..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 22 luglio 2017

Né sudditi né cittadini

Le città al pari delle foreste, hanno antri in cui si nasconde tutto ciò che esse hanno di più cattivo e di più terribile. Solo che, nella città, ciò che si nasconde così è feroce, immondo e misero, cioè brutto; nelle foreste, ciò che si nasconde è feroce, selvaggio e grande, cioè bello.
(Victor Hugo)

La città e i loro presidi amministrativi, sono diventati i punti di snodo del potere più vicini alle comunità dove si promuovono esempi di democrazia partecipata, di auto-organizzazione dal basso dei cittadini; formule di convivenza civile spesso promosse dalle istituzioni stesse, talvolta tollerate o ricondotte nei giusti canali. Per saldare il legame fra cittadini e governanti si fa leva sulla partecipazione intesa come strumento per ottenere consenso. Tale strategia si concretizza a posteriori in dictat istituzionali spacciati come decisioni collettive. Ci si è resi conto, insomma, che se gli abitanti di una città o di un paese hanno l`impressione di essere parte attiva nella gestione della porzione di territorio in cui vivono, questi diventeranno molto più facilmente amici delle istituzioni e pronti a difendere il sistema e i valori che esse propugnano. Nelle città si realizza, quindi, un laboratorio giornaliero per indurre all'accettazione graduale del dominio, fino ad arrivare all'autoregolamentazione della propria sudditanza. Così come si vuole che ogni persona, segregata in un qualsiasi luogo della macchina concentrazionaria capitalista, partecipi alla gestione della propria carcerazione, si vuole che bravi cittadini partecipino alla propria sottomissione, collaborino alla propria schedatura, agevolino sperimentazioni di auto-governo, o forse sarebbe più corretto dire di auto-limitazione, introitando e perpetuando “dal basso” veri e propri dispositivi di collaborazione istituzionale. La città è insomma il luogo della pacificazione produttiva, dell’efficienza tecnologica asservita al controllo, del cittadino prevedibile, abitudinario, che protesta, però, con l”intento di contribuire al bene comune; è il campo di concentramento dove tenere buoni i "soliti contestatori", chiedendo loro un aiuto nel co-gestire la prigione. Di tale partecipazione, che è in sé accettazione di una data idea, quella di uno sviluppo teso alla spettacolarizzazione e al controllo, ne facciamo volentieri a meno. Nella ragione politica, come nella fede religiosa, predomina l'idea che l’uguaglianza sia data dall'identità, dalla comune adesione ad una visione del mondo. Mai viene considerata la possibilità opposta, ovvero che l'armonia generale dell’umanità possa nascere dalla divisione degli individui spinta all’infinito. E proprio nelle città, infatti, si ricompone quel realismo politico che consolida e fortifica, qui e ora, regimi democratici andati a male e forze antagoniste riciclatesi nella collaborazione istituzionale. Sia nelle prigioni che nelle città, però, non tutte le volontà sono state piegate, alcune continuano quotidianamente a svelare un nemico, sempre più vicino e a portata di mano, e si rifiuteranno ancora di sostituire al proprio sguardo l'occhio del suddito, del cittadino o del poliziotto.