..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

martedì 30 settembre 2025

Dimenticare può portare alla pace? (parte 1)

 Il trauma della violenza subita negli anni della Shoah non poteva che lasciare effetti devastanti.

L’effetto più devastante è la nascita dello stato sionista colonialista iperarmato, dimostrazione del fatto che l’universalismo non ha verità nella storia, e che il nazionalismo è la sola maniera di proteggere la propria esistenza.

Lo stato sionista si presenta come prevenzione contro la possibilità del ripetersi di un’aggressione antisemita, ma è anche l’elaborazione vendicativa del trauma, e le due cose non si possono distruggere, non si possono separare.

Se il solo modo di evitare il ripetersi del genocidio è costruire uno stato destinato a perpetrare a sua volta il genocidio, significa che la ferocia, nella storia, ha preso il posto della ragione.

Per questo la shoah ha lasciato una traccia definitiva nella storia d’Europa e del mondo: la ragione deve chinare la testa davanti alla ferocia. E che solo la ferocia può proteggere dalla ferocia.

I sionisti pensarono: se la ragione universale non ci ha protetti dal nazismo e dallo sterminio, non resta che dotarci di strumenti che ci permettano di non essere più prede, anche se questo comporta che dobbiamo trasformarci in predatori. La riterritorializzazione israeliana ha dimostrato che non c’è possibilità di elaborare i traumi della storia, perché il solo modo di emanciparsi dall’oppressione subita è la vendetta. E il solo modo per evitare lo sterminio è sterminare.

Nel caso specifico di Israele, la vendetta ha carattere asimmetrico: non è stata compiuta infatti contro i tedeschi o contro gli europei, responsabili dello sterminio degli anni Quaranta. Si è compiuta invece contro popolazioni che non potevano difendersi e che non avevano nulla a che fare con la colpa antiebraica. Nella storia talvolta capita anche questo: coloro che hanno dovuto subire violenza perché non avevano forza sufficiente per ribellarsi esercitano la loro vendetta contro qualcuno che è più debole di loro.

Per i sionisti il solo modo per salvarsi dalla spietatezza è essere spietati. Gli israeliani, eredi di coloro che hanno subito il trauma, hanno capito fin da principio che il solo modo di proteggersi dal nazismo era adottare le sue tecniche, acquisire la sua spietatezza.

La decisione di costruire uno stato nei territori della Palestina espose fin dall'inizio gli israeliani al dilemma; subire la violenza armata di chi (prevedibilmente) non voleva che uno stato sionista si costituisse sul territorio degli arabi palestinesi, oppure disporre di una forza sufficiente per schiacciare il nazionalismo arabo e per ridurre in soggezione la popolazione palestinese, togliendole per sempre ogni possibilità di autodeterminazione.

Il sionismo non poteva che scegliere la strada della forza.

Senza il supporto dei paesi occidentali i sionisti non avrebbero mai potuto diventare la potenza militare che sono diventati, ma questa preponderanza militare dello stato di Israele ha spinto i palestinesi alla pratica del terrorismo.

lunedì 29 settembre 2025

A Gaza vige la legge del più forte

Quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania non si può spiegare in termini politici, ma solo come effetto di una psicosi che non abbiamo saputo curare.

Quello che accade adesso in Medio Oriente non è che l’ultimo anello di una catena che inizia con la Prima guerra mondiale, la sconfitta dei tedeschi, e la punizione inflitta al popolo tedesco dai francesi e dagli inglesi al Congresso di Versailles del 1919. L’oppressione e l’umiliazione spinsero il popolo tedesco a cercare vendetta: quel desiderio di vendetta si incarnò in Adolf Hitler. Gli ebrei furono la vittima prescelta, accusati senza ragione di avere provocato la sconfitta del 1918.

La Seconda guerra mondiale fu un’immensa tragedia, ma non cancellò la possibilità di credere in un futuro migliore, anzi la liberazione dai nazifascisti suscitò un’energia innovativa che coinvolse enormi masse di popolazione.

Il motto «mai più» era credibile perché nonostante tutto quello che era successo negli anni precedenti, si pensava fosse possibile costruire un futuro di uguaglianza, di solidarietà, di “democrazia”.

Iniziò allora un movimento che per i trent’anni successivi permise a una popolazione prevalentemente giovane di partecipare a un progetto che non appariva utopico, fondato sull’uguaglianza e sulla pace.

Ma oggi nulla rimane di quel mondo di aspettative e nulla rimane di quell’energia. Una popolazione invecchiata sia dal punto di vista demografico sia dal punto di vista intellettuale si ritira spaventata di fronte all’enormità delle minacce: la guerra è tornata, la minaccia nucleare è sempre più spesso e sempre più realisticamente impugnata nello scontro tra l’Occidente e i suoi innumerevoli nemici.

Nulla rimane di quelle aspettative: l’uguaglianza è stata cancellata, criminalizzata, derisa come un disvalore, come un pericolo per le sorti della competizione economica. La solidarietà è stata resa impossibile dalla cultura della competizione e dalla precarietà lavorativa. La pace è stata trasformata in utopia dal prevalere del cancro politico del nazionalismo.

