Una delle maggiori
tragedie della nostra epoca è che la tecnica non è più considerata da un punto di
vista etico. Nel pensiero greco, produrre
oggetti di qualità e di fattura artistica era un impegno morale che instaurava una
speciale relazione tra l’artigiano e l’oggetto prodotto. Per molti popoli tribali,
la manifattura di un oggetto corrispondeva alla messa in atto delle potenzialità
insite nel materiale grezzo, dando così alla pietra, al marmo, al bronzo, una voce
attraverso cui venivano espresse le latenti capacità estetiche della materia prima.
Il capitalismo ha
completamente eliminato questo modo di pensare. Ha separato il produttore dal consumatore,
cancellando ogni senso di responsabilità etica del primo nei confronti del secondo
e mettendo da parte ogni altro tipo di considerazione morale. L’unica dimensione
morale ammessa nella produzione capitalistica è la presenza della cosiddetta mano
invisibile del mercato, la quale guida l’interesse individuale in modo che la produzione
a scopo di profitto finisca per generare il bene comune. Ma anche tale miserabile
giustificazione è del tutto scomparsa oggi. Un egoismo illimitato, altro esempio
della presenza di un’etica del male, ha sostituito ogni rispetto per il bene pubblico.
Sebbene possa apparire facile dare alla tecnologia colpe che vanno invece addebitate
agli interessi delle élite dominanti, bisogna comunque ammettere che sotto il capitalismo
anche la tecnica, liberata da ogni limitazione di tipo morale, può diventare demoniaca.
Una centrale nucleare, ad esempio, è un male in sé, non ha alcuna giustificazione
per la sua esistenza. E nessuno può più dubitare che la proliferazione di impianti
nucleari – e quanti più ce ne sono, tanto più la possibilità di incidenti come quelli
di Cernobyl aumenta – può a un certo punto trasformare l’intero pianeta in una colossale
bomba nucleare.
La sensibilità. L’etica,
il modo di vedere la realtà, il senso di sé devono cambiare attraverso modalità
educative, argomentazioni razionali, sperimentazioni che mettono in conto la possibilità
di imparare dai propri errori: solo questo consentirà all’umanità di raggiungere
la coscienza necessaria per la propria autogestione.