Nelle prime ore del mattino del 14
febbraio è stato bloccato l’accesso della strada che porta allo stabilimento
Alenia di Caselle Torinese.
Segnali, luci e coni indicavano agli
automobilisti nelle due direzioni di marcia che la strada era chiusa.
In mezzo al blocco uno striscione con la
scritta “chiudere le fabbriche d’armi”.
La notizia è stata diffusa dal sito IndymediaSvizzera, che ha anche pubblicato foto e un comunicato che rivendica l’azione
che vi riportiamo di seguito.
“Questa notte abbiamo chiuso la strada
che porta ad una delle maggiori fabbriche d’armi del Piemonte, l’Alenia.
L’Alenia produce aerei da guerra. A Caselle Torinese hanno costruito gli
Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri europei, e gli AMX. A Cameri, nei
pressi di Novara il nuovo stabilimento Alenia produce i cassoni alari per i
cacciabombardieri statunitensi F35 della Loockeed Martin.
Gli aerei militari dell’Alenia sono
stati impiegati nelle guerre di questi anni: dalla Somalia al Kosovo, dall’Iraq
all’Afganistan, alla Libia.
Chi produce e vende armi è complice di
chi le usa. I giocattoli dell’Alenia uccidono uomini, donne e bambini ovunque
si giochi una partita di potenza tra Stati.
La commozione di fronte alle immagini
dei bambini annegati nel Mediterraneo, deve tradursi in azione per inceppare le
guerre da cui fuggono i profughi.
Mettersi di mezzo per impedire i
massacri è possibile.
In questi giorni nel fragoroso silenzio
dei media italiani, il governo turco sta massacrando la popolazione di Cezir e
Sur, da 70 giorni sotto assedio. Hanno abbattuto le case con l’artiglieria e
bruciato gli abitanti, hanno lasciato morire dissanguati i feriti, impedendo
alle ambulanze di avvicinarsi. Hanno ammazzato centinaia di persone che si
erano rifugiate nelle cantine.
Sui
social media hanno pubblicato le foto di donne curde denudate, torturate
orrendamente e infine uccise. Queste donne sono il simbolo della lotta di libertà
delle città che a luglio hanno proclamato l’autonomia dopo i primi attacchi
dell’esercito turco.
Le Comuni di Cizir e Sur, come la Comune
di Parigi, rappresentano un’esperienza di autogoverno che non vuole farsi
Stato, perché aspira ad un mondo senza frontiere.
Un affronto che Erdogan non può
tollerare. Un affronto che nessun governo, nessuno Stato può tollerare.
Il silenzio dell’Europa, il silenzio del
governo italiano è complicità.
Erdogan sarà il gendarme che impedirà ai
profughi di continuare il loro viaggio verso l’Europa.
In cambio riceve soldi e appoggio ai
massacri in Bakur e in Siria, dove ha spezzato il fronte dei cantoni liberi del
Rojava, occupando Jarablus. Truppe turche da due giorni stanno attaccando il
Rojava in appoggio ad Al Nusra, la formazione della galassia di Al Qaeda, in
difficoltà dopo le azioni delle YPG e dell’SDF che avevano liberato alcuni
villaggi.
Finmeccanica, il colosso armiero
italiano di cui fa parte anche l’Alenia, fa buoni affari con l’esercito turco.
Di recente elicotteri da combattimento della consociata Agusta Westland sono
stati venduti al governo di Ankara.
Se tra trenta o cinquant’anni qualcuno
si chiederà perché la Turchia ha massacrato le Comuni di Cizir e Sur nel
silenzio complice di chi avrebbe potuto parlare ed agire, noi vorremmo poter
dire che qualcosa abbiamo fatto, che abbiamo provato a metterci di mezzo.
Se
la marea salisse, se l’indignazione di tanti diventasse azione, se il silenzio
fosse rotto dalle grida di chi non ci sta, potremmo far sì che la storia di
questi giorni cambi di segno.
In Bakur, in Rojava ma non solo.
In tutta l’Italia ci sono di aeroporti
militari, poligoni, centri di controllo satellitare, postazioni di lancio dei
droni.
Le prove generali dei conflitti dei
prossimi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia. Le stesse basi da
cui sono partite le missioni dirette in Libia, Iraq, Afganistan, Serbia,
Somalia, Libano…
Le basi di guerra, le fabbriche d’armi
sono a due passi dalle nostre case.
Fermarli è possibile. Dipende da
ciascuno di noi.
Un pensiero solidale agli anarchici
Kitapsi e Benol, uccisi dalle bombe integraliste ad Ankara, alle donne umiliate
torturate ed uccise, agli uomini e bambini bruciati vivi.
Dedichiamo il blocco di Caselle a chi
lotta per un mondo senza Stati né frontiere.
In Bakur, in Rojava,in ogni dove.”
In Bakur, in Rojava,in ogni dove.”