La persecuzione e lo sterminio degli ebrei negli anni della Seconda guerra provocò una sofferenza immensa e duratura che cercò sollievo nella creazione di uno stato criminale che come prima azione scatenò la vendetta contro un popolo che non aveva nulla a che fare con l'Olocausto, ma che era sufficientemente debole per diventare la vittima della vittima.

L’umiliazione subita per mano dei nazisti esigeva una compensazione psichica, e questa compensazione è la persecuzione e lo sterminio del popolo palestinese. L’esperienza che il popolo palestinese sta subendo mostra che la catena della vendetta non può essere interrotta. Se due secoli di razionalismo universalista non l'hanno interrotta, forse dobbiamo concluderne che la ferocia non può essere domata dalla ragione.

Nazionalismo politico e fanatismo fondamentalista sono le ragioni d’essere della comunità politica israeliana. La legge che Israele vuole imporre è quella del più forte, la legge della razza superiore. La legge del dio che si proclama signore degli eserciti. Un dio razzista di cui il suprematismo bianco ha tratto origine.

domenica 28 settembre 2025

La geografia politica in Elisée Reclus

 

La Terra e l’Umanità sono due soggetti necessariamente interconnessi, ma con una differenza di potenziale e con caratteristiche proprie. Sia l’una che l’altra sono in continuo movimento e questo concetto reclusiano è molto simile alla concezione dinamica dell’universo propria del Taoismo. Per quanto riguarda la Terra, Reclus rileva la forza dell’influenza delle condizioni geografiche e climatiche sulle vicende umane, senza esser determinista. Piuttosto per ricordare che l’umanità, pur essendo la natura che prende coscienza di sé stessa, deve rispettare le “regole del gioco” naturali e cioè non forzare, ma rispettare la natura. L’umanità non può vivere senza natura, ma essa può vivere senza l’umanità, che non può pretendere di dominarla. Nelle dinamiche umane Reclus rileva e sottolinea la centralità di lingua, storia e genere di vita che sostengono la naturale socialità umana nel legame, sempre dinamico e mai statico, con un territorio specifico. Le tre costanti della storia dei gruppi umani indicate da Reclus sottolineano l’ineludibilità del continuo movimento, corollario obbligato della soggettività individuale umana quando vuole bilanciare la tendenza delle strutture (di tutti i generi) ad irrigidirsi. Proprio come nel rapporto iconografia circolazione di Jean Gottman, ma applicato al confronto sfruttati/sfruttatori. Oggi il suo approccio verrebbe definito di tipo antropologico e/o culturale, senza un metodo di analisi rigido, ma capace di cogliere le dinamiche di lunga durata e di accettare concettualmente i salti di qualità e le accelerazioni della storia. Il suo è un approccio intellettuale attivo, nel senso che proponendo il criterio interpretativo del movimento continuo, che non forzi la natura, favorisce l’intreccio delle culture e invita chi vuol essere politico e rivoluzionario a imparare la lezione e a riorganizzare lo spazio senza la presenza dell’autorità e della gerarchia. Applicare il suo approccio interpretativo alle dinamiche geopolitiche attuali consente una migliore e più precisa comprensione di ciò che avviene, da cui deriva o dovrebbe derivare una più articolata e ricca capacità di individuare/suggerire pratiche cooperative di progresso.

sabato 27 settembre 2025

Born in Gaza

Il documentario Born in Gaza di Hernán Zin racconta la storia di dieci bambini tra i sei e i quattordici anni durante la guerra del 2014, una delle tante guerre che Israele ha condotto contro i palestinesi, e che i palestinesi hanno condotto contro Israele. Questi bambini parlano dei bombardamenti, delle ferite che hanno ricevuto, del terrore che vivono quotidianamente, della fame che soffrono. Dicono che la loro non è vita, che sarebbe meglio morire. 

È probabile che costoro, che erano bambini nel 2014, siano oggi militanti di Hamas, e che abbiano partecipato all'orgia di terrore del 7 ottobre. Come non capirlo? Se io fossi al posto loro, invece di essere io, cioè un vecchio pensionato bianco che sta scrivendo comodamente seduto nella sua casa in una città italiana dove per il momento non ci sono bombardamenti, se io fossi uno di questi che erano bambini sotto le bombe del 2014, oggi sarei un terrorista che aspira solo a uccidere un israeliano. Mi farei orrore?

Certo, mi farei orrore. Ma il mio pacato pacifismo è solo un privilegio, un privilegio di cui posso godere perché non ho vissuto la mia infanzia a Gaza, o in uno dei tanti posti come Gaza.

Perciò Israele ha un solo modo per sradicare Hamas: uccidere tutti i palestinesi che vivono a Gaza, nei territori occupati ma neanche altrove: tutti, tutti, tutti, soprattutto i bambini.

D’altronde è quello che stanno facendo, no? Si chiama genocidio, ma è del tutto razionale. Infatti i razionalismi governanti europei appoggiano il genocidio.

