Io ho un carattere socievole e mi piace
ridere e scherzare. Odio la volgarità, la prepotenza e l’ipocrisia. Dopo tanti
anni di galera, ho acquisito la tendenza a rinchiudermi in me stesso per
coltivare i miei sogni, i miei progetti, le mie speranze. Insomma, sono
diventato un po’ “orso”, ma appena ho a che fare con persone vive e leali, mi
apro completamente. Non è facile sopravvivere in queste paludi d’opportunismo e
rassegnazione riuscendo a salvaguardare la propria personalità. Ci si riesce a
condizione d’ergere steccati immaginari tra sé e gli altri, tra sé e
l’ambiente? Io credo d’essere riuscito a mantenermi integro e ci sono riuscito
perché ho avuto la fortuna di vivere rapporti intensissimi con compagni e
compagne che, da fuori, non mi hanno mai fatto mancare la loro amicizia, il
loro affetto, il loro amore. Ci sono riuscito perché da prigioniero sono sempre
riuscito a difendere alcuni spazi inviolabili quali la dignità, l’orgoglio e il
rispetto in me stesso? La difesa quasi trentennale della propria integrità è
stata la lotta più dura e silenziosa. Il resto, i fatti di cronaca, le lotte,
le evasioni riuscite e quelle tentate, sono episodi importanti ma non
determinanti all’interno d’un percorso esistenziale complessivo … Quando
qualche secolo fa iniziai a rapinare le mie prime banche mi trovai subito
appiccicato addosso i soprannomi “Il rapinatore gentile”, “Il rapinatore
solitario” e “La primula rossa”. “Rapinatore solitario” perché le banche le
rapinavo da solo. “Primula rossa” per l’inventiva (scarsa) di un giornalista
che aveva intervistato mio padre durante la mia latitanza. Ma perché
“rapinatore gentile”?? Ecco, la spiegazione di questo e il racconto di alcuni
particolari inerenti al mio “stile” di rapinare le banche? … Intanto, perché ad
un certo momento mi sono messo a rapinare banche e perché solo banche? E perché
le rapinavo da solo?? In realtà, dopo aver letto le vicende della “Banda Bonnot”
e anche Brecht (“È più criminale fondare una banca che scassinarla”), parlai
con alcuni compagni anarchici del mio progetto di rapinare (allora non si
diceva ancora “espropriare”, al ’68 mancavano alcuni anni …) banche per
rivitalizzare economicamente la stampa anarchica. Fui quasi preso per un pazzo.
Se non fossi stato il figlio di Libero, m’avrebbero persino preso per un
provocatore? Allora, mi misi a rapinare banche da solo?<Come le rapinavo le
banche? Prima studiavo attentamente le strade del posto. Cercavo sempre le
banche periferiche o situate in piccole città. Cercavo di capire dove ci
sarebbero stati i primi posti di blocco e cercavo stradine periferiche,
deviazioni, per non dover passare in quei punti “caldi”. Se possibile, dopo
pochi km abbandonavo la macchina in un posto dove non l’avrebbero trovata
subito e prendevo un pullman oppure un autobus e mi portavo fuori dalla “zona
calda”.
Una volta rapinai una banca in provincia
di Bergamo, sulla strada che da Bergamo scende ad Iseo. Il paese era Tagliuno.
Rapinata la banca, scappai verso Iseo. Prima d’entrare in Iseo lasciai la
macchina in un garage, dicendo di cambiare l’olio e di lavarla, affermando che
sarei passato a riprenderla dopo alcune ore. Poco lontano c’era una fermata
dell’autobus. Presi l’autobus e rifeci a ritroso la strada fatta per scappare.
Arrivati a Tagliuno, davanti alla banca che avevo rapinato quindici minuti
prima, c’erano i carabinieri e una gran folla. La gente sull’autobus faceva
commenti pesanti e una signora accanto a me disse che ci voleva la pena di
morte per chi rapinava banche … ed io le davo ragione. Arrivato alla stazione
degli autobus di Bergamo salii su un pullman diretto a Milano. In quel periodo
autobus e pullman di linea non venivano fermati ai posti di blocco, a meno che
non si fosse trattato di fatti gravissimi. Ma perché “rapinatore gentile”?
Perché non urlavo e mi rivolgevo agli impiegati fermamente ma con gentilezza,
spesso scherzando per sdrammatizzare. Perché se nella banca c’era gente
aspettavo pazientemente il mio turno, facendo finta di controllare delle cifre
su di un foglio, finché la banca si svuotava. Allora mi avvicinavo alla cassa
poggiavo la mia borsa sul tavolo e, al posto di una cambiale da pagare tiravo
fuori la pistola e, tranquillamente dicevo all’impiegato: “Stai assolutamente
calmo e non ti succederà nulla. Prendi tutti i soldi che hai in cassa e
poggiali sul banco”. Gli altri impiegati non si accorgevano subito di ciò che
succedeva. Quando realizzavano che c’era una rapina, alzavano subito le mani,
allora io gli dicevo di poggiare le mani sul tavolo, di stare tranquilli, di
comportarsi normalmente. Se per caso fosse entrato un cliente mentre la rapina
era in corso, cosa che è successa molte volte, non si sarebbe accorto che era
in corso una rapina. Poi quando arrivava vicino a me, gli mostravo la pistola e
anche a lui dicevo di stare tranquillo e lo facevo andare in un angolo lontano
dalla porta d’uscita. Quando mi avevano consegnato i soldi, dicevo a tutti di
stendersi per terra e di non alzarsi per cinque minuti, che c’era un mio
complice, fuori, che sarebbe intervenuto se si fossero alzati prima dei cinque
minuti e lui non era così tranquillo come me … Solitamente, aspettavano
realmente i cinque minuti. A volte entrava un cliente e vedendo gli impiegati
per terra, era lui a dare l’allarme. Una volta, durante una rapina,
un’impiegata ebbe un lieve malore per la paura. Il giorno dopo sul giornale
lessi le sue generalità e tramite la Fleurop le mandai un mazzo di fiori
scusandomi per la paura che le avevo causato. Ecco, così nacque il “Rapinatore
gentile”. Ma la mia gentilezza è innata, non affettata. Diciamo che sono
gentile per natura, fa parte del mio carattere e quindi traspare anche in
situazioni anomale nelle quali, normalmente, la gentilezza non dovrebbe avere
diritto di cittadinanza …
(Horst Fantazzini, 1998)