La Sicilia è sempre stata una terra di
rivolte e rivoluzioni. Alcune sono diventate famose, come la rivolta popolare iniziata
il 31 marzo 1282 e battezzata “Vespri siciliani”; altre sono meno famose, come
quella del 1848 (il primo moto rivoluzionario dello storico 1848 ebbe luogo a
Palermo il 12 gennaio); altre sono del tutto sconosciute (nei libri di scuola
non vengono per niente menzionate), come le rivolte siciliane del 1647, i moti
del 1820, del 1856 e del 1860.
Il 4 aprile del 1860, a Palermo, scoppiò
la cosi detta “Rivolta della Gancia”. La città non si era rassegnata all’esito
infelice della rivoluzione del 1848 e già subito dopo la riconquista da parte
dei Borbone, aveva ripreso e continuato a cospirare. Fin dai primi mesi di
quell’anno, i palermitani si preparavano all'azione. Esisteva in quel periodo
il Comitato Segreto Rivoluzionario, dove si erano formate due correnti: da una
parte i popolani rappresentanti la minoranza, dall’altra i borghesi e i nobili,
la cosiddetta ala moderata, ovvero la maggioranza. I primi avevano assunto
subito una posizione interventista, ed erano fautori di un’immediata azione
armata; i secondi si dichiaravano attendisti e si opponevano al ricorso alle
armi. Si aspettava, comunque, solo il gesto che ufficialmente ne segnasse l'esordio;
almeno, questa era la convinzione del palermitano Francesco Riso, operaio
specializzato alla manutenzione e sorveglianza delle condotte e delle reti di
distribuzione dell’acqua potabile, che si ritrovava ad agire contro il diverso
parere dell’ala moderata del Comitato.
Questa guardava con sospetto Riso per
almeno due motivi: per le sue idee politiche e per l'estrazione sociale, perché
anche se benestante era solo un fontaniere. E in Sicilia l'iniziativa era -
ancora e sempre - saldamente nelle mani di nobili liberaleggianti, che cercavano
la rivoluzione politica ma temevano quella sociale.
Francesco Riso aveva reclutato operai e
artigiani; questa connotazione popolare del movimento insospettì la parte
moderata e borghese del Comitato, che temeva di perdere il ruolo di classe
guida della rivoluzione. Inutilmente il fontaniere si affannava ad insistere
sulle buone possibilità di riuscita del moto, perché era proprio il suo
eventuale successo a preoccupare il Comitato. Borghesi e nobili non avevano la
sicurezza che sarebbe scoppiato il tipo giusto di rivoluzione: avevano paura
che l’organizzazione popolare del moto potesse stravolgere l’ispirazione
politica dell’insurrezione.

Ma un confidente della polizia aveva
fatto il suo lavoro, e i congiurati trovarono le pattuglie borboniche ad
attenderli vicino il convento della Gancia. Lo scontro a fuoco fu rapido, nella
luce incerta dell'alba Riso si accorse che i suoi uomini erano circondati e si
rifugiò dentro la Gancia. I soldati abbatterono la porta, penetrarono nel
convento soffocando così sul nascere l'insurrezione. I combattimenti continuarono
nelle sale che oggi ospitano l' Archivio di Stato. Riso si rifugiò sul
campanile, chiamò aiuto suonando la campana a martello. Ma nessuno si mosse,
rapidamente il tentativo di rivolta fallì. Francesco Riso fu ferito, il sole
non era ancora alto quando venne catturato assieme a quattordici dei suoi
uomini; tra i rivoltosi si contarono 20 vittime.

Quella del 4 aprile 1860 fu una rivolta di
carattere popolare e antiborghese, organizzata e decisa da un gruppo di
artigiani e popolani, che si infranse nella realtà del moderatismo dei ceti
sociali dominanti. La nobiltà e la borghesia, infatti, in seguito sostennero il
programma di unificazione nazionale, avvenuto un mese dopo con lo sbarco dei
Mille, non per dovere rivoluzionario o patriottico, ma per calcolo sottile: il
miglior modo di sopravvivere al crollo del Regno delle Due Sicilie, conservando
i vecchi privilegi e l’antico potere, era quello di modificare le forme senza
cambiare la sostanza.
Sta di fatto che ancora una volta Palermo,
come già nel 1848 e tante altre volte, aveva dato il segnale a tutta la Sicilia,
anche se la rivolta venne spenta prima ancora che i suoi abitanti se ne
accorgessero. Lo squillo della Gancia, nervoso e strozzato, testimoniò come al
di là del tragico fallimento, il credito morale e politico della città fosse
notevole e risolutivo. Con la rivolta del 4 aprile il fuoco, che covava sotto
le ceneri delle insurrezioni tentate e fallite fino allora, divampò, spianando
la strada ai futuri eventi storici.