Scholz ha detto che, avendo la Germania commesso un genocidio nel passato, ora è suo dovere appoggiare chi sta compiendo un genocidio oggi sembra che sia il solo modo per farsi perdonare.

È solo il modo per sradicare il terrorismo, no?

Forse ci sarebbe un altro modo per sradicarlo: la pace senza condizioni, la rinuncia a vincere, l’amicizia, la diserzione, l’alleanza tra le vittima – vittime di Hitler e le vittime di Netanyahu.

Ma questo è un proposito da anima bella, un proposito fondato su sentimenti che si possono nutrire solo quando ci si trova in una condizione di privilegio. Nella realtà sembra che ci siano solo vittime che aspirano a diventare carnefici. E spesso ci riescono.

Dunque la spirale non si fermerà, e non possiamo prevedere quale vortice andrà ad alimentare.

martedì 23 settembre 2025

Albert Camus - L'uomo in rivolta

 

Che cos'è un uomo in rivolta? Un uomo che dice di no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi.

In questa costante e perenne oscillazione fra il no e il sì, l'uomo in rivolta di Camus si differenzia profondamente dal pensiero rivoluzionario ed ancor più dal concetto di rivoluzione. Se le rivoluzioni moderne non hanno fatto altro che instaurare degli stati e legittimare il potere del terrore, per l'autore dell'Uomo in rivolta è impossibile avere dubbi: o si accettano le conseguenze della rivoluzione, e quindi la paura, il sangue, lo Stato; oppure inevitabilmente vi si è contrari, non rinunciandovi ma riaffermando la possibilità della rivolta. Ma qual è, in pratica, la differenza tra rivoluzione e rivolta? Sulle prime sembrerebbe che Camus scelga il concetto di rivolta, dandone un'interpretazione positiva rispetto alla negatività della rivoluzione, poiché l'uomo che dice no è l'eroe titanico che, affrontando il tiranno, il Potere, con il solo e unico gesto di rivolta si autorealizza emancipandosi. Per Camus la chiave interpretativa, e metodica sta nella possibile (possibile, non "vera") differenza; rivoluzione è intesa come totale negazione del reale, come un movimento che, superando lo status quo, lo nega in tutti i suoi aspetti perché li riconosce estranei; la rivolta, al contrario, è un moto che, pur superando le condizioni presenti, le accetta perché sono le uniche passibili di mutamento.

Se la rivolta potesse fondare una filosofia, questa sarebbe al contrario una filosofia dei limiti, dell'ignoranza calcolata e del rischio. Chi non può sapere tutto, non può tutto uccidere.

Camus è un convinto assertore di questa filosofia, contrapponendosi duramente ed aspramente ad ogni concezione e interpretazione del mondo che assolutizzando qualsiasi concetto metafisico, come materialista, lo ponga e si ponga al di sopra del reale, perché, come già detto, la realtà non è né ragionevole né irragionevole, ma ciò che si può dire ed ancor più ciò che si può cambiare. Camus individua un minimo comune multiplo: il nichilismo, qui inteso come degradazione, asservimento della realtà presente a favore di un immaginato futuro di verità cui poter donare la propria sofferenza in questa vita alienata. Grande ammiratore di Nietzsche - il quale paradossalmente è l'unico ad essere salvato dall'accusa di nichilista - non può che far risalire la negazione della natura e del corpo alla nascita del cristianesimo: con l'avvento del cristianesimo, nel pensiero occidentale si insinua il concetto di peccato e di espiazione, che successivamente inquinerà perfino il pensiero laico e rivoluzionario di Karl Marx. La storia del pensiero occidentale è la storia della sconfitta della natura e dell'umiliazione del corpo per la vittoria dell'ideologia e della teologia, entrambe false coscienze che, in nome del futuro, hanno negato, condannato il presente. La domanda camusiana è dunque la seguente: quale motivo spinge l'uomo ad uccidere per dei valori astratti, delle ideologie? E ancora: perché, in nome della giustizia e della libertà, possono essere commesse le ingiustizie più atroci ed avvalorate le misure più repressive, totalitarie ed autoritarie?

La libertà assoluta coincide con il diritto, per il più forte, di dominare. Essa mantiene dunque i conflitti che avvantaggiano la ingiustizia. La giustizia assoluta passa attraverso la soppressione di ogni contraddizione: essa distrugge la libertà. La rivoluzione per la giustizia mediante la libertà finisce col farle insorgere l'una contro l'altra.

domenica 21 settembre 2025

Il primo sindacalismo rivoluzionario

 

