio di 35 anni, assassinato da un poliziotto inginocchiato e
concentrato nel prendere la mira.

Pasquale
Alvarez, uno dei feriti, riporterà in seguito: "Fischiavano le pallottole
da tutte le parti. Era tremendo, indescrivibile. La folla, per fuggire alle
cariche forsennate delle camionette che inseguivano la gente sotto i portici,
mi ha spinto verso via Crispi. Credevo sparassero in aria. Poi ho visto un
ragazzo cadere. Più tardi ho saputo che era Franchi".
La folla
continua a lottare eroicamente per due ore; a fine giornata si contano 5 morti
e centinaia di feriti tra i manifestanti.
Non paghi della
violenza cieca ed inaudita esercitata in piazza, gli agenti si schierano poi di
fronte agli ospedali per impedire ai donatori di sangue di accedere alle
strutture e costringendoli quindi a nascondersi a bordo di ambulanze fingendosi
feriti.
Il Vicequestore
Giulio Cafari Panico, accusato di omicidio colposo plurimo, e l'agente Orlando
Celani, imputato d'omicidio volontario per aver sparato ad Afro Tondelli,
vengono entrambi assolti nel 1964, il primo per non aver commesso il fatto, il
secondo per insufficienza di prove.
Nei giorni
successivi molte altre città italiane sono teatro di proteste e ovunque vengono
applicati con freddezza i dettami di Tambroni, che portano alla morte di
Francesco Vella, Giuseppe Malleo, Andrea Gangitano e Rosa La Barbera a Palermo
e di Salvatore Novembre a Catania.
Ma il sangue
versato, a Reggio Emilia come altrove, non fa che accrescere la rabbia che
percorre l'Italia intera e che porterà Tambroni alle dimissioni prima della
fine di Luglio.