
Ma non è questo il luogo per discutere degli indipendentisti vecchi
e nuovi, argomento su cui torneremo senz’altro nei prossimi numeri. Vogliamo
invece ribadire qual è la posizione di questo giornale in materia.
Anarchici, non siamo interessati alla conquista di nessuno Stato,
men che meno di uno Statu Sicilianu, il quale, nell’ipotesi di una sua
affermazione, propugnando un diffuso nazionalismo, che pone in primo piano
cultura, storia, lingua siciliane, godrebbe di un forte potere mistificante
nell’attuare la sua unica e vera missione: garantire il predominio e il
privilegio delle classi dominanti.
Rivoluzionari, siamo nemici di ogni dominio di classe, compreso
quello di una borghesia (più o meno mafiosa) siciliana. Lo sfruttamento non
muta di colore se a sfruttarti siano multinazionali e padroni venuti da fuori,
potentati economici colonialisti oppure di stretta etnia sicula. Anche perché,
limitandoci ad un discorso prettamente culturale, non crediamo che la borghesia
(o la classe al potere) possa rivendicare una cultura siciliana: tutte le
borghesie del mondo sono portatrici della medesima cultura del profitto, dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, del capitale come unico valore. Al contrario,
le culture subalterne sono forgiate, animate, vissute dalle classi oppresse, le
uniche che hanno interesse a scardinare le catene dello sfruttamento e
dell’oppressione.
Antiautoritari, non crediamo nelle virtù salvifiche di una nuova
classe di rivoluzionari che – una volta conquistato il potere in una Sicilia
libera da colonialismi e interferenze esterne – attuino politiche di
trasformazione sociale in senso comunista e libertario. Come l’esperienza
c’insegna,i poteri “nuovi” e innovativi finiscono sempre in dittature o a
vendersi a potenze finanziarie e militari.
Una Sicilia indipendente, pertanto, può solo essere una Sicilia
senza Stato e senza esercizio del potere, senza governo e organi autoritari.
Una Sicilia autogestita e autogovernata.

In varie aree del mondo dove sono in atto tentativi di cambiamento
sociale radicale – Chiapas, Rojava fra tutti – viene messo in discussione lo
Stato nazionale, privilegiando progetti che tentano di affermare una società
costruita dal basso, attraverso strutture assembleari, autogestione diffusa. La
lotta per raggiungere un obiettivo di questo tipo presuppone idee chiare già
sull’organizzazione odierna, sui metodi, sulle alleanze, i quali devono essere
coerenti con i fini.
Ben venga una lotta di lunga durata che rivendichi il diritto di un
popolo ad affermare la propria cultura e tutte le peculiarità legate alla
propria vicenda storica; ben venga una lotta che affermi diritto
all’autodeterminazione, nel senso libertario di possibilità di progettare
modalità di vita sul proprio territorio sganciate dallo sfruttamento,
dall’intolleranza, dal patriarcato, dalla distruzione dell’ambiente. Ogni
popolo deve poter decidere in autonomia quale tipo di società debba affermarsi
sulla propria terra.
Nello stesso tempo sappiamo che nessun tipo di liberazione legata ad
un determinato territorio sarà possibile in un mondo globalizzato e
condizionato da forti interessi imperialisti e capitalistici: sarà sempre
parziale e sotto minaccia; per questo si pone il problema dei collegamenti,
della solidarietà internazionale, dell’allargamento del fronte, della
diffusione dei propri contenuti, del mutuo appoggio, affinché possa rafforzarsi
all’interno rafforzandosi all’esterno, dando contributi e ricevendo contributi.
Senza internazionalismo non vi può essere nessun nazionalismo, sia
pure libertario o rivoluzionario. In Sicilia come altrove.
Pippo Gurrieri