L'anarchismo dell'800 diventò storicamente importante quando entrò nell'Internazionale Operaia. Noi sappiamo che la 1a Internazionale aveva carattere eminentemente sindacale, essendo una sorta di aggregazione di diverse società operaie. Essa per origine, struttura, programma, era interamente anarchica. Il 28 settembre 1864, alla St. Martin's Hall, furono i proudhoniani e Varlin a presentare la risoluzione in cui veniva proposta la fondazione di una associazione mondiale dei lavoratori. E Bakunin, già prima di entrarvi aveva già pensato alla possibilità concreta di costruire una organizzazione del genere. Il principio, il motto fondamentale "l'emancipazione dei lavoratori ad opera dei lavoratori stessi", la struttura federalistica, esprimevano il carattere libertario e proletario di questo grande organismo di massa. I governi ne avevano grande timore, tanto che addebitavano alla Internazionale ogni moto spontaneo di popolo. Un altro fatto ebbe grande importanza: il marxismo venne apertamente denunciato come ideologia reazionaria, e una risoluzione del Congresso di S. Imier, successivo a quello dell'Aja, affermò che "la distruzione di ogni potere politico è il primo compito del proletariato". In questo modo la frangia più cosciente dei lavoratori manuali affermava l'autonomia del proletariato non solo rispetto alla borghesia, come aveva fatto precedentemente, ma anche rispetto agli interessi della piccola borghesia, espressi dalla scuola socialdemocratica tedesca. Queste dichiarazioni di principio fatte a congressi operai mostrano come per gli internazionalisti non esistesse una netta frattura fra politico ed economico. È vero che lo stesso Bakunin e i libertari del tempo tendevano a rifiutare il termine "politica" ma questo perché all'espressione essi davano il significato di "azione tesa verso la conquista del potere politico". Non si intende qui fare una prolungata indagine storica, ma solo mostrare come le sezioni operaie-sindacali dell'A.I.T. non escludevano affatto di andare oltre la lotta cosiddetta economica. Questo per confutare le accuse di "economicismo" mosse agli anarchici. Questo concetto lo ritroveremo nel pensiero di Malatesta, che tra l'altro ebbe ad affermare in "Umanità Nova" del 1921: "i sindacalisti, quantunque in teoria amino dire che il sindacalismo basta a se stesso, debbono poi nella pratica o pensare ad impadronirsi dello stato, e diventano socialisti, o pensare a distruggerlo, e diventano anarchici". Viene espressa così l'intima continuità di pensiero che lega l'anarchismo dell'800 e del '900: il rifiuto di una concezione del sindacalismo come semplice lotta al padrone, senza affrontare il problema dello stato, nel senso della sua distruzione.

venerdì 19 settembre 2025

Parliamo ancora del no copyright

 

La cultura del software libero non ha niente a che fare con le pratiche del sabotaggio, e solo parzialmente con le rivendicazioni sindacali nell’ambito del lavoro. Era stata coltivata e stava iniziando a fiorire, dapprima negli Usa, e di lì a poco in Italia, negli ambienti di un certo marxismo radicale, ma aveva attecchito tra i ragazzini, tra gli impiegati, tra gli hippie e gli amanti del fai da te. Nel suo dna vi era la voglia di liberarsi da una cultura della produzione legata alla proprietà privata, ma non esprimeva il conflitto attraverso l’antagonismo e lo scontro frontale con il modello da cui si voleva differenziare, bensì allontanandosene, separandosene, per dare forma a un nuovo modello basato sul dono e la cooperazione. E parte di un processo di sviluppo delle culture cosiddette dell’underground, ma in particolar modo delle culture del DIY, delle autoproduzioni e della controinformazione che negli anni Sessanta e Settanta hanno avuto una particolare esplosione. Tale cultura, figlia dunque del Sessantotto, ma, in generale, di un percorso comunitario millenario, stava, in senso proprio, facendosi movimento e andava per questo stroncata sul nascere. La narrazione che ha voluto tratteggiare gli hacker come criminali, se non luddisti, ha voluto annullare le pretese di un movimento, in parte, spontaneo, che rischiava di mettere in discussione il paradigma della proprietà privata nella produzione dei saperi. Purtroppo la potenza di fuoco immaginativa dell’apparato mediale statunitense, e dei suoi addentellati nostrani, e in grado di rendere colpa il sentimento di gioia che ti rende prossimo all’altro. Una colpa che richiede regole ferree. Ogni qual volta si doveva invocare una nuova legge che riportasse le nuove tecnologie nei binari della proprietà privata, come per magia, nell’agenda dei media apparivano giovani criminali del computer che avrebbero potuto far crollare la società, la civiltà, se non fosse stato imbrigliato il loro agire all’interno di regole precise che, guarda caso, riguardavano sempre, e in primo luogo, la difesa del copyright, in seconda battuta la privacy. Un diritto privato. Un diritto, privato. Dove privato e un verbo che indica ciò che giornalmente ci viene negato: un diritto; il diritto di essere prossimi l’uno con l’altro, di amarsi e rispettarsi. Questa e la regola del diritto privato nella società moderna. La regola e una legge che priva le persone del loro diritto fondamentale. Purtroppo le questioni retoriche poco interessano a chi perde il lavoro e a chi perde la possibilità di sentirsi rispettato nella società. Nella prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,54-58) si legge “il pungiglione della morte e il peccato e la forza del peccato e la Legge”. Laddove san Paolo voleva criticare i Farisei che, attraverso le loro leggi avevano dato al peccato la possibilità di esprimersi, la critica che si vuole muovere al capitalismo e quella di avere creato delle leggi, come quella sul copyright, che rendono l’uomo peccatore nel momento in cui cerca di essere umano.

