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domenica 26 aprile 2015

Gli anarchici e la Resistenza


Gli anarchici e la Resistenza. C’entrano, dunque? C’entrano eccome! C’entrano da molto prima della guerriglia partigiana del ’43-’45. C’entrano fin dal 1920, prima ancora che lo squadrismo si facesse governo e poi regime. Gli anarchici erano, all’epoca, una componente importante del movimento operaio. Il loro quotidiano, «Umanità Nova», tirava cinquantamila copie, non molto meno del socialista «l’Avanti» e del «Corriere della Sera». Influenzavano in modo determinante l’Unione Sindacale Italiana, che aveva centinaia di migliaia di iscritti ed il cui segretario era per l’appunto un anarchico, Armando Borghi. E anarchici erano molti leader sindacali dei marittimi, dei ferrovieri, dei metalmeccanici, dei braccianti.
Nulla da stupirsi se gli anarchici hanno resistito o, meglio, se si sono attivamente opposti al fascismo fin dalle sue prime manifestazioni. Erano incompatibili. Libertari per definizione gli anarchici. Autoritario il fascismo. Egualitari gli anarchici, disegualitario e gerarchico il fascismo. Rivoluzionari gli anarchici, contro-rivoluzionario il fascismo. Gli anarchici: «Né servi né padroni». Il fascismo strumento di vecchi e nuovi padroni, ideologia di una servitù di massa.
Gli anarchici resistono anche con le armi in pugno alla resistibile ascesa del fascismo. Gli Arditi del Popolo, ex combattenti organizzati per l’autodifesa popolare, sono essenzialmente appoggiati da anarchici e socialisti «massimalisti» e osteggiati ufficialmente dai partiti socialista e comunista. Gli Arditi si oppongono al terrorismo squadrista, spesso spalleggiato dai carabinieri. E più di una volta mettono in fuga carabinieri e fascisti. Come a Sarzana nel ’21. Come, sempre nel ’21, a Parma. A Parma l’insurrezione popolare contro i fascisti alza le barricate. Su una barricata, tenuta dagli anarchici, c’è anche un giovanotto di Carrara, Ugo Mazzucchelli, che ritroveremo vent’anni dopo a capo di una delle formazioni partigiane anarchiche. Non è l’unico nome che ritorna, in questa storia.
Durante il ventennio continua senza tregua la lotta antifascista degli anarchici. Sia in Italia sia all’estero, in Francia soprattutto, dove emigrano a migliaia, per sfuggire alla repressione. In Italia testimonia della resistenza anarchica il numero dei loro confinati, ben superiore ai dati ufficiali perchè i tribunali fascisti tendono a etichettare gli anarchici come «comunisti».I libertari sono stati da un quarto ad un terzo di tutti gli antifascisti passati per il confino. Significativamente, gli anarchici non vennero mai ufficialmente liberati dal confino. Neanche dal governo Badoglio. Dal confino vennero dapprima liberati, nel luglio ’43, i «moderati», poi i socialisti e i comunisti. I più cattivi, gli anarchici, per lo più segregati nell’isola di Ventotene, vengono trasferiti nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari, in provincia di Arezzo, dove erano rinchiusi i prigionieri di guerra slavi e albanesi. L’otto settembre, tuttavia, i carcerieri se la squagliano e anche gli anarchici sono liberi. Direttore delle guardie a Ventotene è un certo Marcello Guida. Un’altro nome che ritorna. Nel dicembre 1969 è questore di Milano. È lui che, mentendo, dichiara suicida il defenestrato Giuseppe Pinelli.
Testimonianza della lotta antifascista degli anarchici in Italia è anche la serie di attentati – purtroppo falliti – al «Duce». Anteo Zamboni, Michele Schirru, Angelo Sbardellotto, Gino Lucetti… Tutti uccisi. Lucetti era un giovane carrarino. Da lui prese nome la prima formazione partigiana libertaria attiva a Carrara.
Anche nell’esilio i «fuoriusciti» anarchici continuano la lotta contro il fascismo, soprattutto a sostegno finanziario e logistico della resistenza interna. Ma è anche di straordinario rilievo la partecipazione di centinaia di esuli libertari italiani alla Guerra Civile spagnola del 1936. Tra i primi, con la colonna Rosselli, ad accorrere al richiamo della Rivoluzione sociale e della solidarietà internazionale antifascista.
Nell’estate – autunno del ‘43 si formano in Alta Italia le prime formazioni partigiane contro i tedeschi e i loro alleati fascisti della Repubblica di Salò. È l’inizio della Resistenza intesa in senso stretto. Una parte degli anarchici italiani, una parte minoritaria ma consistente, non vi partecipa. Alcuni perché non-violenti, altri perchè non vogliono partecipare come comparse a quella che ritengono una guerra tra potenze imperialistiche, altri ancora perché nutrono un’estrema diffidenza nei confronti di Fronti popolari e di formazioni militari a egemonia comunista, dopo la drammatica esperienza spagnola ed il suo scontro fratricida tra antifascisti.
Al contrario, molti anarchici partecipano attivamente alla lotta partigiana, sia sulle montagne sia nelle città. Sono migliaia, ma per lo più in ordine sparso. Per la maggior parte gli anarchici aderiscono individualmente o in piccoli gruppi alle formazioni partigiane che facevano capo ai vari settori dell’antifascismo di sinistra. Soprattutto confluiscono nelle Brigate Garibaldi.
Un caso a parte è la formazione «Silvano Fedi» di Pistoia, formazione autonoma e non caratterizzata politicamente in modo esplicito ma costituita in gran parte da libertari. Ci furono, poi, due casi notevoli di formazioni partigiane dichiaratamente libertarie, seppure inquadrate in più ampie formazioni non-anarchiche.
L’altro caso notevole è quello di Milano. Qui si formano ed operano le Brigate «Bruzzi-Malatesta», inquadrate nelle formazioni socialiste Matteotti. Malatesta è ovviamente il più famoso anarchico italiano, morto al domicilio coatto nel 1932. Pietro Bruzzi è un anarchico milanese, già volontario in Spagna, fucilato dai tedeschi nel ‘44. Le brigate Bruzzi-Malatesta, forti di un paio di centinaia di combattenti, operano sia a Milano sia nel Pavese sia nelle valli bresciane. Hanno un ruolo di rilievo in diverse clamorose azioni partigiane, come la liberazione dei prigionieri di Villa Triste, centro di detenzione e tortura della famigerata «banda Koch», talmente crudele da essere invisa perfino a tedeschi e repubblichini.
Nel frattempo si organizzano anche scioperi nelle fabbriche cittadine.
Il 25 aprile del 1945 i partigiani delle brigate anarchiche «Bruzzi-Malatesta» occupano le fabbriche Carlo Erba, per impedirne la distruzione da parte dei tedeschi in fuga; prendono sotto controllo il raggio politico del carcere de S. Vittore e partecipano occupano la sede dell’EIAR (la RAI di oggi) in corso Sempione a Milano. La Resistenza si fa Liberazione. O quantomeno così si pensa.
Anche Giuseppe Pinelli, allora sedicenne, fa parte, come staffetta partigiana, delle Bruzzi-Malatesta. Ventiquattro anni dopo... Vi ricordate il 15 dicembre del ’69? Vi ricordate del prefetto Marcello Guida? Il fascismo non è finito nel ’45.
Tessera di appartenenza della staffetta partigiana Giuseppe Pinelli, all'epoca sedicenne