Il gesto tipico del
dissenso come figura del sentire altrimenti coincide con il quel dire-di-no che
rivela la mancata adesione del soggetto all'ordine reale e simbolico e, perciò stesso,
la sua potenziale contestazione. E', per sua essenza, interruzione individuale del
consenso diffuso ed egemonico, messa in discussione di un ordinamento reale, ideale,
valoriale che si pone come dominante, esclusivo o, comunque, maggioritario.
Questo non significa,
tuttavia, che il gesto del dissentire si esaurisca nella figura del rifiuto e dell'opposizione:
esso, al contrario, nega per affermare e destituisce per ricostruire.
Il rifiuto è il primo
momento della dialettica del dissenso, il cui ulteriore sviluppo, in positivo, consiste
nell'affermazione del negato, dell'ostacolato, del represso, del disatteso e dell'ignorato,
proposti come correttivo o come alternativa rispetto a ciò che c'è.
A differenza del
consenso, che può essere passivo e strutturarsi nella forma dell'inerte accettazione,
ricevendo più propriamente il nome di assenso,
il dissenso si dà solo come attivo e affermativo. Ed è quanto più manca nel nostro
tempo del consenso di massa e dell'omologazione generalizzata, ove tutti pensano
e sentono il medesimo.
Una considerazione
storico-filosofica della figura del dissenso non può non comportare, in pari tempo,
un'esplorazione critica dell'uniformazione globale delle coscienze che si sta oggi
registrando nell'orizzonte del nuovo pensiero unico e del falso pluralismo democratico
della civiltà occidentale.
Quest'ultimo moltiplica
e frammenta il messaggio, affinché sia occultata quella sua natura intimamente totalitaria che nega in partenza ogni diritto
a dissentire e a pensare altrimenti.