mercoledì 17 settembre 2025

Rimettere in discussione continuamente

 

Oggi la specie umana è posta di fronte alla questione della sopravvivenza della specie stessa. Il modo di vita conosciuto col nome di civiltà occidentale è su un cammino di morte sul quale la sua cultura non ha risposte vitali da dare. Messi di fronte alla realtà della loro stessa distruzione, essi non possono che andare ancor più lontano verso una distruzione totale. L’apparizione del plutonio su questo pianeta è il segno più chiaro che la nostra specie è in pericolo. È un segnale che la maggior parte degli occidentali ha deciso di ignorare. I nostri antichi insegnamenti ci anticiparono che se l’uomo interferisce con le leggi naturali tutto ciò si avvererà fatalmente. Quando l’ultimo soffio del modo di vita naturale sarà estinto, tutta la speranza della sopravvivenza umana se ne andrà con lui. La distruzione delle culture dei popoli nativi appartiene allo stesso processo che ha distrutto e distrugge ancora la vita su questo pianeta. La maggior parte del mondo non trova le sue radici nella cultura o nelle tradizioni occidentali. La maggior parte del mondo ha le sue radici nel mondo naturale, ed è il mondo naturale, con le sue tradizioni, che deve prevalere se vogliamo sviluppare delle società veramente libere ed egualitarie. È necessario, attualmente, cominciare un’analisi critica della storia dell’occidente, ricercando le forme attuali delle condizioni di sfruttamento e oppressione subite dall’umanità. Nello condizioni di sfruttamento e oppressione subite dall’umanità. Nello stesso tempo in cui noi cominceremo a comprendere questo processo, dovremo reinterpretare questa storia per il popolo del mondo. È il popolo occidentale, alla fine dei conti, il più oppresso e sfruttato. Esso è schiacciato da secoli di razzismo, di sessismo e d’ignoranza che hanno reso se stesso insensibile alla vera natura della propria vita. Noi dobbiamo rimettere in discussione continuamente e accuratamente ogni modello, ogni programma, ogni metodo che l’occidente prova a imporci.

lunedì 15 settembre 2025

Cominciamo a parlare dell’acqua

 

Il processo di mercificazione dell’acqua è diverso a seconda delle regioni climatiche e degli usi ai quali, nel corso della storia, è stato destinato il liquido elemento dagli esseri umani. In primo luogo, grazie al sole e all’acqua piovana la fotosintesi colora di verde boschi e praterie, montagne e valli; tutte le specie vegetali insomma sono di vitale importanza per l’alimentazione dei mammiferi e degli uccelli che ossigenano il pianeta – non a caso la foresta amazzonica è chiamata il polmone della Terra. Questa acqua che non conta come fattore di produzione, nemmeno nelle più ingegnose contabilità ministeriali, manca di prezzo; non è mai stata mercificata per il fatto che, fino ad oggi, la pioggia è sfuggita al controllo della società tecnologica. L’acqua di qualità non ha mai avuto un prezzo nelle regioni a clima mediterraneo. Nella penisola iberica le leggi sull’acqua, cristiane e islamiche, tenevano conto dell’uso di acqua potabile per le persone e per gli animali in modo che, per l’accesso alle fonti e agli abbeveratoi anche quando si trovavano in terreni privati, i signori della terra dovevano rispettare il diritto di passaggio affinché la gente potesse saziare la sete e gli animali domestici abbeverarsi. D’altro canto, l’acqua naturale immagazzinata in cisterne o estratta dalla fonte e da pozzi vicini o all’interno dei nuclei urbani conservò nei secoli una buona qualità per essere bevuta. Tutto ciò cambiò a partire dalla seconda metà del XIX secolo con la rivoluzione industriale, la crescita delle città e, successivamente, con l’industrializzazione dell’agricoltura che portarono alla devalorizzazione dell’acqua naturale convertendola in un elemento scarso e accessibile solo a prezzi alti. È bastato un secolo e mezzo perché la maggior parte della popolazione delle regioni mediterranee (così come di quasi tutto il mondo) dovesse pagare per l’acqua di qualità, della quale ha bisogno obbligatoriamente per vivere.

sabato 13 settembre 2025

Una comunità di lotta

 

