La politica è il
quadro che ordina il dinamismo naturale della società e delle sue forme di
socialità. Allucinazione formale che ha senso soltanto dentro l’area del
con/senso. Essa prende corpo e significato proprio da quest’area nella quale i
suoi dispositivi teorici sono pressoché infallibili, o in termini storici,
attendibili. Dentro quest’area il capitale falsifica qualunque parte rendendola
complementare a sé. Stornando la forma dialettica che parla di una reciprocità
delle parti. Parte falsificata che appare, in teoria, antagonista alla gestione
del dominio, in pratica, surrogato rozzamente approssimativo del tutto e sempre
inattuale. Il comunismo, come la rivoluzione, devono sempre venire. La stessa
sinistra estrema, nella sua intossicazione, non riesce a rendersi conto di
perché la critica, invece, ne affermi perentoriamente l’esistenza come la parte
rimasta in sospeso del reale, socialità che non sta in qualche posto, ma
proprio nella parte che si afferma differente.
La politica
sospende il reale. Questa condizione è prioritaria a qualunque manifestazione
del politico. Ironia dei civilizzati e delle sedicenti avanguardie delle sue
lotte! La sospensione del reale non è senza scopo. La politica non è mai
gratuita. Questa sospensione serve ad introdurre le norme e le convenzioni
della burocrazia dominante, ad estendere i suoi controlli (attraverso i
processi di politicizzazione), a dare un corpo ideologico alle sue credenze che
appaiono sempre sensate in prima istanza: dalle lotte terzomondiste alla
gestione dell’utero nelle donne.
La politica non
è mai pratica, ma sempre pratica della politica. Essa, cioè, non è neppure
l’eccezione che conferma la regola, ma la regola che conferma il gioco. In
questo senso diciamo che l’oltranzismo non ha spazio che dietro di sé,
diventando politica. In questa regola che conferma il gioco, infine, si
denuncia un altro aspetto ancora della politica: quello di candidarsi come
l’unica forma di analisi attendibile del sociale. Da questo stallo ideologico
non c’è scampo. Per questo che la critica non riconosce come distinte (anche se
distinguibili) le posizioni politiche assunte dalla sinistra (dal partito alle
frange estreme). La critica, infatti, non è una posizione limite del politico,
ma l’altra scena smascherata dal rimosso.
Nessuno può
essere impunemente critico nella sfera del politico e sopravvivere tollerato
dentro il proprio ceto o nella nazione di cui parla la lingua e sopporta le
abitudini.
La critica non
riconosce il carattere distintivo di necessità. In questo senso prosegue una
tradizione che era propria delle teorie del comunismo rivoluzionario. Il tempo
imperfetto sta ad indicare che la teoria rivoluzionaria classica è infettata
dalle mode con le quali la realtà del dominio capitale ha sfiancato il suo
stesso movimento.