La sopravvivenza
è un campo di coerenze, lo stile di vita un campo di risonanze. Il linguaggio
economizzato partecipa del primo, la vivacità poetica del secondo. L'era della
creazione abolisce il lavoro. Il lavoro è la forma che inaugura lo sfruttamento
dell'uomo da parte dell'uomo. È l'atto fondatore di una civiltà, dove il
soggetto che trasforma la manna terrestre in merce diventa esso stesso un
oggetto mercantile. Durante le guerre, apparse verso la fine del Neolitico, i
vinti sfuggivano al massacro solo quando servivano come schiavi dei vincitori.
A partire da quel tempo, la sopravvivenza è sempre stata il prezzo di una morte
differita. C'è stato un tempo in cui il dinamismo commerciale salvaguardava una
parte di creatività utile al suo processo d'innovazione. Le libertà furtive del
libero scambio trasmettevano lo spirito separato e disturbavano il
conservatorismo dei regimi agrari. Per quanto scarsa ed emarginata fosse, la
passione di creare rendeva attraenti dei lavori la cui utilità sociale sembrava
indiscutibile. Sappiamo come le innovazioni originate dal capitalismo in fase
d'industrializzazione abbiano alimentato il mito di un progressismo prometeico.
La graduale diserzione del settore produttivo a favore di quello dei consumi ha
ridotto il lavoro alla necessità di un salario da dilapidare nelle oasi dei
supermercati. Il lavoro socialmente utile ha ceduto poco a poco il posto a un
lavoro parassitario che, come negli ospedali, avvantaggia una gestione della
redditività e rovina l'efficacia sanitaria con il pretesto di migliorarne i
servizi. Il capitalismo è entrato in una fase di tagli finanziari, dove si
arroga il diritto di rendere redditizia la sua morte programmando la nostra.
Non abbiamo altra scelta che proteggere, difendere, ricreare la nostra vita e
con essa, le risorse naturali che sono allo stesso tempo offerte e distrutte
sotto i nostri occhi. Le questioni ambientali vengono affrontate solo a livello
globale e statisticamente - con i risultati che conosciamo - solo perché ci
disinteressiamo di affrontarli alla base, a livello locale e regionale. Eppure
è nel villaggio e nei quartieri che l'inquinamento, l'avvelenamento, la
distruzione dell'insegnamento, degli ospedali, dei trasporti perpetuano i loro
misfatti e dove un intervento diretto è possibile. Gemere, gridare, pregare
sono ugualmente ridicoli e rimarranno tali fino a quando l'audacia d'innovare
non sarà riapparsa insieme con quella di vivere, finalmente.