Il cittadinismo è l’ideologia che meglio si adatta agli agglomerati urbani, dato che non ha realmente bisogno di uno spazio pubblico per riprodursi, ma di qualcosa che gli assomigli, una sorta di spazio formale e simbolico in cui rappresentare un dibattito apparente. Affinché possa aver luogo un dibattito reale deve esistere un pubblico reale, una comunità di lotta; ma una comunità di questo tipo – un soggetto collettivo – è tutto il contrario di un’assemblea cittadinista, aggregazione volatile di individualità mutilate che imita i gesti della discussione diretta senza per questo andare a finire nella direzione richiesta, dato che evita accuratamente il rischio sfuggendo il combattimento. Le sue battaglie non sono che semplice chiasso e il suo eroismo nient’altro che una posa. Una comunità di lotta – una forza sociale storica – può formarsi solo a partire da una volontà cosciente di separazione, da uno sforzo disertore figlio dell’opposizione totale al sistema capitalista o, che è lo stesso, dalla messa in discussione radicale dello stile di vita industriale, cioè dalla rottura con la società urbana. Disoccupazione giovanile o tagli del budget, il punto di partenza non ha molta importanza se gli animi che si scaldano vanno tutti nella stessa direzione; la cosa più importante è la conquista di un’autonomia sufficiente per discostarsi dai canali stabiliti andando al fondo della questione – la libertà – senza mediatori “responsabili” né tutori vigilanti. E ciò non si ottiene che prendendo chiaramente le distanze dalla fazione del dominio e preparandosi a una lotta lunga e ardua contro di esso.

giovedì 11 settembre 2025

Il termine Anarchia

 

Il termine anarkhia compare in un primo tempo (Omero, Iliade, II, 703 e 726; Erodoto, Storie, IX, 23) per designare una situazione nella quale un gruppo armato, o un esercito, si ritrova senza guida. Il significato comune del verbo arkhein era quello di prendere l’iniziativa, cominciare una battaglia o un discorso. Così arkhê designava ciò che è all’origine di una successione temporale. Aristotele lo usa in questo senso quando dice che «principio (principium traduce in latino il termine greco arkhê) si dice in primo luogo del punto di partenza del movimento della cosa». Ma arkhê, connesso all’idea di prendere l’iniziativa, ha anche la connotazione di comando, potere o potere politico. Questo doppio significato di arkhê (inizio o origine e comando) darà come derivati: 1) arkhaios, che «risale alle origini» e che nella lingua moderna dà l’idea di antichità (archivi, archeologia, arcaico); 2) arkhein, comandare, ordinare, da cui – oltre ad arkhon, - ontos, carica ateniese di un magistrato, o arkheion, residenza dei principali magistrati – il prefisso arkhi, che indica superiorità (arcidiacono, arciduca, arciprete), e il suffisso arkhia, che indica la forma politica: monarchia, oligarchia, gerarchia, anarchia (termine che in Francia compare nel XIV secolo, ma si trova raramente prima del XVII), autarchia. L’attribuzione a qualsiasi regime politico di un potere coercitivo pare evidente o naturale come se il dominio fosse intrinseco al politico, e ancor oggi risulta evidente alla maggior parte delle persone. Questa apparente ovvietà, questo andar da sé, ha indotto a considerare il concetto di arkhê come più o meno neutro. Le cose non sono andate così per quanto riguarda il concetto di anarkhia, che è rimasto marchiato dallo stigma della disorganizzazione: senza un capo, senza qualcuno che comanda, la società si disintegra, il caos divora il sociale. Quando il termine «anarchia» si generalizza nella Francia rivoluzionaria, designerà in negativo coloro che sono accusati di creare il disordine e di promuovere la rivolta. Per la rabbia e la passione prodotte da un’oscura ambivalenza, l’anarchico è accusato di voler disorganizzare la società politica e indebolire l’autorità e attaccare il potere costituito (secondo il vocabolario: fautore di tumulti, promotore di disordini), ma al tempo stesso gli si attribuisce il nobile desiderio di estremizzare la rivoluzione, di voler livellare ruoli e fortune. Come ha scritto il girondino Brissot, che flagello per la società questa dottrina anarchica che vuole stabilire un’uguaglianza universale e di fatto!

martedì 9 settembre 2025

Diventare il produttore del film della propria vita

 

Occorre di mettersi di taglio alla costellazione della miseria delle democrazie formali. Infrangere lo spettacolo delle ideologie nelle teste di legno della società opulenta. Bisogna tenere sempre presente che le istituzioni non sono sorte per caso, ma per compensare la debolezza di chi vi partecipa. E in questo assolvono una funzione storica. Ma ogni istituzione si fonda sul sacrificio dei suoi membri, si nutre di vita umana. Si tratta quindi di porgere un invito a mordere, incamminarsi verso i giorni della gioia dove ogni individuo potrà sfoderare il proprio sogno nei colpi di ritorno contro i potentati che tengono le briglie e i giochi del proletariato arreso. Occorre muoversi nei percorsi accidentati del contrasto e andare a produrre un disordine linguistico/figurale dell’ordine apparente.

Diventare il produttore del film della propria vita.

Il rifiuto di essere schiavo è ciò che veramente cambia il mondo.

