Nelle democrazie
borghesi, la promozione della libertà politica, non si compie se non per il
tramite di una dittatura ideologica della forma di libertà, tale da farla
apparire come una decisione nella quale è occultato il suo rapporto con la cosa
e quel senso del separare che la compone, così come indica il suo etimo greco.
Ciò che queste democrazie ci nascondono è il fatto che le loro verità non sono
capaci di eliminare, nella pratica, la negazione della libertà, contenuta in
esse come una conseguenza tragica dei loro presupposti assolutistici. Per un
verso, le democrazie borghesi, vogliono essere l'espressione di una verità
assoluta, per l'altro, non possono fare di questa verità un valore altrettanto
definitivo, perché esse pretendono di appartenere alla storia e considerano
questo stato uno loro valore sostanziale. In questo contesto, decidere
significa esprimere la volontà di dominare le cose. Una volontà che è
l'espressione di quel senso comune del mondo, che favorisce la domesticazione
del singolo nella sua pluralità sociale e che ha molto da spartire con la
formula dell'inconscio. Tra l'altro, ciò che fa intuire perché la storicità
appare spesso nella forma di sintomo. In fondo, non è forse il disagio mentale
un modello di quel pensare l'essere cosa delle cose, che corre in parallelo in
politica al nichilismo? (l'apparente astrattezza del materialismo dialettico,
in questo contesto, è dovuta al fatto che i mezzi con cui l'idealismo pretende
di eliminarlo, sono sostanzialmente inefficaci, anche se utili a degradare la filosofia
del comunismo ad un progetto di scienza sociale oramai obsoleto. Questo
degradare esprime il passaggio del concetto di rivoluzione, come totalità in
divenire, ad una progettualità scientifica, dunque a qualcosa di divisibile, di
aggredibile con la decisione, che può essere manipolata al solo scopo di
riproporre il dualismo di essere e nulla).