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martedì 10 luglio 2018

7 luglio 1960: i morti di Reggio Emilia


É il 7 Luglio del 1960 e a Reggio Emilia ormai da diversi mesi l'insofferenza verso il governo Tambroni si sta traducendo in un crescendo di scioperi e manifestazioni, puntualmente caricati dalla polizia che altrettanto puntualmente viene respinta dalla rabbia popolare.
Non fa eccezione la manifestazione antifascista del giorno precedente a Porta San Paolo, al termine della quale, però, alcuni agenti lanciano un funesto messaggio: "La prossima volta, invece di farci picchiare, gli spareremo in faccia".
Il clima di tensione viene ulteriormente confermato da alcune indiscrezioni riferite al segretario emiliano del Pci, Renato Nicolai, a cui viene comunicato che la Questura di Reggio Emilia ha ricevuto precise disposizioni da Roma in merito all'atteggiamento da tenere durante lo sciopero generale indetto per il 7 Luglio in seguito ai fatti di Licata (dove due giorni prima la linea dura imposta da Tambroni ha già ucciso il venticinquenne Vincenzo Napoli) e Porta San Paolo: per i poliziotti l'ordine è di arrivare in assetto da guerra e di "dare una lezione" ai manifestanti.
Il comizio del Pci previsto per quel giorno in una sala di Piazza della Libertà si trasforma così in una manifestazione di massa a cui affluiscono decine di migliaia di persone; mentre molti stazionano al di fuori della sala straripante di gente, alcune motociclette sfilano per il centro con cartelli che recitano "Abbasso il fascismo", "Viva la Resistenza", "Via il governo Tambroni".
La polizia assedia a lungo la piazza e le vie adiacenti, in attesa di un pretesto qualsiasi per iniziare le violenze ma il momento sembra non arrivare; così, quando sono ormai le 16, la Questura decide di attaccare e dà ordine di disperdere gli scooteristi coi cartelli: nel giro di pochi secondi partono cariche e lacrimogeni e nella piazza invasa dal fumo la gente corre tra idranti e caroselli, riparando nelle strade circostanti.
Dopo un primo momento di smarrimento, però, i manifestanti si organizzano e rientrano nella piazza respingendo polizia e blindati con una fitta sassaiola.
Ma ecco che ad un tratto nel fragore della lotta si sente un rumore inusuale, inaspettato, un colpo secco: la polizia spara sui manifestanti.
Il primo a cadere è Lauro Ferioli, muratore di 22 anni, colpito in pieno petto mentre si lancia incredulo verso la polizia in un disperato tentativo di fermarli.
Marino Serri, 40 anni, operaio ed ex partigiano, ha assistito alla scena e col volto rigato da lacrime di rabbia si espone gridando "Assassini, assassini!" ma non fa in tempo a concludere perché una nuova raffica colpisce a morte anche lui.
Ovidio Franchi, operaio di 19 anni, è ferito all'addome; si aggrappa ad una serranda mentre un compagno cerca di soccorrerlo ma un agente sopraggiunge e con disgustosa freddezza spara su entrambi, uccidendo Ovidio.
Segue Emilio Reverberi, 39 anni, anche lui operaio ed ex partigiano; ed infine Afro Tondelli, operaio di 35 anni, assassinato da un poliziotto inginocchiato e concentrato nel prendere la mira.
Gli spari si susseguono per quaranta minuti, almeno 500 i colpi esplosi in mezzo allo sgomento ed al terrore che serpeggiano per la piazza.
Pasquale Alvarez, uno dei feriti, riporterà in seguito: "Fischiavano le pallottole da tutte le parti. Era tremendo, indescrivibile. La folla, per fuggire alle cariche forsennate delle camionette che inseguivano la gente sotto i portici, mi ha spinto verso via Crispi. Credevo sparassero in aria. Poi ho visto un ragazzo cadere. Più tardi ho saputo che era Franchi".
La folla continua a lottare eroicamente per due ore; a fine giornata si contano 5 morti e centinaia di feriti tra i manifestanti.
Non paghi della violenza cieca ed inaudita esercitata in piazza, gli agenti si schierano poi di fronte agli ospedali per impedire ai donatori di sangue di accedere alle strutture e costringendoli quindi a nascondersi a bordo di ambulanze fingendosi feriti.
Il Vicequestore Giulio Cafari Panico, accusato di omicidio colposo plurimo, e l'agente Orlando Celani, imputato d'omicidio volontario per aver sparato ad Afro Tondelli, vengono entrambi assolti nel 1964, il primo per non aver commesso il fatto, il secondo per insufficienza di prove.
Nei giorni successivi molte altre città italiane sono teatro di proteste e ovunque vengono applicati con freddezza i dettami di Tambroni, che portano alla morte di Francesco Vella, Giuseppe Malleo, Andrea Gangitano e Rosa La Barbera a Palermo e di Salvatore Novembre a Catania.
Ma il sangue versato, a Reggio Emilia come altrove, non fa che accrescere la rabbia che percorre l'Italia intera e che porterà Tambroni alle dimissioni prima della fine di Luglio.