Né dei né miti. La persona che si ribella e che poi tende al rivoluzionamento lo fa, come causa prima, in risposta ad esigenze ed emozioni in origine del tutto personali e di stretta contingenza alla sua condizione. Solo in un successivo, secondo tempo le sue medesime esigenze ed emozioni, incontrandosi, integrandosi, completandosi con analoghe situazioni reclamanti altre necessità e scaturenti da altrettante motivazioni, daranno luogo alla collettivizzazione dell’atto, che da rivoltoso si tramuterà così in rivoluzionario. È un discorso che si sviluppa contro il certo, l’ideale, l’alchimia della politica e il terrorismo della Borsa. Il gesto estremo, a volte disperato dei ribelli, coglie nel coraggio di minoranze bastonate, carcerate, uccise, le tracce di una differente esistenza. La rivolta si apre al rischio di vivere pericolosamente il rapporto tra idea e azione.

sabato 6 settembre 2025

Errico Malatesta - L'uomo della strada

 

Non bisogna trascurare "l'uomo della strada", che è poi in tutti i paesi la grande maggioranza della popolazione; ma non bisogna neppure fare troppo affidamento sulla sua intelligenza e sulla sua capacità di iniziativa. L'uomo ordinario, "l'uomo della strada", ha molte ottime qualità, ha immense potenzialità che danno sicura speranza che esso potrà un giorno formare l'umanità ideale che noi vagheggiamo; ma esso ha intanto un grave difetto che spiega in gran parte il sorgere ed il persistere delle tirannie: esso non ama pensare, ed anche nei suoi conati di emancipazione segue sempre più volentieri chi gli risparmia la fatica di pensare e prende su di sé la responsabilità di organizzare, dirigere... e comandare. Esso, purché non lo si disturbi troppo nelle sue abitudini, è soddisfatto se altri pensa per lui e gli dice quello che deve fare, anche se a lui non resta che il dovere di lavorare e di ubbidire. Questa debolezza, questa tendenza della folla ad aspettare e seguire gli ordini di chi si mette alla sua testa, ha mandato a male tante rivoluzioni e continua ad essere il pericolo che minaccia le rivoluzioni prossime future. Se la folla non fa da sé e subito, bisogna bene che provvedano al necessario uomini di buona volontà, capaci di iniziativa e di decisione. Ed è in questo, cioè nel modo di provvedere alle necessità urgenti, che dobbiamo distinguerci nettamente dai partiti autoritari. Gli autoritari intendono risolvere la questione costituendosi in governo ed imponendo con la forza il loro programma. Essi possono anche essere in buona fede e credere sinceramente di fare il bene di tutti, ma in realtà, ostacolando la libera azione popolare, non riuscirebbero ad altro che a creare una nuova classe privilegiata e interessata a sostenere il nuovo governo, ed in sostanza a sostituire una tirannia con un'altra. Gli anarchici devono bensì sforzarsi di rendere il meno faticoso possibile il passaggio dallo stato di servitù a quello di libertà, fornendo al pubblico il più possibile di idee pratiche ed immediatamente applicabili, ma debbono guardarsi bene dall'incoraggiare quell'inerzia intellettuale e quella tendenza a lasciare fare agli altri ed ubbidire, che abbiamo lamentate. La rivoluzione, per riuscire veramente emancipatrice, dovrà svolgersi liberamente in mille modi diversi, corrispondenti alle mille diverse condizioni morali e materiali degli uomini d'oggi, per la libera iniziativa di tutti e di ciascuno. E noi dovremmo suggerire e realizzare il più possibile quei modi di vita che meglio corrispondono ai nostri ideali, ma soprattutto dobbiamo sforzarci di suscitare nelle masse lo spirito di iniziativa e l'abitudine di fare da sé. Noi dobbiamo evitare anche le apparenze del comando, ed agire colla parola e con l'esempio come compagni tra compagni; e ricordarci che a voler troppo forzare le cose nel senso nostro e far trionfare i nostri piani, correremmo il rischio di tarpare le ali alla rivoluzione ed assumere noi stessi, più o meno inconsciamente, quella funzione di governo, che tanto deprechiamo negli altri. E come governo noi non varremmo certamente meglio degli altri.

Forse anche saremmo più pericolosi per la libertà, perché convinti fortemente di aver ragione e di fare il bene, saremmo inclinati, da veri fanatici, a considerare quali contro-rivoluzionari e nemici del bene tutti quelli che non pensassero ed agissero come noi. Ché se poi quello che gli altri fanno non fosse quello che vorremmo noi, la cosa non avrebbe importanza, sempreché fosse salvaguardata la libertà di tutti. Ciò che veramente importa è che la gente faccia come vuole, perché non vi sono conquiste assicurate se non quelle che il popolo fa coi propri sforzi, non vi sono riforme definitive se non quelle reclamate ed imposte dalla coscienza popolare.

(E. Malatesta da Almanacco libertario - Ginevra, 1931)

mercoledì 3 settembre 2025

Crocenera anarchica

 

A Madrid, nel 1964, la polizia arresta un giovane scozzese, giunto appositamente dall'Inghilterra per organizzare un attentato contro il dittatore Franco. Il giovane ha solo 18 anni, essendo nato nel 1946 a Glasgow, ed è cresciuto nel clima di dura lotta proletaria esistente nel capoluogo scozzese, dove molti minatori continuano da decine di anni a tenere in vita le tradizioni del socialismo libertario. Stuart Christie - così si chiama il giovane anarchico - viene condannato a venti anni di galera dalla corte marziale sotto l'accusa di "banditismo e terrorismo", prima ancora che l'attentato possa essere tentato. Dopo tre anni di detenzione al Carabanchel, il famigerato carcere madrileno, ed in altri reclusori franchisti, Christie viene liberato nel settembre del 1967, in seguito alle forti pressioni dell'opinione pubblica inglese. Tornato libero a Londra, insieme ad altri compagni fonda l'"Anarchist Black Cross" (Croce Nera Anarchica), un'organizzazione specifica per aiutare i detenuti politici anarchici nelle galere franchiste, tramite l'invio di generi di prima necessità, la pubblicazione dei loro documenti pervenuti clandestinamente, la costante attenzione a tutte le manovre repressive dell'apparato poliziesco del Caudillo. I precedenti storici non mancano. Già nel 1907 i profughi politici russi avevano organizzato una Croce Rossa Anarchica (più tardi divenuta Croce Nera Anarchica) con lo scopo di aiutare i compagni imprigionati nelle carceri zariste. Dopo la rivoluzione russa del 1917, in cui ebbero tanta parte, gli anarchici si trovarono ad affrontare la repressione bolscevica, che certo non fu meno sanguinaria di quella degli zar deposti; così gli anarchici sfuggiti alle persecuzioni dei nuovi dittatori "rossi" cercarono in ogni modo di comunicare e di aiutare i militanti detenuti, a volte internati nei famigerati campi di lavoro siberiani. La solidarietà internazionalista degli anarchici raggiunse, nel periodo fra le due guerre mondiali, anche le vittime politiche in Italia, in Germania, e soprattutto in Spagna. A Milano, nei primi mesi del 1969, con quasi involontaria tempestività, sorge la CROCE NERA ANARCHICA che mutua il nome della Black Cross ed intende affiancarsi ad essa ma che subito si trova a dover operare "in casa". Infatti proprio in quell'epoca iniziava con gli attentati fascisti del 25 aprile (alla Fiera Campionaria ed alla Stazione Centrale di Milano) e con l'arresto di alcuni giovani libertari, la manovra anti-anarchica di provocazione-calunnia-repressione, che doveva culminare sempre a Milano il 12 dicembre dello stesso anno (con la "strage di stato" di Piazza Fontana). Così all'azione pro-Spagna dapprima si affianca, poi la sostituisce quasi completamente l'azione anti-repressiva in Italia, non solo con l'invio di denaro agli arrestati, ma anche e soprattutto con l'organizzazione di manifestazioni di vario genere per sensibilizzare l'opinione pubblica, con la pronta e precisa risposta data alle calunnie diffuse dalla polizia e dai suoi portavoce. La pubblicazione di un bollettino interno del movimento anarchico, di cui sono usciti 9 numeri, ha permesso periodicamente ai compagni interessati di conoscere notizie sulla repressione anti-anarchica e sulle attività della "Croce Nera Anarchica" stessa.

In questa diversificazione di attività (controinformazione interna ed esterna al movimento anarchico), oltre che in maggior dinamismo e tempestività, la "Croce Nera Anarchica" si differenziò dal "Comitato Nazionale Pro Vittime Politiche" (CNPVP), con cui peraltro collaborò fraternamente; quest'ultimo organismo opera da una ventina d'anni in Italia, ma, per sua natura, si limita ad aiutare materialmente gli anarchici incarcerati. Il lavoro specifico della "Croce Nera Anarchica" si è dimostrato particolarmente utile dopo gli attentati di Milano e Roma del 12 dicembre 1969, che hanno provocato l'accentuarsi della repressione. Il contatto con gli avvocati difensori dei molti compagni incarcerati, i comunicati e le conferenze-stampa sono stati i principali momenti dell'attività "esterna" di questa organizzazione, che ha così contribuito, fra l'altro, a sconfiggere la campagna di calunnie contro Giuseppe Pinelli, scatenata dalla polizia e dalla stampa di regime subito dopo la sua morte. In questo contesto, la "Croce Nera Anarchica" ha bloccato sul nascere un tentativo poliziesco di coinvolgere Pinelli in un traffico d'Armi con la Resistenza greca, smentendo categoricamente, prima ancora che fossero diffuse ufficialmente, queste voci, cosicché questa ennesima provocazione fu subito fatta rientrare. Contemporaneamente la "Croce Nera Anarchica" ha curato la pubblicazione del libro "Le bombe dei padroni" (luglio 1970), organizzando anche la distribuzione, in molti centri grandi e piccoli, del filmato su Pinelli, realizzato dal Comitato dei cineasti contro la repressione; ha inoltre organizzato il viaggio e le conferenze tenute in molte città italiane dal compagno anarco-sindacalista Miguel Garcia Garcia (novembre-dicembre 1970), appena rilasciato dopo vent'anni trascorsi nelle carceri franchiste. Dopo aver proseguito la sua opera per tutta la campagna di controinformazione e di lotta contro la "verità" di Stato e per la scarcerazione di Valpreda e compagni, proprio in prossimità del raggiungimento di questo obiettivo la CROCENERA ANARCHICA si scioglie, passando a tutti gli effetti la mano al movimento anarchico ed ai suoi organi.